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The Story

I gomiti appoggiati sul freddo metallo della ringhiera cominciavano a patire il peso del
professor Carrier e lo costrinsero a distogliere lo sguardo dai pesci annoiati che si
trascinavano lenti vicino ai pilastri del ponte. Tirò giù le maniche della camicia fino al
polso e riabbottonò i polsini; si era scordato l’orologio quella mattina, nella fretta di
riuscire a non perdere un secondo dell’ultimo giorno di lezione prima del weekend.

Alzò, quindi, lo sguardo verso il suo monumento preferito, l’enorme “Macchina del Tempo”,
come l’aveva chiamata lo stesso suo architetto Philipp Dimitra. E mai nome pareva più
azzeccato: l’opera era un orologio perfettamente funzionante, largo quasi cinquanta metri e
alto il doppio, per metà incastonato nella parete rocciosa che circondava il lato
settentrionale del lago di Hogstew. Sotto il gigantesco quadrante, un mulino in metallo
creava una cascata di acqua spumosa, incorniciata dal vapore degli ingranaggi più grande
che il professor Carrier avesse mai visto. Non sapeva se fosse il mulino o il motore
costantemente acceso della “scultura” a far funzionare le lancette più in alto ma sapeva che
l’orologio era preciso fino al decimillesimo di secondo. Pensò che, se avesse avuto tempo,
avrebbe continuato a camminare lungo il ponte fino ad arrivare a pochi metri dagli
ingranaggi e dalla scala d’accesso per la manutenzione; ma erano le quattro meno venti
ormai e avrebbe dovuto avviarsi verso il padiglione numero otto dell’ateneo per tenere la
sua ultima ora di lezione della giornata.
Prese in mano la giacca in tweed che aveva appoggiato alla ringhiera e fece per infilare il
braccio quando sentì una mano appoggiarsi sulla spalla: spaventandosi e balzando
all’indietro, emise un verso un po’ troppo acuto per un uomo della sua età e della sua taglia.
Il colpevole dello spavento scoppiò a ridere.
«Sempre la testa tra le nuvole, eh, professore?” lo schiaffeggiò una voce fin troppo
familiare.
«Dottor Alphan. Che sorpresa… scusi per la reazione, ero sovrappensiero…”
Gunther Alphan, un omuncolo dai baffi neri e gli occhi stretti, il quotidiano completo
verde petrolio corredato con un cappello marrone che tentava di nascondere invano la
calvizie, allungò la mano aperta verso Carrier. Quest’ultimo la strinse riluttante e fece finta
di non trovarla eccessivamente sudata.
«Lasci che le presenti mia moglie, non credo abbia ancora avuto l’occasione.”
«No, infatti.”
Carrier spostò lo sguardo sulla figura che accompagnava il dottor Alphan: una donna
dagli zigomi pronunciati e apparentemente senza collo stava sudando sotto un elegante
ombrello nero. Nero come il cappello a larghe falde che vestiva, come il busto che le
premeva il torace fino a sotto il mento e come la lunga gonna che sfiorava le mattonelle
del ponte. Gli occhi della donna parvero spegnersi quando incrociarono quelli di Carrier,
come se avessero voluto darsi un tono regale ma consapevoli che la “bellezza” del
complesso avrebbe riscosso solo gli stessi complimenti che si fanno ai troll delle caverne.
«Madame…” sospirò Carrier in un rapido e forzato inchino.
«Lodovica Lycona delle Austrie,” avanzò il dottor Alphan, mentre osservava Carrier
infilarsi finalmente la giacca «erede al trono fino a qualche mese fa. Poi…”
«La Repubblica…” borbottò Carrier.
«Già.” disse Alphan allungando le vocali con disgusto. «Vogliono la democrazia a tutti i costi…”
Carrier non colse l’esca che lo avrebbe trascinato nel retino di un discorso politico che
non avrebbe fatto altro che inasprire ulteriormente il suo giudizio nei confronti del dottor
Alphan.
«Devo scappare, dottore, ho lezione tra pochi minuti, devo correre…”
Alphan lo fissò per qualche secondo cercando di capire se fosse una scusa.
«Madame, è stato un onore…”
La signora Lycona-Alphan non mosse un muscolo.
«Carrier!” tuonò il dottor Alphan vedendolo avviarsi «Passi in studio da me stasera. O
domani. Ho una cosa per lei.”
Carrier annuì con un mezzo sorriso, si voltò e roteò gli occhi sbuffando mentre accelerava
il passo per andare a lezione.
