#13251-08
Avrei di che perdonarmi piute dello ch’in fine fo’ per vero, al terminare del dì, s’ì meramente contassi ‘l compiuto già dell’ore preste, vedonsi ‘n li scritti qual tale quivi o l’insaziabile traversata de’ roveti fin dalle primissime note dell’arabiche antecedenti all’albe. Vespri sciatti e furenti giungono sovente, colle violente reprimande ch’ho di ch’ingoiare involente ed ì a menarli pe’i quarti spergiurando e bestemmiandone l’alme sì crude e vere quant’ormai futili e detestabili. Vero è che com’istruisco spesso all’altri cotale è la pratica che s’abbisogna pe’ l’ultima gradinata da passare e ‘sì parecchio talvolta m’altera doverne_esperire i dardi su me medesimo pe’ comprendere dello che maestro. Cuccio lagrimando ‘n tanti crepuscoli, pe’ sfinimento piute ch’infelicità, e cotanto struggermi e bracciare il filo dello stiletto nel ventre è lo che cotidianamente m’avulge dell’ombre.ℳ ᵝ

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