17/01/1925 – ore 20:21- #202 (#567)

Wedgeville stava avviluppata ‘n un gelo dissonante col sole rabbioso che ne luminava tutto dintorno e mi sono veduto sostare sotto i raggi per una mezzora buona, poscia l’obbligazioni poco impegnative del dì ch’ebbi di che sbricare presso ‘l grosso stabilimento della Vendrot. Ho finalmente risposto a una missiva di Juliet e, a poco a poco, tenterò di mantenere una costanza di contatto che s’addice al presunto rapporto stabilito con ella in precedenza. Penso che tale decisione di ripristinare la mia affabilità almeno con Juliet sia data dalla pressante morsa d’una solutidine eletta ma non ‘sì facile da tollerare tutt’i dì e dalla recente delusione che le conversazioni epistolari con Marie Claire hanno generato. Scorgo un’egocentrismo al limite del paradossale e velenoso e opterò per prendere le distanze necessarie. Di contro, mi sono veduto talmente prossimo a gittar sul foglio una lunga lettera per Valerie e l’intera mia risolutezza è risultata appena sufficiente per cessare la mia controproducente iniziativa. Poiché, infine, che dire? Come riassumere codeste più di quattrocento pagine di entrate, ragionamenti, epifanie, soluzioni, rancori, rimedi, promesse e ‘sì tant’altro ch’ho scritto, sognato o anche solo maginato? Vero è che sono scorsi quasi seicento albe dall’ultima parvenza d’una condivisione e nulla è cangiato. Di contro, osomi, tutta la quiete dettata dall’assenza d’un secondo vociare ha esacerbato ogni positività e coagulato ogni ferita. Oibò, diamine, mi sto smarrendo novamente nel blaterare d’Ella poscia le molte volte addietro ‘n cui mi promisi l’opposto. Eppur che sia codesta la solita, medesima e ineluttabile conferma d’un qualché che non può ser soggetto alla mia perentoria e violenta razionalità al netto dell’avvenimenti?

Arthur Parker, Marco Delrio

Marco Delrio