Il professor Carrier arrivò in classe con una precisione impeccabile, sotto lo sguardo
deluso degli studenti che speravano in una sua assenza ingiustificata in modo da tornare a
casa per il weekend un’ora prima. Carrier si sedette alla scrivania, sudato e ansimante,
schiacciò il pulsante di metallo sul piano in legno davanti a lui e, alle sue spalle, una
grossa tela bianca si srotolò dal soffitto, zittendo i discorsi bisbigliati di alcuni studenti. Il
professore estrasse dalla tasca della giacca una barretta luccicante e ne tirò l’estremità con
due dita fino a farla diventare lunga almeno due metri; le luci dell’aula si spensero e con il
telecomando che teneva nella mano sinistra, Carrier accese il proiettore appeso al soffitto.
La tela bianca si colorò improvvisamente: lo sfondo giallastro della diapositiva faceva
alludere alla rappresentazione di un vecchio libro, il testo indecifrabile, invece,
presupponeva una lingua straniera, forse troppo, viste le icone e le lettere sconosciute ai
tanti studenti universitari presenti. L’unica immagine visibile nel “foglio” era in realtà un
disegno, una specie di pianta dalle lunghe radici tonde.
«Qualcuno conosce questa pianta?” iniziò il professor Carrier mentre tentava di togliersi
la giacca.
«Una mandragola?” chiese una ragazza dalla seconda fila con voce acuta.
«Esatto, signorina Folsen, una mandragola. O mandragora…” il professore alzò la
bacchetta e l’appoggiò al disegno luminoso sulla tela «…famosa per svariati motivi sebbene
non vi siano prove di tutte le leggende che la circondano. Si dice che la mandragola sia
l’elemento principale in chimica alchemica per la creazione degli omuncoli, creature
pseudo-umane prodotte interamente in laboratorio; si dice che quando viene estratta dal
terreno, il pianto della mandragola, spesso raffigurata come un essere vivente, a causa
delle radici che somigliano vagamente al corpo umano, il suo pianto possa uccidere una
persona…”
Gli studenti scrivevano freneticamente sui loro blocchi per appunti, accompagnati da
saltuari versi di interessamento.
Dopo qualche minuto di spiegazione sulla mandragola e gli usi medici che ne venivano
fatti, il proiettore si spense improvvisamente. Dopo qualche secondo di buio totale nel
quale il professor Carrier tentò di riaccenderlo con il telecomando, le luci dell’aula si
accesero di nuovo. Carrier si voltò verso l’interruttore, vicino all’entrata della classe: una
strana figura richiuse la porta di legno dell’aula e sostò immobile a pochi metri dalla
cattedra di Carrier. Quest’ultimo lo squadrò con gli occhi sgranati: era un uomo sulla
sessantina, vestito talmente elegante da sembrare bizzarro, un grosso fiocco cadente di
velluto rosso gli stringeva in gola la camicia bianca, l’abito nero dalle spalline larghe e nere ne accentuavano la magrezza. Ma la parte ancora più bizzarra erano gli occhialoni
affumicati che vestiva sotto una tuba esageratamente alta, ornata con due grossi coni da
grammofono. Da essi, tubi di rame e cavi in metallo si perdevano dietro le spalle e il collo,
facendo posare l’attenzione sul dispositivo meccanico che vestiva come zaino.
«Salve, ha bisogno…?” chiese Carrier dopo infiniti secondi di esitazione. L’uomo
camminò verso di lui in un tintinnìò ferroso incorniciato dalle risatine di alcuni studenti.
Quando gli fu a distanza di braccio, l’uomo rispose con voce gelida e profonda «Non credo
sia il caso che continui questa lezione, professor Carrier, non sono argomenti adatti
all’ateneo di Hogstew. Nel caso volesse continuare, la avverto che il consiglio
amministrativo prenderà provvedimenti a riguardo.”
Carrier, con la bocca appena aperta, cercava di capire i motivi di tale affermazione
prima di rispondere istintivamente.
«Sono il professore di botanica, storia e folklore, credo di sapere quale argomenti
trattare con i miei studenti…”
L’uomo lo fissò immobile per qualche secondo, poi contrasse le labbra secche in quello
che pareva un sorriso forzato.
«Non dica che non l’avevo avvisata.” Si voltò e si diresse verso l’uscita della classe tra i
rumori meccanici dello “zaino” e le risatine di quasi tutta la classe. Carrier lo fissò uscire
mentre il suo cervello cercava di formulare una motivazione razionale alle affermazioni di
quello strambo personaggio.
Carrier ignorò le parole dell’uomo e concluse l’ultima mezz’ora di lezione prestando
attenzione a quello che diceva, convinto del fatto di non aver trasgredito nessuna regola
vigente, nessuna norma, scritta o non scritta, e nessun codice etico-morale. È solo
botanica! pensò poco prima del termine della lezione.
