“Cloutpark”

The Story

Quando l’ombra nera apparì intorno al contorno in legno della porta della taverna, il silenziò cadde lungo i tavoli e sulle facce dei commensali si dipinse un’espressione di indisposizione e timore. La reputazione di Helmut Vinker lo precedeva in ogni anfratto della nazione. Conosciuto anche con il soprannome più che adeguato “la Macchina da Morte”, l’energumeno aveva imparato ad apprezzare ogni sfaccettatura malvagia e non vera a riguardo. I contorni fisici dell’uomo si delineavano lentamente mentre i deboli raggi rosati del tramonto penetravano dalle finestre sporche del Cloutpark, sporcando l’alone di buio che si trascinava addosso. Il lungo e spesso mantello polveroso che teneva sulle spalle dondolava a ogni pesante passo e un tintinnìo ferroso soffocava sotto gli strati di tessuto che gli coprivano il corpo, dal collo a metà coscia.

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Franz, il barista del Cloutpark, era ormai abituato all’effetto che la Macchina da Morte aveva sulla sua clientela e, istintivamente, si voltò verso l’alto scaffale in legno dietro il bancone, afferrò la bottiglia di liquore alla liquirizia e ne riempì un bicchiere. Helmut raggiunse il liquido scuro e lo ingurgitò senza batter ciglio, crollando su uno sfortunato sgabello che gracchiò dalla fatica. Helmut si asciugò il fitto baffo brizzolato e sospirò quasi con malinconia, prima di spingere di nuovo il bicchiere verso Franz che, con la bottiglia in mano, versò il secondo round.

La gabbia si aprì di scatto, azionata da un cordone lungo almeno 4 metri; le sbarre ressero a malapena lo schiocco del meccanismo e il contenitore, al limite della resistenza, si incrinò in un lamento di dolore, incrinandosi lungo le assi dei lati. La creatura balzò fuori facendo presa sui ciottoli con i forti e lunghi artigli, in un’accelerazione fuori dal comune, senza esitazione, gli occhi vitrei puntati in avanti, le orecchie rovinate piegate verso la coda.

Helmut giocava con il manico del suo pugnale, da sotto i vestiti, con il braccio che non aveva ancora estratto; i caldi guanti a mezzo-dito gli permettevano di percepire ogni pregevole dettaglio del manico di metallo, ricoperto di velluto – sentiva i polpastrelli consumati farsi largo tra le pieghe del tessuto avvolto con cura e, come in trance, rivedeva ogni volta che fu costretto a usarlo senza esitazione, senza pietà, con la ferocia e la mancanza di rispetto che si adattano solo all’ascia spezzata di un assassino.

Il sanick abbattè la porta con estrema facilità, barcollando all’impatto col suolo, alcune schegge infilate sulle zampe anteriori; un grosso pugnale lo graffiò sul fianco, lacerandogli la spessa pelle per quasi tutta la lunghezza. I tavoli rovesciati e le urla di terrore si confondevano con il ruggito del canide affamato che ora aveva trovato una buona presa sul pavimento legnoso del Cloutpark. Helmut stava memorizzando il punto d’impatto del suo pugnale, ora piantatosi a pochi centimetri dalla porta di ingresso, per andare a recuperarlo più tardi. Il sanick balzò verso la Macchina da Morte, sbavando, la bocca spalancata che lasciava trapelare solo un verso rauco. Helmut fece crollare il suo intero peso per terra per evitare la bestia che andò a frantumare la maggior parte delle bottiglie oltre il bancone. Nel tempo che servì alla fiera affamata per ritornare in posizione d’attacco, Helmut aveva già ripreso la sua postura eretta, uno schioppetto a doppia canna in mano, il braccio stabile e retto che puntava verso la belva.

Glormann e Sly ebbero solo il tempo di recuperare la gabbia e valutare quanto tempo ci sarebbe voluto prima di poter razziare anche il Cloutpark. Micha Glormann osservava la sua cerbottana da una parte e contava i dardi appesi alla grossa cinta in pelle. Sly srotolò il suo enorme sacco in juta. Dal bagliore delle luci della taverna, sporcato dalle ultime pennellate di tramonto, Helmut trascinava fuori dal locale il corpo insanguinato del demone a quattro zampe e arpionava con lo sguardo i due predoni. Glormann e Sly percepirono le gambe prendere fuoco e abbandonarsi in un tremolìo involontario. Helmut procedeva a passo deciso, a lunghe falcate, verso i due; lasciò la presa sull’animale ed estrasse una seconda arma da fuoco, identica alla prima, alzando le grosse braccia muscolose verso quelle che ora erano due figure voltate di spalle che correvano verso il boschetto.

I due spari si confusero l’uno nell’altro ed echeggiarono per un istante nel primo buio, accompagnati dall’ululato dei cani della zona; Johann si avvicinò a Helmut, il cappuccio stropicciato gli cadde sulle spalle mentre, con una mano offriva un bicchiere di liquido scuro all’energumeno. “Caricami quel diavolo sulla carrozza.” sospirò Johann dalle sue labbra pallide e fini. Helmut sorrise sotto il baffo, in un grugnito torvo.

Image by Xanathon
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