Il Diario dei Trialoghi Icastici #208 (#573)

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23/01/1925 – ore 20:11- #208 (#573)

Il lento scrosciare sfumato delle vite stanche fuor dell’appannate del tinello mi fa da compagno or ch’appongo qualche pensiero su codesti consumati foglietti. V’è tanto nel capo ma scarsa è la voglia ch’ho di scrivere, oi, quissà pe’ la deplezione dell’energie ch’ho dovuto riservare a tale dì. Oi ho cominciato a spurgare del cotidiano ogni cosa che d’ella mi richiama memorie, stropicciando e gittando ai rifiuti le pagine della rubrica ove ancora stavano i suo’ indirizzi, alcune note sulle date dell’avvenimenti di rilievo che avemmo considiviso, taluni scarabocchi che avean di che significare molto, un tempo andato. Ne vien d’un altro tomo, d’un’altra conversazione colla dottoressa Nauer e d’un altro tizio che del riflettente mi mira codesta impellenza d’agire. Tardare ancora e ancora l’inevitabile non m’avrebbe condotto a nulla se non a lunghi mesi, perfino anni, di amaro cordoglio e apatia sin fughe. Frontare lo ch’in vero voglio meno di qualsiasi altra cosa. Il vuoto. Un enorme piano dimensionale privo della di lei presenza, anch’astratta, anche partorita dell’idealismo a cui oramai l’aveo ascritta e ‘sì minuziosamente pittata, ragiandone via le falte antiche, i nei ch’in cor mio dovean restare soli sin compagni ad ogni cogito riguardo. La vastità d’un silenzio al quale tendevo le recchie dì eppoi dì, stagioni e anni, piccicato a un fugiglio di speme ch’avrebbe solamente finito per sgretolare l’ultime resistenze alla di me autostima, orgoglio, propulsione, interezza. E da quivi, cada rimando verrà meno alla mia pietà quando e se in per le palme mi sfiora, ché ho di ch’epurare lo ch’in fondo è stato nulla più del nulla nell’ultimi cinquecentosettantatré giorni. E ben so ch’ancor verranno que’ meriggi ov’ogni passo fuor della porta d’April Street sarà compagnato dal disio d’ascoltare la campanella che strilla, celerare verso l’uscio con calici e chino ‘n mano, spalancare ‘l legno al venire, sciogliendo nell’infantile fuga dal veleno ogni possibile passato, ogni bisticcio, ogni abbandono, ogni_ingiuria, ogni graffio, pugno, strattonata e guerra. E di lì, incipire un ciclo altrettale. Non v’è più tempo, non v’è più l’Arthur di que’ giorni andati, oramai, or che lo scorgo spaurito iscosto didietro l’ultimi fortini di maturità donde non cessa d’urlare. Alba dopo alba, collo scandire d’ogni braccino del quadrante fosco aggrappato al muro del cucinino, sbiadirà il suo nome, appassiranno i ricordi e sarà sempre più debole e lontano l’eco del suo vociare. E chissà in fine, per vero, se poscia quattro lunghi anni non riesca a saporare novamente il gusto ch’ha l’aria del mondo senza Valerie.



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