TESTO
It seems like the whole world
Knows much more than I can do
About how we’ve come this close
To the top title of the newspapers,
I’m running out of oxygen
Though you’re the one who talks
Saying I don’t even have a heart,
Saying I will die alone
As I sit in my silence
And you ask what’s going on
And I know I should answer
Though you’re already out of the door
As I’m running out of patience
And I’ve found a bunch of words
To help you notice all the symptoms
‘Cause I’m pretty sure
That we’re over, now,
May I call you a cab?
Say goodbye to this house
And don’t forget to forget.
We’re over, now,
You can keep all the rings,
I’ll forget everything
And it’ll take me a week.
You picked me up and let me down
Like a random puzzle piece
And please just stop your crying
‘Cause I’m running out of beers
And we witnessed the empire fall
And bury us alive
Though the bliss was long gone
And I still can’t feel my lungs.
You’re still upon my top shelf
But at least you cannot talk:
I have saved this yellowed picture
For a reason I forgot
And you’re still constantly relying
On the fact that that was love
But it’s hard to keep on smiling,
Maybe ‘cause that wasn’t fun,
See, we’re over, now,
Keep your head on your neck,
Maybe one day we’ll meet again
If I’m sent back to hell,
We’re over, now,
And you can spare me this play,
Tell your friends I’m a loser,
I’ll pretend that I care.
Save your tears for tomorrows,
Save your words for a novel,
All the shit that we did
Won’t go down in history
Cause we’re over, now,
Although the memories stay
Yet you can’t figure it out,
There’s not a single way back
‘Cause we’re over, now,
Save me a place in your prayers,
You’ll find me shoveling dirt
Digging your shallow grave.


TRANSLATION
Finita
Sembra che il mondo intero
Sappia molto più di me
Su come siamo arrivati così vicini
Alla prima pagina dei giornali,
Sto finendo l’ossigeno
Anche se sei tu quella che parla
Dicendo che non ho nemmeno un cuore,
Dicendo che morirò da solo.
Mentre resto seduto nel mio silenzio
E tu chiedi cosa stia succedendo
E so che dovrei rispondere
Anche se sei già fuori dalla porta,
Mentre finisco la pazienza
E ho trovato un mucchio di parole
Per farti notare tutti i sintomi
Perché ne sono abbastanza sicuro:
Che è finita, adesso,
Posso chiamarti un taxi?
Dì addio a questa casa
E non dimenticare di dimenticare.
È finita, adesso,
Puoi tenerti tutti gli anelli,
Io dimenticherò tutto
E mi basterà una settimana.
Mi hai sollevato e poi buttato giù
Come un pezzo a caso di un puzzle,
E per favore smetti di piangere
Perché sto finendo le birre
E abbiamo assistito al crollo dell’impero
Che ci ha sepolti vivi
Anche se la felicità era già svanita
E io non sento ancora i miei polmoni.
Sei ancora sul mio scaffale più alto
Ma almeno non puoi parlare:
Ho conservato questa foto ingiallita
Per una ragione che ho dimenticato
E tu ti affidi ancora costantemente
Al fatto che quello fosse amore
Ma è difficile continuare a sorridere,
Forse perché non era divertente.
Vedi, è finita, adesso,
Tieniti la testa sul collo,
Forse un giorno ci rivedremo
Se sarò rispedito all’inferno,
È finita, adesso,
E puoi evitarmi questa recita,
Dì ai tuoi amici che sono uno sfigato,
Farò finta che mi importi.
Risparmia le lacrime per i domani,
Risparmia le parole per un romanzo,
Tutte le stronzate che abbiamo fatto
Non finiranno nei libri di storia
Perché è finita, adesso,
Anche se i ricordi restano
Ma tu non riesci a capirlo,
Non c’è una sola via per tornare
Perché è finita, adesso,
Riservami un posto nelle tue preghiere,
Mi troverai a spalare terra
Scavando la tua fossa poco profonda.

