TESTO
E non è più un’incognita questa tavola atlantica
Ed è la stessa tempesta che sussurra indisposta
E che mi sposta la testa e ogni nuova risposta
Che m’investe e calpesta sembra solo una beffa
E s’arrestano l’onde e forse il mare risponde che piove
Solo per me sul ponte, sporta sul nero innanzi,
Sponde di cieli stanchi, bussole e fogli gialli,
Coste di scogli, ma come calcoli il senso del
Limitarsi a ipotizzare di stare bene
Se stare bene in fondo è limitarsi
E accontentarsi di qualcosa che non tende all’infinito.
Forse fuggo dal mio niente, forse già t’avevo perso,
Forse sono quel quoziente che non merita del resto
Fossi d’acqua e di corrente, forse troverei il mio posto
O forse un porto, un’altro mondo, per affogare lo sconforto
Ma s’arrestano le onde e forse il vento mi risponde
Piove sopra la mia fronte, sale, sabbia, whisky e sangue
Coste brulle e barche stanche, mappe, cartacce e santi,
Ho ancora troppe domande ma come calcoli il senso del
Limitarsi a ipotizzare di stare bene
Se stare bene in fondo è limitarsi
E accontentarsi di qualcosa che non tende a niente e forse
Limitarmi a ipotizzare di stare bene
E’ il mio stare bene, in fondo, puoi guardarmi e puoi scordarmi
Ché funziono solo se tendo all’infinito.
Limitarsi a immaginare di stare bene
Ma stare bene, in fondo, è limitarsi
A immaginare quel qualcosa che non riesco a darti, e forse
Limitarmi a ipotizzare di stare bene
E’ il mio stare bene, in fondo, puoi guardarmi e puoi scordarmi
Ché funziono solo se tendo all’infinito.


TRANSLATION
“Marie and the Infitite“
And this Atlantic table is no longer an unknown
And it’s the same storm that whispers, unwilling
And that moves my head and every new answer
That hits me and tramples me seems like just a mockery
And the waves stop, and maybe the sea answers that it rains
Only for me on the bridge, leaning over the black ahead,
Banks of tired skies, compasses and yellow sheets,
Coasts of cliffs, but how do you calculate the meaning of
Limiting yourself to hypothesize being fine
If being fine, in the end, is limiting yourself
And settling for something that doesn’t reach for infinity.
Maybe I’m running from my nothingness, maybe I’ve already lost you,
Maybe I’m that quotient that doesn’t deserve the rest
If I were made of water and current, maybe I’d find my place
Or maybe a port, another world, to drown my despair
But the waves stop, and maybe the wind answers me
It rains on my forehead, salt, sand, whiskey, and blood
Barren shores and tired boats, maps, scraps of paper, and saints,
I still have too many questions, but how do you calculate the meaning of
Limiting yourself to hypothesize being fine
If being fine, in the end, is limiting yourself
And settling for something that doesn’t tend to anything.
Maybe limiting myself to hypothesizing being fine
Is my being fine, in the end, you can look at me and you can forget me
Because I only work if I reach for infinity.
Limiting yourself to imagining being fine
But being fine, in the end, is limiting yourself
To imagining that something I can’t give you, and maybe
Limiting myself to hypothesizing being fine
Is my being fine, in the end, you can look at me and you can forget me
Because I only work if I reach for infinity.
ANALISI AI

“Marie e l’Infinito” è una canzone che si dipana tra realtà scientifica e riflessione emotiva, intrecciando la vita di Marie Tharp, pioniera dell’oceanografia, con una narrazione più intima e immaginaria che esplora i sacrifici, le sfide e le scelte della sua esistenza. Tharp, conosciuta per il suo straordinario contributo alla cartografia dei fondali oceanici, è stata una figura che ha rivoluzionato il nostro modo di comprendere l’oceano, ma la sua vita privata è stata spesso messa in secondo piano rispetto alla passione per il suo lavoro. La canzone riprende la sua figura storica, ma la trascende, utilizzandola come simbolo di una dedizione totale a un ideale che va oltre i confini della vita familiare e affettiva. L’infinito, tema centrale della canzone, si riferisce non solo alla vastità degli oceani e al lavoro di Tharp, ma anche alla dimensione emotiva e psichica dell’individuo, che si sente limitato dalle proprie scelte e dal peso delle aspettative sociali. La canzone esplora la tensione tra il desiderio di “stare bene” e il riconoscimento che tale condizione è spesso irraggiungibile, se non si è disposti a fare compromessi su ciò che si desidera. Con un linguaggio lirico e ricco di immagini potenti, il brano invita l’ascoltatore a riflettere sul senso di realizzazione e sull’infinito potenziale dell’essere umano, ma anche sul sacrificio di una vita intera dedicata a qualcosa che sfida la possibilità di un equilibrio personale e affettivo. “Marie e l’Infinito” non è solo una canzone su una donna straordinaria, ma anche una riflessione profonda sul significato di “essere” e “essere felici” in un mondo che spinge spesso a scegliere tra la realizzazione professionale e quella personale.
