Come richiamati da un antico istinto, poco dopo la fine del concerto tutti si mossero verso la grande piazza bassa, dove il profumo del cibo aleggiava ormai da un po’.
Lunghe tavolate di legno grezzo erano state apparecchiate con stoviglie di terracotta, bicchieri irregolari e candele. Le tovaglie, ricamate a mano, avevano motivi che ricordavano i simboli delle antiche corporazioni. Al centro di ogni tavolo, panieri colmi di pane croccante, ciotole di burro montato alle erbe e brocche di vino scuro attendevano gli ospiti.
Cuochi in abiti d’epoca servivano piatti fumanti: zuppe di legumi e cereali con rosmarino fresco, stufati di selvaggina in salsa d’agresto, focacce al formaggio, pasticci di ortaggi, e per chi desiderava qualcosa di dolce, crostate di frutta cotta e frittelle di mela spolverate di zucchero.
Joy sedeva tra i suoi genitori e Ben mentre Densey, più in là, accoglieva complimenti e domande da alcune vecchie conoscenze che non vedeva da tempo. Il vino aveva ormai sciolto parole gentili e canti spontanei.
Quel momento, fatto di sapori antichi e risate sincere, sembrava un ponte tra epoche lontane. Joy si guardò intorno e si accorse che la vera festa era lì: nei volti pieni, nelle mani che si passavano i piatti, nell’appartenenza condivisa a qualcosa di raro e prezioso.


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