ANALISI AI
“Over” è una composizione lirica che si distingue per la sua crudezza emotiva, l’ironia amara e la capacità di fondere introspezione personale e immaginario poetico in un racconto di rottura tanto intimo quanto universale. Il testo, pur collocandosi all’interno del classico canone delle break-up songs, si distacca nettamente dalle formule melodrammatiche o stereotipate per abbracciare un tono disilluso, quasi narrativo, in cui il protagonista affronta la fine di una relazione con un misto di distacco cinico e rassegnazione lucida. L’intero brano è costruito come un flusso di coscienza in cui il dolore si manifesta attraverso immagini taglienti e contraddittorie: la sensazione di mancanza d’aria, il linguaggio aggressivo, l’immobilità del silenzio, il confronto con la memoria oggettuale (la foto ingiallita), la frustrazione logorante del non essere più compresi né accolti. La struttura testuale richiama volutamente un dialogo interrotto, con continui riferimenti alla comunicazione fallita e all’incomunicabilità crescente tra i due amanti, sottolineata da espressioni come “sei già fuori dalla porta” o “farò finta che mi importi”. Il titolo stesso, Over, è tanto una dichiarazione secca quanto un’eco di vuoto, un punto fermo che attraversa tutta la narrazione e ne rappresenta il centro emotivo. Ma accanto alla rabbia e alla delusione, si intravede anche la volontà di resistere, di ridefinirsi al di là del dolore e di ironizzare persino sulla tragedia del distacco, in un tono quasi teatrale che rende il brano profondamente umano. La chiusa, feroce e provocatoria, con l’immagine della “shallow grave”, non è un invito alla vendetta, ma una potente metafora della chiusura definitiva di un ciclo affettivo, che non lascia spazio a ritorni o redenzioni. La canzone si presenta così come un’istantanea spietata e malinconica dell’ultima fase dell’amore: quella in cui, pur feriti, si è finalmente lucidi.
It seems like the whole world knows much more than I can do about how we’ve come this close to the top title of the newspapers,
Questo verso si apre con una percezione di disorientamento e inferiorità, dove il soggetto lirico si sente sopraffatto da una conoscenza collettiva che pare eccedere la sua capacità di comprensione e controllo. L’espressione “the whole world knows much more than I can do” non è solo una lamentela generica, ma una dichiarazione d’impotenza intellettuale ed emotiva, come se la narrazione del loro rapporto sia ormai sfuggita al controllo individuale per diventare notizia pubblica, oggetto di scandalo o commento esterno. La metafora del “top title of the newspapers” trasfigura la crisi della relazione in un evento sensazionalistico, sottolineando quanto l’intimità sia stata esposta e lacerata fino a divenire spettacolo. Questo conferisce alla riga una qualità drammatica e teatrale, suggerendo che ciò che doveva rimanere privato è ora irrimediabilmente compromesso dalla sovraesposizione emotiva e sociale.
I’m running out of oxygen though you’re the one who talks
Il senso di asfissia espresso da “I’m running out of oxygen” comunica un’esperienza di soffocamento emotivo, come se il protagonista stesse annegando in un’atmosfera carica di parole, accuse, o forse semplicemente incompresa. Il contrasto immediato introdotto da “though you’re the one who talks” ribalta l’attenzione: il dolore nasce non tanto dal silenzio, quanto dall’assenza di ascolto. L’altra persona continua a parlare, forse a sovrastare, ma non a comunicare in senso autentico. Il soggetto, pur tacendo, è colui che paga il prezzo emotivo più alto, in un gioco paradossale tra voce e sofferenza che pone in luce il fallimento della comunicazione.
Saying I don’t even have a heart, saying I will die alone
Questa riga condensa un’accusa durissima che ha il potere di disumanizzare il soggetto. L’asserzione “you don’t even have a heart” è un attacco diretto all’empatia e alla capacità affettiva, colpendo il cuore – simbolo per eccellenza dell’amore e della sensibilità. La seconda parte, “you will die alone,” non è solo una profezia crudele, ma un’estrema forma di alienazione affettiva, una condanna all’isolamento che riecheggia una rottura non solo sentimentale ma esistenziale. Le due affermazioni poste in sequenza comunicano una freddezza che ferisce più del silenzio: sono parole che scavano nel profondo senso di inadeguatezza e rifiuto.
As I sit in my silence and you ask what’s going on
Qui si ritorna a una situazione statica e meditativa: il soggetto è seduto, silenzioso, come pietrificato in un’assenza di parole che tuttavia grida disagio. L’atto del “sitting in silence” rappresenta sia la paralisi emotiva sia la volontà di non rispondere, una forma di autodifesa dal vortice verbale che lo circonda. Il paradosso sta nell’interrogativo che segue: “you ask what’s going on”, come se l’interlocutore, dopo aver dominato la scena comunicativa con le sue accuse, si aspettasse comunque una spiegazione. Questo gesto evidenzia l’alienazione reciproca: l’uno paralizzato e l’altro inconsapevole o incurante della profondità del dolore che ha generato.