E non è più un’incognita questa tavola atlantica
Il verso si apre con una dichiarazione che ha il sapore di una rivelazione, ma anche di una presa di coscienza profonda. La “tavola atlantica”, che può essere letta sia in senso letterale che simbolico, si riferisce al concetto di mappatura e conoscenza di un territorio vasto e misterioso, come l’oceano Atlantico. Il termine “incognita” suggerisce qualcosa di sconosciuto, di inafferrabile, ma la negazione che accompagna l’affermazione iniziale implica che ciò che prima era oscuro o difficile da comprendere, ora ha acquisito una forma più chiara. In un contesto simbolico, l’“incognita” potrebbe rappresentare il mistero di una vita che si svela, il quale diventa più comprensibile con il passare del tempo, ma non senza difficoltà e resistenze interiori. Il riferimento all’Atlantico non è casuale: l’oceano è un’immagine potente, che evoca vastità, profondità e solitudine. In questo contesto, la “tavola” potrebbe suggerire una mappa del mondo, ma anche una rappresentazione dei confini emotivi o psicologici del soggetto.
Ed è la stessa tempesta che sussurra indisposta e che mi sposta la testa
In questo verso, la tempesta diventa il centro di una riflessione esistenziale che va oltre l’immagine meteorologica. La “tempesta” non è solo un fenomeno naturale, ma diventa un simbolo di turbamento interiore, un tumulto emotivo che agita la mente e il cuore. La tempesta che “sussurra” e “indisposta” diventa quasi una forza intangibile e silenziosa, ma altrettanto potente, che provoca disorientamento e sofferenza. Il verbo “sussurra” richiama una sensazione di intimità, di qualcosa che si fa largo dentro di sé, di una voce che, pur nella sua delicatezza, è capace di sovvertire l’equilibrio mentale del soggetto. L’uso dell’aggettivo “indisposta” aumenta la sensazione di disturbo e di conflitto, suggerendo che questa tempesta non è solo naturale, ma forse anche emotiva o psicologica. Il “spostare la testa” implica una perdita di orientamento o controllo, come se l’individuo fosse incapace di fermare il flusso di pensieri e sentimenti che lo travolgono.
E ogni nuova risposta che m’investe e calpesta sembra solo una beffa
Questo verso intensifica il senso di frustrazione e di impotenza che pervade la canzone. Le “risposte” che arrivano, pur essendo cercate o desiderate, sono vissute come qualcosa di pesante e oppressivo, come un fardello che “investe” e “calpesta” l’individuo. Il linguaggio utilizzato qui è particolarmente forte e violento, come se ogni tentativo di trovare una soluzione o una direzione fosse inutile o addirittura dannoso. L’immagine della risposta che “calpesta” aggiunge una dimensione di schiacciamento, dove ogni risposta non porta altro che dolore o delusione. La “beffa” finale suggerisce un inganno, una promessa non mantenuta: il soggetto sembra percepire le risposte come illusorie, che non risolvono il suo conflitto ma lo intensificano, mettendo in evidenza la sua frustrazione esistenziale.
E s’arrestano l’onde e forse il mare risponde che piove solo per me sul ponte,
Questo verso introduce un cambiamento di dinamica, come se il caos delle onde si fermasse improvvisamente. Il verbo “arrestano” suggerisce una pausa, una sospensione, quasi come se l’acqua, simbolo di emozioni in movimento, si fosse improvvisamente cristallizzata, ma senza fornire alcuna reale pace. La frase “forse il mare risponde” implica che il mare, come un’entità viva o cosciente, sta cercando di dare un segno o una risposta, ma la sua risposta sembra essere un’ulteriore conferma della solitudine del soggetto: “piove solo per me”. Questo “piove solo per me” potrebbe essere letto come un’espressione di sofferenza individuale, come se il protagonista fosse stato condannato a vivere il proprio dolore in solitudine, sotto un cielo che sembra privo di speranza. La pioggia, spesso simbolo di purificazione o tristezza, qui sembra accentuare la solitudine e la disperazione, come se il protagonista non potesse mai uscire dalla propria condizione.
