08/08/1923 – ore 20:00 – #40
Avrebbe di che ser praticato sin sforzo alcuno ‘l mio risoluto cangiamento verso una ponderata esperienza dello sfuggente dì ch’oramai paremi farsi beffe del sottoscritto, ogniqualvolta dimostrogli che posseggo le doti abbisognate pe’ tirare ‘l freno con vigore e invertire la direzione del percorso innanzi. E, per chiaro, vi son dì ‘n cui ciò par esserlo davvero sin pieghe e ‘sì oramai affinato nel mio movermi d’un’atto l’altro colla leggiadria ch’hanno i falchi ‘n volo. Lo ch’occorre, tuttavia, col venire delle lune nove, sfugge dalla mia comprensione e trovomi ancora colle suole piccicate alli soliti anfratti paludosi dai quali tento d’evadere costantemente. Mi promisi spesso – talvolta continuo e, sicuramente, continuerò nel venire – di mutare sin preavviso e oltremodo drasticamente una marea di solitanze e caratteristiche dell’ego che scorgo dai riflettenti e vi succedo pure, qualche volta, ben dentro le linee che tuttavia aveo pensato d’oltrepassare. Ma vi riesco. Sovente mirolo com’un fallimento e mi dimando ora se ‘n sia ciò a rendere ‘l processo più complicato di lo che dorrìa essere poiché, orsù, vi sono situazioni ch’avrei di che celebrare e vedomi di contro concentrato in lo ch’avrei potuto eseguire di modo migliore, più efficiente o più attento, sin tenere in considerazione lo ch’invece ho raggiunto casi sin fatica. La lieta appagazione ch’anelo e che mi trovo a cantare ‘n molte delle mie composizioni pare oramai essere talmente intangibile e idealizzata che tange l’universo astratto con ‘sì tanto vigore che debbo assolutamente questionarmi se ‘n sia io a ‘n riuscire nel semplice atto di internalizzare traguardi e vittorie, affamato d’una perfezione ‘sì irreale che ‘n avrebbe parole di cui dressarsi nemmeno in cotanta boriosità grammaticale e semantica. Oppure sovente mi vien di che rimuginare riguardo ipotizzando sia ciò lo che mi perpetua in moto diritto col paraocchi che m’elide del guardo i successi celebrabili e invidiabili. Ne narrano alcuni filosofi ne’ tomi che solgo spulciare di codesta perpetua sofferenza accoccolata nell’insoddisfazione cieca e inniorante. Taluni li comprendo, talatri meno, altri ancora non potrei nemmeno fingere di saperli citare. E ‘l tutto un poco dipende anche da com’il primo passo vien fatto nella mane, giù del giaciglio, poscia l’ore d’assenza che mi concedo ogni notte. E non v’è quissà una risposta. Sebbene ciò di fatto è lo che temo più d’ogni altra supposizione balorda. L’ore mi fuggono. Scrivo sin per vero enunciare lo che didentro esclama e detesto non vi siano motti adeguati pe’ tali soffi di senno. Quissà niuno comprende. Quissà tutti in vero comprendono.


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