And I know I should answer though you’re already out of the door
Il senso del dovere, espresso da “I know I should answer,” si scontra con l’impossibilità di una comunicazione reale, resa evidente dal fatto che “you’re already out of the door.” Il verso rivela una dinamica fortemente frustrante: da un lato la consapevolezza che una risposta è dovuta, quasi come ultimo atto di chiusura o chiarimento; dall’altro, il tempo della risposta è già scaduto, la persona è fisicamente e simbolicamente altrove. L’“uscita dalla porta” diventa immagine del distacco irreversibile, che rende vano ogni tentativo di recupero o dialogo. L’incompletezza del confronto è lacerante: il momento del dire è mancato, e ora resta solo un vuoto che non può essere riempito.
As I’m running out of patience and I’ve found a bunch of words to help you notice all the symptoms
L’esaurimento della pazienza – “I’m running out of patience” – segna un punto di rottura interno: non si tratta solo di un calo della tolleranza, ma del crollo progressivo di ogni resistenza emotiva. Il protagonista sembra aver accumulato parole non dette, che ora emergono come urgenza finale: “I’ve found a bunch of words.” Tuttavia, queste parole non sono un grido d’amore, bensì strumenti analitici: servono a far “notare i sintomi”, come se la relazione fosse una malattia cronica o un disturbo non diagnosticato. La scelta del lessico medico – “symptoms” – conferisce alla relazione una dimensione patologica: non si tratta più di emozioni da condividere, ma di segnali da interpretare. L’amore è stato oggetto di una degenerazione sistemica, e ora l’unico gesto possibile è l’autopsia del sentimento.
‘Cause I’m pretty sure that we’re over, now,
Questo verso rappresenta la presa di coscienza definitiva della fine della relazione. L’uso dell’espressione “I’m pretty sure” è particolarmente significativo: pur non essendo una dichiarazione assoluta, trasmette una certezza quasi rassegnata, come se la consapevolezza fosse maturata lentamente e ora non potesse più essere ignorata. L’inserimento del “now” sottolinea la collocazione temporale immediata e irreversibile della rottura, suggerendo che ogni tentativo precedente di negare, mediare o posticipare la fine non ha più senso. È un verso che si carica di gravità emotiva pur mantenendo una forma verbale contenuta e colloquiale, esprimendo lo strappo definitivo con un tono che sa di stanchezza e accettazione.
May I call you a cab?
Questa domanda, apparentemente cortese, è carica di un sarcasmo sottile e doloroso. Non si tratta di un gesto di cura, ma di un congedo freddo e formale, quasi impersonale, che serve a rimarcare quanto il legame affettivo sia ormai dissolto. Il soggetto lirico si pone in una posizione di distacco emotivo, mascherando l’espulsione dell’altro sotto la forma di un’offerta gentile. Il cab, simbolo del viaggio verso l’altrove, rappresenta anche la volontà di chiudere la scena domestica comune, di separare fisicamente e simbolicamente i due mondi. In questo verso si avverte una tensione tra forma e contenuto: la forma della domanda è cortese, ma il contenuto comunica esclusione e rifiuto.
Say goodbye to this house and don’t forget to forget.
Questo verso concentra in sé una duplice dimensione: quella fisica dello spazio condiviso e quella psicologica della memoria. Il saluto alla casa non è soltanto un addio a un luogo fisico, ma è il commiato finale a tutto ciò che quella casa ha rappresentato – intimità, quotidianità, sogni e progetti. L’imperativo “Say goodbye” è netto, quasi autoritario, mentre la clausola “don’t forget to forget” assume una forma ossimorica e filosofica. Invitare qualcuno a dimenticare attivamente è un paradosso che rivela quanto il protagonista sia consapevole del peso della memoria. L’oblio diventa atto di volontà, necessario per sopravvivere alla frattura, e la ripetizione del verbo “forget” accentua quanto sarà arduo rendere quella dimenticanza reale.