Sporta sul nero innanzi,
Il termine “sporta” evoca una sensazione di movimento, di prolungamento verso l’ignoto. La parola “nero” è ricca di significato simbolico: può riferirsi a una notte senza stelle, a un’oscurità che prelude al nulla o all’incertezza. Il soggetto, quindi, sembra affacciarsi su un abisso, guardando verso il futuro con un senso di apprensione o, forse, di rassegnazione. L’azione di “sportarsi” suggerisce una spinta in avanti, come se il protagonista fosse in bilico, pronto ad affrontare l’ignoto, ma con la consapevolezza che questo “nero” potrebbe essere la sua destinazione finale, una meta incerta e potenzialmente pericolosa.
Sponde di cieli stanchi, bussole e fogli gialli, coste di scogli,
Le “sponde di cieli stanchi” sono un’immagine che evoca una visione di stasi e di declino. Il cielo, che normalmente rappresenta la speranza o l’aspirazione, qui sembra esaurito, “stanco”, incapace di fornire nuova energia o ispirazione. Le “bussole” e i “fogli gialli” sono simboli di disorientamento e di ricerca fallimentare: la bussola è uno strumento che indica la direzione, ma qui sembra non riuscire a orientare il soggetto, mentre i “fogli gialli” richiamano l’idea di vecchi appunti, forse inutilizzati o dimenticati, che non servono più a trovare la strada. Le “coste di scogli” rimandano infine a una riva frastagliata e difficile, simbolo di ostacoli insormontabili che bloccano il cammino, impedendo al protagonista di proseguire senza dolore o difficoltà. Questo verso, in complesso, dipinge un paesaggio interiore di smarrimento e stasi, dove ogni tentativo di trovare una via d’uscita sembra infrangersi contro ostacoli implacabili.
Ma come calcoli il senso del limitarsi a ipotizzare di stare bene
In questo verso, il cantautore solleva una riflessione critica e profonda sulla natura del “benessere”. Il verbo “calcoli” suggerisce un tentativo razionale e misurato di arrivare a una conclusione, ma il tono della frase implica che tale “calcolo” sia intrinsecamente fallimentare, come se il concetto di benessere fosse difficile da definire o quantificare in termini concreti. L’uso della parola “limitarsi” rappresenta un atto di rinuncia o di costrizione, quasi come se l’individuo fosse obbligato a ridurre le proprie aspettative e aspirazioni a una mera “ipotizzazione” del benessere, un esercizio mentale privo di vera sostanza. “Ipotizzare” implica una previsione che, purtroppo, non ha la solidità della certezza, ma si mantiene nell’ambito dell’incertezza e dell’incompletezza. L’immagine di “stare bene” viene quindi ridotta a una condizione teorica e irraggiungibile, come se la sola possibilità fosse quella di formulare un desiderio vago e lontano dalla realtà. La domanda retorica posta all’inizio del verso “come calcoli” suggerisce che un tale approccio sia privo di valore e di concretezza, mettendo in discussione l’intero concetto di benessere come qualcosa che si può effettivamente raggiungere o misurare.
Se stare bene in fondo è limitarsi e accontentarsi di qualcosa che non tende all’infinito.
Il secondo verso amplia il concetto introdotto nel precedente, continuando la riflessione sul benessere come una condizione che non può mai essere pienamente soddisfatta. Il verbo “limitarsi” viene ripetuto per sottolineare la restrizione che l’individuo si auto-impone quando accetta una versione di benessere che non raggiunge mai la sua forma ideale o infinita. Il “stare bene” diventa, quindi, un atto di accontentarsi, una rassegnazione che implica un rinunciare a qualcosa di più grande o di più autentico. Il termine “accontentarsi” porta con sé una sensazione di frustrazione, come se l’individuo fosse costretto a vivere con una versione ridotta e incompleta di ciò che desidera. Inoltre, l’affermazione che “non tende all’infinito” rivela una visione pessimistica o disillusa del concetto di felicità. L’infinito, simbolo di qualcosa di eterno, senza limiti, viene posto come l’elemento mancante: il benessere diventa qualcosa di effimero e finito, un obiettivo che non si può mai raggiungere in pieno. L’idea di “tendere all’infinito” rappresenta invece una ricerca continua, un movimento verso qualcosa di mai concluso, di sempre in evoluzione. In questo contesto, l’assenza di tale slancio verso l’infinito riduce la realizzazione del benessere a un esercizio sterile e temporaneo, privo di vera profondità e soddisfazione. L’infinito qui non è solo un ideale utopico, ma una metafora di crescita e cambiamento continuo, che contrasta con il “limitarsi” e l’accontentarsi, che invece suggeriscono stagnazione e chiusura.
