Il Diario dei Trialoghi Icastici #227 (#592)

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11/02/1925 – ore 08:01 – #227 (#592)

Ecco che nell’ovatte tiepide e innocue della foschia di Greenrice mi vien di chiudere i tomi e lassarmi cullare dal rigagnolo di pensieri cotonati e permeati di sana speme, quasi a permetter loro di afferrare le redini del dì ch’ha d’incipire per vero. Nell’incombenze e l’urgenze della consuetudine indaffarata del quotidiano, ‘sì scarse son l’ore – che dico, l’attimi – che ‘l silente vivere diviene l’unica preoccupazione di corpo e spirito. Sarà ‘l comodo albeggiare pastellato ch’or sovviene gentile a dettare chetamente il ritmo del mio respirare, sarà oppure di contro la stremata resilienza ch’offro ogniddì all’obbligazioni asettiche e severe, o ancora sarà, quissà, un poco d’ogni cosa, che fu e ch’è, ad avermi trascinato d’in tra sentierini ch’or bisbigliano colle mie voci e narrano d’ogni viso, luogo e racconto ch’ho bracciato ‘n tutti l’anni. Sarà ‘l sedermi in fine al tavolo della taverna coll’antropomorfizzata presenza della mia stessa mortalità ch’or m’allieta col suo discorrere solenne, lo ch’ho sempre scioato e deriso, lo ch’ho sempre mantenuto a miglia distanti, fiero dell’incangiabile mio esteriore, saldo nel mio esperire interiore, fragile, di contro, nel mio celarne i bordi, qual come a mezzodì soleggia su un guardo rivolto ai cieli. Ecco ov’è la poesia e ‘l sangue novello ch’abbisogna l’uomini; in le timide carezze d’un infinito ch’ha di che dire tutto sin un solo rumore, nel_lassarsi ascoltare quando ‘n si ha nulla di che dire.

Scorcio su Greenrice, Contea di Greenrice, 1925


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