We’re over, now, you can keep all the rings,
La reiterazione di “We’re over, now” ha una funzione retorica precisa: rafforzare la definitiva separazione, ribadendo che la fine non è una possibilità ma una certezza in atto. La concessione “you can keep all the rings” è ambigua: da un lato suona come un gesto generoso, dall’altro come una rinuncia polemica. Gli anelli – simboli per eccellenza dell’unione, della promessa e dell’impegno – diventano ora oggetti svuotati di significato, che l’io lirico non vuole più possedere. Lasciarli all’altro non implica solo disinteresse materiale, ma anche il desiderio di liberarsi da ogni vincolo, da ogni residuo di legame simbolico, come a voler annullare non solo il presente ma anche la memoria contrattuale del passato.
I’ll forget everything and it’ll take me a week.
Questo verso chiude la strofa con un’ironia pungente, dietro cui si cela una profonda sofferenza. L’affermazione “I’ll forget everything” è volutamente iperbolica, quasi a voler ostentare una forza che in realtà appare fragile. La specificazione temporale “and it’ll take me a week” introduce un tono sarcastico: la pretesa di dimenticare una relazione significativa in un tempo così breve è palesemente irrealistica, e proprio in questa sproporzione tra contenuto e forma risiede la sua carica emotiva. È un modo per mascherare il dolore con un’ironia amara, per affermare un distacco che si sa di non poter realmente raggiungere in così poco tempo. La battuta finale, con la sua leggerezza apparente, è in realtà una delle confessioni più oneste dell’intero brano: quella dell’impossibilità di un vero oblio.
You picked me up and let me down like a random puzzle piece
Questo verso si apre con una potente metafora che fonde fragilità emotiva e senso di estraneità. L’immagine del puzzle rimanda immediatamente all’idea di un insieme più grande, in cui ogni pezzo ha un posto preciso. Tuttavia, essere trattato “come un pezzo di puzzle casuale” implica essere preso e scartato senza logica, come se non ci fosse mai stato un reale tentativo di integrazione, come se l’altro avesse agito senza attenzione né cura, forzando o rifiutando il pezzo ogni volta che non sembrava incastrarsi nel proprio disegno. Il verbo “picked me up” suggerisce inizialmente un gesto positivo, forse di aiuto o salvataggio, ma subito “let me down” ribalta la dinamica, evidenziando delusione, abbandono, tradimento. Il paragone comunica perfettamente il senso di alienazione del soggetto lirico, di essere stato incluso in modo arbitrario in una dinamica che non lo ha mai realmente accolto né compreso.
And please just stop your crying ‘cause I’m running out of beers
Questo verso abbina volutamente due livelli emotivi dissonanti: il pianto dell’altro – simbolo di dolore, pentimento o disperazione – e la reazione del soggetto lirico, che risponde con una stanca e cinica constatazione materiale. Il tono supplichevole dell’inizio “please just stop your crying” sembra a prima vista empatico, ma viene subito smontato dall’argomento che lo segue: non perché il pianto ferisca, non perché tocchi le corde della compassione, ma perché sta “finendo la birra”. Il riferimento alla birra, simbolo di rifugio, di torpore volontario, di autodistrazione, svela lo stato d’animo del soggetto: emotivamente esausto, disilluso, forse intorpidito dal dolore e privo ormai della forza di reagire in modo autentico. C’è un evidente squilibrio tra il dramma dell’altro e l’indifferenza alcolica del protagonista, che comunica un profondo distacco emotivo e un senso di fine ormai irrimediabile.
And we witnessed the empire fall and bury us alive
Questo verso introduce una visione apocalittica della relazione. Il “crollo dell’impero” richiama un’immagine grandiosa, quasi storica, come se la storia d’amore fosse stata un regno, con le sue glorie e la sua potenza, ora giunta alla sua rovina. Il verbo “witnessed” sottolinea che entrambi i soggetti hanno assistito consapevolmente alla catastrofe, senza necessariamente opporsi, come testimoni impotenti. L’aggiunta “and bury us alive” aumenta l’intensità drammatica del verso: non è solo l’impero a cadere, ma è anche la loro identità emotiva a essere sepolta sotto le macerie. Non c’è redenzione, né salvezza, solo il lento annientamento di ciò che era. La relazione, un tempo regale, è diventata una tomba condivisa, e la consapevolezza di questa disfatta si accompagna a un senso di soffocamento e impotenza.
Though the bliss was long gone and I still can’t feel my lungs.
