The Story
Dal bordo del precipizio, Klaus osservava la distesa fumante di ciottoli rossicci che pareva perdersi fino all’orizzonte, soffocato da una nebbia grigia, densa e macabra. Frammentati nella nebbia, i contorni dell’armata meccanica sostavano trepidanti, sfoggiando tremolii abbaglianti. Ne scorgeva circa un centinaio: giganti di metallo a quattro ruote, spinati da armi da fuoco, sproporzionati rispetto al resto del paesaggio desertico che li divideva da lui.

L’aria sapeva di zolfo e Klaus, con gli occhi chiusi e la testa inclinata verso l’alto, poteva ancora sentire i violini, il pianoforte e gli ottoni delle cerimonie di palazzo. Il bavero impolverato gli schiaffeggiava le guance senza pietà e i pugni chiusi negli spessi guanti di pelle nera gli facevano tremare l’intero braccio.
Il plotone di ricognizione attendeva dietro il loro comandante, immobile, tra uno sbuffo di vapore e il rindonante assestamento spontaneo dei rivetti. Erano solo due dozzine di apparati alti tre metri, l’ultima forza, ormai, nelle mani della corte di Brestol, frutto del genio della divisione ingegneristica di palazzo.
Klaus venne affiancato dal suo secondo in comando, Ludwig Brache, che cominciò a fissare il torrente di titani a vapore che aveva iniziato la marcia verso il promontorio che proteggeva il campo di ricerca di Brestol. Ludwig si voltò verso il suo comandante, mostrando i grossi baffi biondi dal vetro del suo scafandro; Klaus sentì lo sguardo di fiducia addosso e, per un attimo, si voltò verso l’amico, prima di prendere un respiro profondo e stringere le labbra in un impeto di decisione e determinazione.
Le tute meccaniche a vapore del plotone di ricognizione scivolavano per la ripida collina, in un turbinio di polvere dorata e nel frastuono delle componenti che sbattevano tra di loro. Klaus guidava la difesa, a fianco di Ludwig, dalla sua corazza luccicante sfregiata forse troppe volte. I pennacchi di riconoscimento che aveva appeso alle spalle lasciavano una scia rossastra, quasi un faro nella polvere per l’esercito dietro di lui.
I titani di Chesterfled apparivano come una slavina di rocce su un versante a picco, più grandi di qualsiasi altra macchina a vapore mai vista in quella zona, più temuti di ogni altra belva delle wastelands.
Il plotone di ricognizione accelerava senza intoppi e non passò molto prima che le due armate raggiungessero una distanza adeguata per i primi spari. Fu una palla di cannone a ferire il suolo per prima, scagliata senza precisione da quella che pareva una catapulta idraulica, nella fila dietro ai titani di Chesterfled. Il plotone di ricognizione si aprì a ventaglio, come tante volte nelle guerre passate, per non dare punti di riferimento alle lente armi a distanza del nemico. Barcollando, gli apparati più vicini all’impatto, ruppero per pochi istanti la simmetria di movimento per poi ricompattarsi in quella che ora era una formazione a triangolo.
Klaus faticava a trattenere il sorriso mentre calcolava a braccio i metri che lo distanziavano dai giganti di metallo che ora orientavano verso di loro tutte le canne dei loro fucili, dalle piccole fessure lungo le carene.
“Sono solo uomini, dentro mostri di ferro…” pensava Klaus.
Il cordone si mimetizzava egregiamente con il terreno polveroso della zona desertica e Ludwig non ebbe niente da ridire all’idea che Klaus ebbe la settimana prima; bisognava solo costringerli a non cambiare percorso.
Le gambe metalliche della tuta di Klaus scivolarono verso il basso e in quel momento, il plotone puntò verso l’alto i propri cannoni da spalla, rilasciando, all’unisono, un proiettile delle dimensioni di una testa umana. Questi si diressero verso il cielo, in una scia cremisi che cominciò a curvare verso il basso – e verso i titani – proprio nel momento in cui una piattaforma luccicante esplose dal suolo in risposta alla presa che Klaus aveva sul cordone.
Il Behemoth di Brestol avvolse l’armata di titani, sorgendo dagli inferi della sabbia, in un assordante fischio di vapore e una nuvola bianca che ora si mescolava agli sbuffi rossi dei proiettili del plotone. I titani arrancavano nella morsa della più grande macchina a vapore dell’esercito di casa, rovesciandosi, voltandosi, esplodendo per il fuoco amico e per l’incursione che ora il plotone di Klaus stava effettuando nella nebbia che avvolgeva i nemici.
Rimase solo un oceano di rottami. La città deambulante che era il Behemoth di Brestol fumava sotto il sole cocente, attutendo gli ultimi rantoli degli ingranaggi dei titani, tra rivoli rossicci lungo i fianchi impolverati e le esecuzioni dei sopravvissuti.
Klaus osservava un altro temuto e crudele esercito cadere ai piedi della sua creazione e già pregustava la vittoria finale.

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