Uscito dalla classe, la giacca in spalla, scese i gradini del’ateneo di Scienze Naturali
cercando con lo sguardo la strana figura che poco prima aveva interrotto la sua lezione.
Non vide niente di strano; niente eccetto un braccio sventolante dal fondo della scalinata.
«Professore!”
Oh, non di nuovo, diamine!
Gunther Alphan lo fissava dal ciglio della strada, una mano appoggiata al bastone di
ebano, l’altra che ondeggiava senza armonia tra le teste dei passanti.
«Dottor Alphan, salve di nuovo…” disse Carrier, maledicendosi per non aver pensato a
una scusa plausibile per sfuggire a quell’incontro.
«Professor Carrier,” iniziò Alphan prendendolo per un braccio e iniziando a camminare
verso la direzione opposta a quella che avrebbe dovuto prendere Carrier per tornare a casa
«avrei voluto venire a seguire la lezione ma ci sono troppi gradini e io…” picchiettò il
bastone d’ebano contro il ginocchio di Carrier «non sono più giovane come lei.” Carrier
sorrise forzatamente e, mentre stava per chiedere il motivo della visita, pensò all’uomo
strano che era piombato in classe e si domandò se il dottor Alphan, un personaggio tanto
conosciuto e rispettato quanto odiato da tutta Londra avesse potuto conoscere quel tale.
Senza avere nemmeno il tempo di pensare a come formulare la domanda, Alphan
continuò «…se avessi aspettato che lei si presentasse nel mio studio, come tutte le altre
volte che me lo ha promesso, a quest’ora sarei seduto da solo a sorseggiare qualche buon
vino chiedendomi se il mio professore preferito non fosse stato rapito da qualche pianta
carnivora!” Alphan rise durante tutta la frase e Carrier lo assecondò solo per vedere dove
volesse arrivare. Alphan era sempre stato un uomo di spicco nella politica locale, due volte sindaco di Londra e membro del Consiglio Direttivo delle Industrie dall’età di ventidue anni; tuttavia,
Carrier e qualche altro amico intimo del dottore sapevano che la sua massima aspirazione
era sempre stata quella di insegnare ingegneria meccanica all’ateneo ma, sia per la sua
inadeguatezza di formazione, più pratica che teorica, sia per la presenza di personaggi più
qualificati come il professor Barth Mayer e la dottoressa Ada Buttersby, non ottenne mai
una cattedra. Carrier temeva che, a ogni incontro con Alphan, il discorso sarebbe saltato
fuori, come se il giovane professore avesse potuto far qualcosa per esaudire il sogno del
dottore.
«Qualche giorno fa – le dico perché oggi l’ho “seguita”, professore – mi è stata
recapitata una busta sigillata in cera dal CDI…” Carrier gli camminava a fianco senza
essere ancora riuscito a liberare il braccio dalla morsa della mano del dottore «…e
all’interno, oltre a qualche scartoffia burocratica e la mia busta paga, c’era un’altra lettera
con il suo nome sopra.” Il professor Carrier si voltò verso di lui e, sorridendo, il dottore si
fermò, lasciò la presa sull’avambraccio del giovane e mise le mani nel taschino interno del
soprabito.
«Ho fatto anche io la stessa faccia, professor Carrier, ed essendo consapevole del fatto
che lei non ha conoscenze all’interno del gruppo direttivo, la questione ha sorto qualche
perplessità….” Alphan gli porse una lettera spiegazzata ai bordi. «Non l’ho aperta, stia
tranquillo, né tantomeno voglio saperne il contenuto ma, se viene a sapere come ha fatto
ad arrivare a me, me lo dica.”
Carrier strappò, senza pensarci un attimo, il cordino intriso di cera rossa dalla carta
ingiallita. Aveva riconosciuto la calligrafia che recitava “M. Carrier, Londra, Fulham
Road, 17″ e il cuore gli parve fermarsi per tutta la durata dell’ispezione della busta.
«Dai suoi occhi deduco che si tratti di qualcosa di importante e la lascio ai suoi affari.
Un’ultima cosa: passi da me uno di questi giorni, davvero, mi piacerebbe fare una
chiacchierata non frettolosa con lei, per una volta.”
Carrier borbottò solo un “sì” mentre vedeva, con la coda dell’occhio, il dottor Alphan
attraversare la strada. Le dita del professore estrassero dalla busta l’unico foglio al’interno:
il disegno di pregevole fattura del busto di una donna, i boccoli chiari le cadevano sulle
spalle, l’espressione fredda si intonava al copricapo macabro che indossava con apparente
nonchalance, tra rose, ossa, un teschio, piume e perle.
Carrier accarezzò l’immagine con l’indice per qualche minuto prima di accorgersi del
rivolo salato che gli sfiorava il labbro.

Photo by Leah Kelley on Pexels.com
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