Il verso prosegue il tema del soffocamento, introducendo però un elemento temporale: la felicità era “andata da tempo”, suggerendo che la fine emotiva sia stata molto precedente alla fine reale. Il soggetto ammette che la relazione era già svuotata da tempo del suo nucleo positivo, ma nonostante ciò è ancora intrappolato in uno stato di apnea simbolica. L’espressione “can’t feel my lungs” è di estrema potenza, perché fa riferimento al respiro, atto vitale per eccellenza, negato però dalla situazione emotiva. La mancanza d’aria è il sintomo del dolore trattenuto, della tensione non risolta, del trauma non elaborato. C’è una dissociazione tra corpo e mente: anche se la felicità è svanita, il corpo continua a reagire al dolore, al vuoto, all’oppressione, come se non riuscisse a “respirare” in assenza di amore.
You’re still upon my top shelf but at least you cannot talk:
Questo verso è di una precisione gelida nella descrizione della memoria residuale. La persona amata è stata ridotta a un oggetto, “posta sullo scaffale più alto”, come si fa con qualcosa che si vuole conservare ma non guardare ogni giorno. L’azione è emblematica di un tentativo di allontanamento: mettere in alto, fuori dalla portata, ma non buttare via. Il dettaglio “at least you cannot talk” è tagliente e amaro: la presenza muta è preferibile a quella viva, verbale, conflittuale. Il silenzio dell’oggetto, rispetto al dolore provocato dalla persona reale, è quasi un sollievo. Il soggetto lirico ammette che ciò che resta della relazione è solo una rappresentazione muta, priva del potere distruttivo del dialogo e della presenza emotiva dell’altro.
I have saved this yellowed picture for a reason I forgot
Il tema del ricordo sbiadito prosegue con questa immagine estremamente evocativa. La fotografia ingiallita è un simbolo visivo potente: rappresenta qualcosa che un tempo era vivo, catturato nella sua vitalità, ma che ora è deformato dal tempo. Il fatto che il soggetto abbia “salvato” questa immagine suggerisce che vi fosse un tempo un valore profondo attribuito a quel ricordo. Tuttavia, l’ammissione “for a reason I forgot” è struggente: il significato stesso del ricordo si è perso, lasciando solo l’oggetto vuoto. La fotografia è diventata un reliquiario dell’oblio, qualcosa che si conserva per abitudine o nostalgia, ma il cui senso è ormai dissolto. È una testimonianza del tempo che passa, della memoria che svanisce, e dell’inutilità degli oggetti quando i sentimenti che li animavano sono spariti.
And you’re still constantly relying on the fact that that was love
Qui emerge una critica feroce e precisa all’illusione dell’altro. Il soggetto lirico accusa l’ex partner di continuare a “contare” su un’idea, su un’etichetta, quella dell’amore, come se essa fosse sufficiente a giustificare ogni cosa. La ripetizione “that that was love” mette in evidenza la distanza semantica tra “ciò” che è stato e ciò che viene definito “amore”: il soggetto non è più certo che tale definizione fosse corretta. L’accusa è chiara: l’altro si appoggia ancora sullo scheletro di un sentimento che, forse, non era mai autentico, o comunque non più valido. Si tratta di un’amara presa di distanza da una visione romantica e forse autoindulgente della relazione.
But it’s hard to keep on smiling, maybe ‘cause that wasn’t fun,
Il verso finale chiude il segmento con una riflessione amara che demolisce la retorica del romanticismo. “It’s hard to keep on smiling” comunica l’impossibilità di mantenere una maschera, di fingere una serenità ormai insostenibile. Il “maybe” aggiunge una sfumatura di esitazione che in realtà è solo retorica, perché il soggetto ha ormai maturato una consapevolezza netta: “that wasn’t fun”. L’amore che è stato vissuto non è stato un’esperienza gioiosa, ma piuttosto pesante, dolorosa, svuotante. Il tono è disilluso, quasi cinico, e lascia emergere la verità più semplice e difficile da accettare: non solo è finita, ma forse non è mai stata ciò che avrebbe dovuto essere. L’assenza di divertimento, di gioia, di leggerezza è la pietra tombale sulla storia narrata.