Forse fuggo dal mio niente, forse già t’avevo perso,
Questo verso si apre con una riflessione intima e dolorosa sul “niente”, concetto che sembra denotare un vuoto esistenziale. Il termine “fuggo” suggerisce un movimento, un’azione che ha come scopo l’allontanamento dal nulla, ma anche la consapevolezza che tale fuga non porti a nulla di concreto. Il “niente” rappresenta non solo un’assenza materiale, ma anche un vuoto emotivo, un’incapacità di trovare significato o scopo. Il secondo segmento del verso, “forse già t’avevo perso”, fa riferimento a una relazione, a un legame che probabilmente è già sfumato nel passato, con il termine “perso” che evoca una sensazione di fallimento e disillusione. Il “forse” che apre entrambi i pensieri indica una certa incertezza, un dubbio che permea l’intero verso, rendendo la riflessione ancora più tragica nella sua indecisione e nel non riuscire ad avere certezze.
Forse sono quel quoziente che non merita del resto
Il verso prosegue con un’auto-valutazione che suona estremamente critica e disillusa. Il “quoziente” qui non è solo un numero matematico, ma un simbolo del valore dell’individuo. L’uso di “quoziente” implica una divisione, come se la persona si sentisse frammentata o incompleta, misurata rispetto a un risultato che, per quanto sembri logico o definibile, non raggiunge mai una realizzazione piena. La frase “non merita del resto” indica un giudizio severo su sé stesso, quasi come se il soggetto avesse già deciso di non meritare ciò che gli altri o la vita gli potrebbero offrire, esprimendo un senso di auto-degradazione e mancanza di autostima. Il concetto di “meritare” qui appare come un giudizio che l’individuo si auto-imparte, segnando un distacco dall’idea di valore intrinseco, e invece si concentra su un’evidente carenza percepita. La tristezza del verso è accentuata dall’impossibilità di vedere sé stessi come meritevoli di qualcosa di buono o di soddisfacente.
Fossi d’acqua e di corrente, forse troverei il mio posto o forse un porto, un altro mondo, per affogare lo sconforto
Questa frase esprime il desiderio di trovare un cambiamento radicale, di mutare se stessi in qualcosa che sembri naturale, fluido e capace di adattarsi meglio all’ambiente circostante. “Fossi d’acqua e di corrente” suggerisce l’idea di un elemento che scorre e che segue il corso delle cose senza resistenza, ma anche l’immagine di un individuo che si sente intrappolato o limitato dalla propria natura, desiderando liberarsi e fluire in un contesto differente. Il “posto” e il “porto” simboleggiano luoghi di rifugio e stabilità, ma anche di protezione dal caos. Il contrasto tra il “posto” (che implica stabilità) e “un altro mondo” (che indica una fuga totale, un cambiamento radicale) evidenzia la tensione tra il desiderio di trovare un equilibrio e la spinta verso l’ignoto. L’idea di “affogare lo sconforto” introduce una metafora drammatica e potente, in cui il dolore e la tristezza sono così intensi da sembrare un peso insostenibile, un “sconforto” che minaccia di sopraffare l’individuo. Affogare, quindi, diventa sia una fuga dal dolore che una rinuncia, un tentativo di liberarsi senza riuscirci veramente.
Ma s’arrestano le onde e forse il vento mi risponde
Il cambiamento che si auspica sembra frenato, come se la natura stessa, rappresentata dalle “onde”, decidesse di fermarsi. Le onde, simbolo di movimento continuo, di flusso emotivo e fisico, si bloccano, forse come metafora della paralisi interiore dell’individuo. Il “vento” che “forse mi risponde” suggerisce un’ulteriore ricerca di comunicazione, ma la parola “forse” indica incertezza, non una risposta chiara e rassicurante. In questo verso, l’immagine della natura che si ferma rende l’individuo ancora più isolato e impotente, incapace di trovare un segno di speranza o di cambiamento.
