Il mattino seguente fu particolarmente lento nella sua evoluzione. Il paese tardò a svegliarsi, come se volesse riprendersi da quella serata così magica. Le strade, fino a poche ore prima piene di voci e colori, adesso giacevano in silenzio, coperte da una luce debole che a malapena permetteva di distinguere i colori. Le ghirlande appese ai balconi ondeggiavano lievemente, quasi svuotate del loro scopo.
Le botteghe erano ancora chiuse, e dalle finestre socchiuse si intravedevano tende leggere che si muovevano al ritmo di un’aria tiepida e indolente. Perfino le campane della chiesa sembravano suonare trattenendo il rintocco, quasi come fosse un sospiro faticoso.
Joy si era svegliata presto. Restò a lungo seduta alla finestra della cucina, con una tazza di infuso tra le mani e lo sguardo rivolto alle vie ancora addormentate. Il suo volto, rilassato ma pensoso, rifletteva nostalgia, come la malinconia che segue un momento bello che sai che non tornerà più. Non era tristezza, ma la sensazione lieve di qualcosa che non si può trattenere.
Ripensava ai volti sorridenti, agli abbracci, ai piccoli imprevisti trasformati in ricordi. Aveva ancora addosso l’eco della musica, gli applausi, la voce del sindaco che la ringraziava pubblicamente per il suo lavoro accanto a Densey.
Tutto era stato perfetto, o quanto bastava per sembrarlo. E adesso… ora restava il dopo. Quello spazio vuoto che, senza fretta, chiede di essere riempito.


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