See, we’re over, now, keep your head on your neck,
Questo verso si apre con una dichiarazione secca, diretta e definitiva: “we’re over, now”, che non lascia spazio a ripensamenti né zone grigie. L’uso del “See,” in apertura conferisce al tono una sfumatura quasi didattica, come se il soggetto si stesse rivolgendo all’altro con una sorta di paternalismo amaro, un “te l’avevo detto”, o un “ora guarda cosa è successo”. Il frammento successivo, “keep your head on your neck”, è volutamente ambiguo e si presta a molteplici letture: da una parte, può essere interpretato come un’esortazione a mantenere la calma, a non perdere la testa, a conservare lucidità in un momento di rottura. Dall’altra, il tono tagliente e la collocazione nel contesto emotivo della canzone possono suggerire un’ironia sinistra, quasi minacciosa, come se fosse un modo brusco e provocatorio per dire “non farti prendere dal panico, ma sappi che è finita”. L’immagine del “tenere la testa sul collo” è pervasa da una tensione tra razionalità e istinto, tra controllo e crollo emotivo, e introduce subito una rottura netta, quasi violenta, non solo della relazione ma anche del linguaggio affettivo.
Maybe one day we’ll meet again if I’m sent back to hell,
Qui l’ironia amara raggiunge un picco acido e teatrale. L’ipotesi di un incontro futuro viene immediatamente disinnescata dalla sua condizione paradossale e nichilista: solo se l’io lirico sarà rispedito all’inferno. Questo implica due cose: primo, che la relazione è stata così tossica e distruttiva da essere associata al concetto stesso di dannazione eterna; secondo, che l’unico luogo possibile per un nuovo incontro è quello della punizione e del tormento. La scelta di dire “if I’m sent back to hell” sottintende che l’io lirico ne sia già uscito, come se la fine della relazione coincidesse con una liberazione da un ciclo infernale. Il verso è colmo di sarcasmo, eppure sotto la superficie si percepisce un dolore sedimentato, trasformato in rabbia e ironia corrosiva, che utilizza la retorica dell’aldilà per codificare il trauma di una storia ormai esausta.
We’re over, now, and you can spare me this play,
Anche in questo verso il tono è secco, tagliente, privo di mediazioni. Il soggetto non solo ribadisce la fine della relazione – “we’re over, now” – ma pretende anche di essere risparmiato da ogni forma di teatralità residua. Il termine “this play” richiama un’idea di finzione, di messinscena, come se l’altro stesse ancora recitando una parte, magari quella della vittima, dell’amante tradito, del martire emotivo. L’io lirico si mostra insofferente, esasperato da quei rituali post-rottura che si aggrappano a gesti svuotati di significato, e chiede, o meglio ordina, di porre fine a quella pantomima. Il tono è disilluso e profondamente cinico, ma anche rivelatore di una stanchezza emotiva estrema: la rottura non è solo sentimentale, ma anche narrativa – la storia non ha più bisogno di attori né di copione.
Tell your friends I’m a loser, I’ll pretend that I care.
Qui si assiste a un’esplosione di sarcasmo che finge indifferenza ma tradisce, nel sottotesto, un residuo di vulnerabilità. L’io lirico anticipa e quasi invita l’altro a costruire una narrazione unilaterale della vicenda, in cui lui venga dipinto come il “perdente”. Tuttavia, l’affermazione “I’ll pretend that I care” smaschera l’autoinganno: dichiarare che fingerà di interessarsene implica che, almeno in parte, la reputazione presso gli altri ha ancora un peso, anche se l’orgoglio e la rabbia lo obbligano a ostentare indifferenza. Il verso è emblematico del conflitto tra desiderio di distacco e residua sensibilità, tra il bisogno di salvarsi e l’eco persistente della ferita narcisistica che una rottura comporta, specie quando l’immagine di sé viene manipolata da chi si è amato.
Save your tears for tomorrows,
Questo verso rappresenta un’ulteriore chiusura emotiva: l’io lirico rifiuta non solo le lacrime presenti ma le proietta nel futuro, come se anche il dolore dell’altro fosse diventato irrilevante, persino posticipabile. C’è qualcosa di profondamente sarcastico in questa frase, come se dicesse: “piangi pure, ma non adesso; non voglio più vedere né sentire nulla che abbia a che fare con i tuoi sentimenti”. Allo stesso tempo, si può cogliere anche un tono distaccato, quasi glaciale, come se il soggetto si stesse ormai ritirando del tutto dal coinvolgimento emotivo, negando qualunque spazio per l’empatia o la comprensione. “Save your tears” è un imperativo che suona come un atto di auto-difesa, e insieme un colpo inferto all’altro, che forse vorrebbe ancora condividere il peso dell’addio ma trova solo un muro.