Piove sopra la mia fronte, sale, sabbia, whisky e sangue
Questo verso crea un’immagine viscerale e quasi surreale, in cui la “pioggia” sopra la fronte appare come un elemento di tristezza che non lascia tregua. Il termine “sale” evoca il dolore delle lacrime, ma anche l’elemento naturale che si mescola al corpo umano, mentre la “sabbia” rappresenta forse il passare del tempo, che scivola via tra le dita senza che si possa fare nulla per fermarlo. Il “whisky” e il “sangue” sono riferimenti fortemente simbolici: il whisky come simbolo di autodistruzione, di fuga dalla realtà, e il sangue come simbolo di vita, ma anche di sofferenza e di perdita. L’unione di questi elementi crea un’immagine di lacerazione, in cui la sofferenza fisica e psicologica sono interconnesse e si manifestano in un cocktail di sensazioni dolorose.
Coste brulle e barche stanche, mappe, cartacce e santi
Le “coste brulle” evocano un paesaggio desolato, privo di vita, dove ogni speranza di crescita sembra spezzata. Le “barche stanche” rinforzano l’idea di un viaggio interrotto, di un cammino che non ha più la forza di andare avanti. Le “mappe” e le “cartacce” simboleggiano l’idea di orientamento e di direzione, ma, nello stesso tempo, la loro natura disordinata e consumata suggerisce la perdita di ogni bussola morale e fisica. I “santi” in questo contesto sembrano perdere il loro ruolo di guida e di salvezza, divenendo invece un altro simbolo di disillusione, una sacralità che non offre più risposte concrete e reali. La combinazione di questi elementi evoca l’immagine di un viaggio naufragato, privo di speranza, in cui ogni tentativo di trovare un senso o una via d’uscita sembra inutile.
Ho ancora troppe domande
Questo verso finale evidenzia la continua incertezza e la lotta interiore del protagonista. Nonostante il cammino intrapreso, nonostante le sperimentazioni e i tentativi di trovare risposte, il soggetto si sente sopraffatto da un numero infinito di domande, senza trovare le risposte che cercherebbe. Le “troppe domande” simboleggiano un’irrequietezza mentale, un’incapacità di arrivare a una conclusione o di trovare una via di fuga definitiva dalle proprie preoccupazioni. La frase chiude il blocco con un tono di frustrazione e insoddisfazione, mantenendo l’idea di un continuo sforzo interiore che non porta mai a un risolvimento definitivo.
E forse limitarmi a ipotizzare di stare bene è il mio stare bene,
In questo verso, l’autore introduce una riflessione ambigua e complessa riguardo alla condizione di benessere. L’uso del verbo “limitarmi” indica una consapevolezza di restrizione, un atto di auto-imposizione di confini o barriere. “Ipotizzare di stare bene” non rappresenta un vero e proprio raggiungimento della felicità o del benessere, ma piuttosto un tentativo di avvicinarsi a un ideale, che però rimane perennemente intangibile. La parola “ipotizzare” suggerisce una condizione di incertezza, di incompiutezza, quasi che l’atto stesso di riflettere su cosa sarebbe “stare bene” sia un tentativo vano, una proiezione che non diventa mai realtà. La riflessione che segue, “è il mio stare bene”, sembra un’amara ammissione che il solo fatto di cercare, immaginare o anche solo sperare di stare bene rappresenti una condizione di benessere sufficiente. In un certo senso, si potrebbe interpretare come una sorta di rassegnazione: il soggetto si adatta a vivere nella costante ricerca di qualcosa che non si concretizza mai. Il “mio stare bene” diventa quindi una condizione fittizia, una realtà che si forma attorno all’incertezza e alla mancanza di un vero miglioramento. L’immagine che emerge è quella di una persona che accetta una simulazione di felicità come unica via di sopravvivenza emotiva.
In fondo, puoi guardarmi e puoi scordarmi ché funziono solo se tendo all’infinito.
