The Poem
Tratto da “Maree Oniriche” (2016) Streetlib Publishing
La chiglia lacerata sugli scogli
Beve sale, pesci e catene.
Il mio forziere di talleri e sogni
Si adagia, malconcio, sul fondo del mare.
L’ignoro, il timone ora fa da barca
Mentre tutti gli atolli son lontani
E ho perso un remo e una scarpa,
Stringo i denti e fatico le mani.
L’oceano che brilla di rosso si apre
E mi inghiotte lasciandomi asciutto
Ma l’acque mi pungon come spade
E m’aggrappo a un albero rotto
In attesa di un’onda improvvisa,
Titanica, se un dio esiste,
Che mi sbatta sulla prossima riva
Anche lasciando le membra esauste.
Con la schiuma intorno agli occhi
Creo contorni d’ombra e pianti
E due figure dai contorni sporchi
Dopo un giorno m’afferrano i fianchi;
Uno è colui che non sono mai stato,
Onesto e impavido anni addietro,
L’altro magari un me invecchiato,
Le mani magre, pupille di vetro.
M’arriva l’aria nel petto di nuovo,
Le dita che anelano il vecchio timone,
Poi apro gli occhi, mi muovo
Di scatto, le gambe di marmo in terrore.
Uno mi scruta, mi veste di bianco
E l’altro l’addocchia seduto su un sasso
Con l’anima pacata sul mare, stanco,
M’indica poco più avanti un fosso.
Devo morire, di nuovo, nevvero
Per poi ritornare appena migliore.
Il giovane ascolta, accende un cero,
Il vecchio affila una debole scure.
La spiaggia mi parla scrosciando,
Restiamo in silenzio, non penso
Mi alzo, poi stiamo già andando
Ai bordi del fosso, io cerco un senso.
Il gruppo si fonde, il sole mi brucia
La mano che stringe sul legno,
Mi chiedo perché per forza con l’ascia
Se neanche del manico son degno.
Ma dal bosco appare un’aurora
E perdo l’arma, cedo all’inchino.
Prende forma una signora
Di pelle chiara e capello corvino.
Mi parla con bocca serrata
Di cose che so ma che non conosco
E torno a guardarla, a me prostrata
Ora, m’avvicino, tremo e m’accosto
A cercar uno sguardo suo amico
Che spieghi risposte e vele
Sperando che l’isola ove son finito
Non sia la cornice del pozzo del male.
Il volto suo s’accenna piano
Ma all’altezza del mio fissare
Tutto vien nero, una fitta allo sterno
Mi stringe in ginocchio a imprecare.
Quel senso di vuoto alle spalle
Fa perder dal masso l’appiglio
E un tuono, l’urlo di un folle
Dipingo nel buio e mi sveglio.
Il letto ancor madido e caldo
E tu che riposi, non qui vicino,
Ti cerco nell’etere, m’alzo
E decido d’aspettar mattino
Sul bordo del mondo che già ti cantavo
A vent’anni o qualcosa di meno,
Quando volevo viver di svago
E’l bicchiere sempre mezzo pieno.
Ma come sempre le leggi fisiche
Mi fan scartar le idee illogiche
Così parlo di noi solo nelle mie liriche
E tu parli di noi nelle maree oniriche.