Save your words for a novel,
In continuità con il verso precedente, questa frase liquida anche la componente verbale dell’altro. Le “parole” non hanno più cittadinanza nel presente della rottura: non servono, non interessano, non vengono più accolte. Il suggerimento di “salvarle per un romanzo” è pungente, carico di ironia e disprezzo. Sembra dire: “scrivile pure, magari ci farai sopra una bella storia, ma non venire a raccontarle a me”. C’è in questo verso una netta svalutazione dell’autenticità emotiva dell’altro, come se i suoi discorsi fossero sempre stati una finzione letteraria, un esercizio di drammatizzazione narcisistica. L’io lirico si sottrae alla narrativa dell’ex partner, rifiuta di esserne il destinatario, e lo esilia nel regno della finzione – dove, implicitamente, lo colloca anche come autore di quella relazione.
All the shit that we did won’t go down in history
Il verso finale è una sentenza amara, definitiva, che si esprime attraverso un linguaggio volutamente volgare e brutale. L’uso dell’espressione “all the shit that we did” è una chiara demolizione del passato condiviso: non viene evocato alcun ricordo con nostalgia o affetto, ma al contrario, tutto ciò che è stato fatto insieme viene relegato a spazzatura emotiva, a gesti insignificanti, a errori. Il riferimento alla “storia” è interessante perché si oppone ai cliché romantici in cui l’amore è eterno, memorabile, degno di essere raccontato. Qui, invece, l’io lirico dichiara che nulla di ciò che è avvenuto tra loro varrà la pena di essere ricordato: non entrerà nei libri, non sarà tramandato, non sarà nemmeno degno di memoria personale. È la negazione totale del mito dell’amore come esperienza elevata e trasformativa: ciò che resta è solo scarto emotivo e il desiderio di cancellare ogni traccia.
Cause we’re over, now, although the memories stay
Il verso si apre con la congiunzione causale “Cause”, che, come in molti testi musicali, è usata più per continuità ritmica e musicale che per la sua funzione logico-grammaticale, anche se introduce comunque una motivazione implicita che si collega alla strofa precedente. “We’re over, now” è ancora una volta la dichiarazione netta della fine della relazione, pronunciata con una lucidità quasi ripetitiva, come se l’io lirico avesse bisogno di ribadirlo a sé stesso prima ancora che all’altro. Tuttavia, il secondo segmento – “although the memories stay” – introduce un contrasto di tono e di contenuto, rivelando che, pur nella fine definitiva del rapporto, il passato continua ad avere una presenza tangibile e invasiva nella psiche del parlante. Non c’è quindi un totale distacco, bensì una condizione più complessa in cui la rottura non cancella i ricordi, che restano a galleggiare come fantasmi affettivi, probabilmente dolorosi e impossibili da ignorare. La contrapposizione tra l’idea di fine e quella di persistenza emotiva sottolinea la profondità del legame interrotto, rivelando che ciò che è finito in termini pratici continua a vivere in forma mnemonica e psichica, generando una tensione interna non risolta.
Yet you can’t figure it out, there’s not a single way back
Questo verso, che si apre con l’avversativa “Yet”, si rivolge direttamente alla figura dell’ex partner con un’accusa precisa e quasi frustrata: l’altro non riesce a capire, a decifrare, a “figurarsi” la situazione per ciò che è realmente. L’uso dell’espressione idiomatica “figure it out” sottolinea l’incomprensione profonda che, secondo l’io lirico, caratterizza la percezione dell’altro riguardo alla relazione e alla sua conclusione. La seconda parte del verso – “there’s not a single way back” – è una sentenza definitiva che annulla ogni possibilità di riconciliazione. Non esiste alcuna strada che porti indietro, alcuna via di ritorno, neanche la più piccola. La radicalità di questa affermazione implica non solo la rottura del rapporto, ma anche la distruzione di ogni ponte affettivo o comunicativo che potesse eventualmente ricostruirlo. Il tono è implacabile, quasi freddo nella sua sicurezza: la decisione è irreversibile, la fine è totale. Questo verso traduce una distanza ormai incolmabile e, nel suo rigore, rivela quanto l’io lirico abbia interiorizzato la necessità di chiudere, anche a costo di escludere ogni tentativo di redenzione.