Questo verso enfatizza la solitudine e la frustrazione dell’individuo. La frase “puoi guardarmi e puoi scordarmi” introduce una contraddizione: se da un lato il soggetto si presenta agli altri, dall’altro l’autore riconosce l’inutilità di tale esposizione. La possibilità che l’altro “possa scordarlo” significa che non esiste un legame forte o un impatto duraturo. Nonostante la presenza fisica e mentale, c’è un’inevitabile distacco, come se l’individuo fosse condannato all’indifferenza altrui, una condizione di invisibilità. Il termine “funziono” indica che l’individuo si sente come un meccanismo che, pur operando, ha una natura fragilmente instabile, che può sussistere solo in determinate condizioni. La sua esistenza e il suo benessere sono legati alla costante tensione verso “l’infinito”, che in questo contesto simboleggia un’aspirazione inarrivabile. Questo infinito potrebbe essere visto come un ideale astratto, un obiettivo che non si raggiunge mai, ma che è necessario per il funzionamento dell’individuo. La frase implica che, per sentirsi vitali, questi non possono limitarsi alla concretezza del presente; hanno bisogno di una direzione illusoria, di un obiettivo che sfugge costantemente. Questo perpetuo tendere all’infinito è l’unico modo per “funzionare”, ma, paradossalmente, questo è anche il motivo per cui la loro esistenza rimane incompleta e irrisolta.
Limitarsi a immaginare di stare bene ma stare bene, in fondo, è limitarsi a immaginare quel qualcosa che non riesco a darti
Nel terzo verso, la riflessione diventa più esplicita e si fa ancora più dolorosa. Il “limitarsi a immaginare” è una ripetizione del tema della limitazione, già presente nei versi precedenti, ma qui assume una connotazione più amara: non è solo un tentativo di avvicinarsi al benessere, ma un riconoscimento che anche questa immaginazione è condannata a fallire. L’idea di “stare bene” continua ad essere qualcosa di teorico e mai concretamente raggiungibile. Il “limitarsi” è espressione di un contenimento della speranza, un riconoscimento della propria impotenza di fronte alla possibilità di realizzare il proprio desiderio. La frase “stare bene, in fondo, è limitarsi” implica che il benessere stesso sia una costruzione mentale che, per la sua natura, è destinata a rimanere confinata all’interno di un orizzonte ristretto, non riuscendo mai a superare il suo stesso limite. Il “qualcosa che non riesco a darti” evidenzia l’incapacità dell’individuo di offrire o di condividere ciò che considera fondamentale per il benessere dell’altro o di sé stesso. Questo qualcosa potrebbe rappresentare una speranza, una promessa, un amore o una realizzazione che non può essere concretizzata. Il soggetto si trova intrappolato in un ciclo di desiderio e inadeguatezza, incapace di realizzare ciò che immagina e nemmeno di trasmetterlo agli altri. Il verso conclude quindi con una nota di rassegnazione: il benessere, come concetto, è solo una limitazione mentale e non un traguardo che può essere effettivamente raggiunto o condiviso.
“Marie e l’Infinito” si configura come un viaggio introspettivo e filosofico che affronta la tensione tra il desiderio di comprendere e il limite insito nella condizione umana. La canzone, ispirata al lavoro di Marie Tharp, oceanografa pioniera, intreccia l’esplorazione scientifica con una riflessione esistenziale profonda. L’oceano, che simbolicamente rappresenta l’infinito e l’ignoto, diventa il contesto in cui si svolge il conflitto interiore del protagonista, intrappolato in un paradosso: pur cercando un significato più grande, si rende conto che il benessere e la realizzazione sono perennemente elusivi, e ogni tentativo di afferrarlo risulta limitato dalla sua stessa natura. La tematica della solitudine esistenziale emerge con forza, suggerendo che l’individuo è condannato a una ricerca infinita, un perenne “tendere all’infinito” senza mai riuscire a raggiungere un obiettivo definito. La canzone esplora inoltre il tema della rinuncia, sia a livello personale che relazionale, come il protagonista si trova a confrontarsi con l’incapacità di realizzare i suoi desideri e con la frustrazione di un amore non corrisposto. L’uso dell’oceano e della sua vastità non è solo un richiamo alla dimensione scientifica e storica di Marie Tharp, ma anche una potente metafora di una condizione interiore di vastità senza fine, dove ogni risposta sembra svanire nell’immensità, e ogni ricerca di significato è destinata a rimanere incompleta. “Marie e l’Infinito” diventa così una riflessione sulla condizione umana, sulla solitudine dell’individuo che cerca di comprendere sé stesso e il mondo, ma è costretto a fare i conti con i propri limiti e con l’impossibilità di raggiungere una verità assoluta.


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