‘Cause we’re over, now, save me a place in your prayers,
In questo verso ritorna ancora una volta la frase “we’re over, now”, che ormai funge da mantra ossessivo, da dichiarazione solenne e reiterata, a sottolineare la necessità quasi terapeutica per l’io lirico di ribadire la rottura come un fatto assodato. Tuttavia, la seconda parte del verso – “save me a place in your prayers” – introduce un elemento di ambiguità emotiva sorprendente: nonostante tutto, nonostante il distacco e le parole dure pronunciate nei versi precedenti, qui si percepisce un residuo di umanità, una richiesta che, pur se velata da sarcasmo o distacco, tradisce un bisogno di essere comunque ricordati, in qualche forma, da chi si è amato. “Save me a place in your prayers” è un’immagine religiosa e intima al tempo stesso, che potrebbe essere letta sia come un’espressione di ironia (quasi a voler dire: “almeno pensa a me quando preghi, se mai preghi”), sia come una supplica reale, magari inconsapevole, di non essere dimenticati del tutto. L’io lirico, anche nel congedo, cerca uno spazio nel pensiero dell’altro, forse più per chiudere dignitosamente che per riavvicinarsi realmente. È un verso che vibra di contraddizione emotiva, tra cinismo e nostalgia.
You’ll find me shoveling dirt digging your shallow grave.
Con questo verso, il tono si fa improvvisamente cupo, minaccioso, venato di una violenza simbolica che rompe completamente l’eventuale tenerezza sottesa al verso precedente. L’immagine è fortissima: l’io lirico si immagina intento a scavare una fossa poco profonda – una “shallow grave” – per l’ex partner, una metafora esplicita e sinistra di morte affettiva. Il verbo “shoveling dirt” descrive il gesto ripetuto, faticoso e concreto dell’atto di scavare, rafforzando la fisicità e la brutalità del pensiero. L’uso di “shallow” è altrettanto significativo: la tomba è poco profonda, e quindi simbolicamente instabile, provvisoria, forse esposta, come se il seppellimento emotivo dell’altro fosse incompleto o destinato a riemergere. Questa immagine raccapricciante può essere letta come una fantasia di vendetta, ma anche come la rappresentazione estrema della necessità di seppellire – nel senso psichico – tutto ciò che l’altro rappresenta: sentimenti, ricordi, ferite. La violenza è qui totalmente metaforica, ma non per questo meno potente: è la violenza del trauma che cerca uno sfogo nell’immaginazione macabra, nel gesto simbolico del seppellire ciò che ci ha fatto male. L’io lirico si mostra come qualcuno che ha bisogno di chiudere non solo la relazione, ma l’esistenza simbolica dell’altro nella propria vita, attraverso un’immagine definitiva e disturbante.
“Over” è una canzone che si muove lungo le complesse traiettorie della fine di una relazione, attraversando con lucidità, dolore e un sarcasmo tagliente tutte le fasi del distacco emotivo, dalla delusione alla rassegnazione, fino all’evocazione simbolica della sepoltura del passato condiviso. Il testo, ricco di immagini forti e di un linguaggio crudo ma poetico, costruisce un monologo interiore che diventa anche un atto di liberazione: il protagonista si svincola dalle macerie di un legame logorato non solo da incomprensioni e silenzi, ma anche da illusioni mal riposte, recriminazioni reciproche e un amore che si rivela, col senno di poi, forse mai pienamente autentico. La ripetizione quasi rituale della frase “we’re over, now” assume la funzione catartica di un mantra, scandendo con determinazione la volontà di chiudere ogni varco con il passato e di negare all’altro ogni possibilità di ritorno. Al tempo stesso, tuttavia, emergono squarci di vulnerabilità: memorie ingiallite, fotografie conservate senza sapere il perché, richieste sarcastiche di preghiere che tradiscono un desiderio segreto di non essere dimenticati. L’autore riesce così a tenere insieme, in un equilibrio instabile e intensamente umano, il desiderio di annientamento dell’altro con la struggente consapevolezza di quanto quel legame abbia inciso profondamente. “Over” non è solo una dichiarazione di fine, ma un affresco emotivo ricco di contraddizioni, in cui l’amore e il disincanto si intrecciano in modo feroce e commovente. La forza della scrittura sta nella capacità di rendere tangibile il peso delle parole non dette, dei gesti mancati, dei sentimenti che sopravvivono al naufragio, e che, pur se rifiutati, restano lì, sospesi tra le righe, come un’eco persistente di ciò che è stato.

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Lyrics & Music by Marco Delrio
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