TESTO
Ricapitolando, abbiam concluso poco o niente,
Sarà il mio discorrere faceto
O la mia boria onnipresente,
Sarà che odio quando affoghi
I tuoi silenzi nel Jack Daniel’s.
E ricopriamo mille crepe con intonaco scadente
Per tenere in piedi i muri di un pleonastico quoziente
Incorniciato dalle urla e qualche oggetto contundente
E tu, fragile,
Dietro due occhi da puttana che non cambierai
Hai nascosto troppe fiabe
E io più fragile
Dei bicchieri che mi lanci quando ti perdono
E torno ancora.
Ricapitolando, ci aggrappiamo a poco o niente,
Sarà che non vuoi stare sola,
Sarà che sono un deficiente,
Insopportabile e tu peggio,
Un altro fiume di Jack Daniel’s
E tu, fragile,
Dietro due occhi da puttana che non cambierai
Hai nascosto troppe fiabe
E io più fragile
Dei bicchieri che mi lanci quando ti perdono
E torno ancora
A vomitare sopra un foglio
Quattro accordi, una canzone;
A bestemmiare alla mia insonnia
Con la fronte sul guanciale
E tu, fragile,
Dietro due occhi da puttana che non cambierai
Hai nascosto troppe fiabe
E io più fragile
Dei bicchieri che mi lanci quando ti perdono
E torno ancora.

Note dell’Autore
“5 Minuti di Fragilità” è, di fatto, la prima canzone che ho scritto in italiano. Va bene, qualche tentativo era già capitato in precedenza ma erano state bozze più o meno complete, divertissements e poesiole lunghe che, tuttavia, non videro mai le luci del palco. “5 minuti” o, come la chiamavamo in sala prove “five minutes” nacque in gibberish inglese, un po’ come tutte le canzoni che mi capita di scrivere, semplicemente per l’immediata facilità di inserire una metrica sulle jam session da sala prove; ciononostante, era un periodo di cambiamenti necessari per la band di quegli anni e convenimmo fosse interessante tentare di acchiappare il pubblico anche con un qualcosa che fosse di facile comprensione e, possibilmente, non costringerlo solo a concentrarsi su musica e melodie come avevamo fatto nei dieci anni precedenti (non è mai semplice far comprendere le sfumature dei testi cantando in una lingua differente da quella del pubblico).

TRANSLATION
5 Minutes of Fragility
Summing up, we’ve accomplished little to nothing,
Maybe it’s my facetious way of speaking
Or my ever-present arrogance,
Maybe it’s that I hate when you drown
Your silences in Jack Daniel’s.
And we cover up a thousand cracks with cheap plaster
To keep standing the walls of a redundant quotient
Framed by screams and a few blunt objects.
And you, fragile,
Behind those whorish eyes you’ll never change,
You’ve hidden too many fairy tales.
And I, even more fragile
Than the glasses you throw at me when I forgive you,
And I come back again.
Summing up, we cling to little to nothing,
Maybe it’s that you don’t want to be alone,
Maybe it’s that I’m an idiot,
Unbearable, and you’re worse,
Another river of Jack Daniel’s.
And you, fragile,
Behind those whorish eyes you’ll never change,
You’ve hidden too many fairy tales.
And I, even more fragile
Than the glasses you throw at me when I forgive you,
And I come back again.
To vomit onto a sheet
Four chords, a song;
To curse at my insomnia
With my forehead on the pillow.
And you, fragile,
Behind those whorish eyes you’ll never change,
You’ve hidden too many fairy tales.
And I, even more fragile
Than the glasses you throw at me when I forgive you,
And I come back again.

ANALISI AI
“5 Minuti di Fragilità” è un brano che si immerge nelle dinamiche tossiche di una relazione segnata dall’incomunicabilità, dalla dipendenza emotiva e dall’autodistruzione reciproca. Il titolo stesso suggerisce un momento di vulnerabilità condivisa, ma anche l’illusorietà di una tregua destinata a dissolversi nel vortice di conflitti irrisolti. Il protagonista, con un tono al contempo cinico e rassegnato, ripercorre la sua storia con una compagna che, dietro una maschera di durezza e disincanto, cela un bagaglio di illusioni disattese. Il dialogo tra i due si consuma tra silenzi soffocati dall’alcol e l’ennesima resa a schemi ripetitivi, in cui il perdono diventa un gesto meccanico, un rituale privo di catarsi. La lirica, intrisa di amara ironia e immagini violente, delinea una relazione in bilico tra la rabbia e il bisogno reciproco, in cui il rancore si mescola all’incapacità di lasciarsi andare davvero. L’ossessiva ripetizione del ritornello amplifica la ciclicità della dinamica, mentre il contrasto tra il linguaggio crudo e il lirismo malinconico della melodia suggerisce il peso emotivo di un legame che sopravvive solo per inerzia. Il protagonista non si sottrae alla propria parte di responsabilità, riconoscendo il proprio carattere insopportabile e il proprio masochismo affettivo, incarnato dal ritorno costante in una realtà che lo ferisce. L’atto di scrivere canzoni diventa un tentativo disperato di elaborare il dolore, un rifugio sterile che non offre redenzione. “5 Minuti di Fragilità” è una riflessione schietta e spietata sulle relazioni logorate, sulle promesse non mantenute e sulla fragilità condivisa di chi, nonostante tutto, continua a restare.
Ricapitolando, abbiam concluso poco o niente,
L’incipit del brano si apre con un tono riflessivo e disilluso, segnando fin da subito l’atmosfera di frustrazione e stallo che permea la relazione tra i due protagonisti. Il verbo “ricapitolando” suggerisce un tentativo di razionalizzare quanto accaduto, come se il protagonista volesse tirare le somme di una discussione o, più in generale, di un rapporto che si trascina senza reali sviluppi. L’uso dell’espressione “poco o niente” sottolinea l’inconcludenza e la sensazione di immobilità: nonostante il tempo trascorso, gli scontri, le parole scambiate, tutto sembra tornare sempre al punto di partenza, senza alcun progresso o soluzione.
Sarà il mio discorrere faceto o la mia boria onnipresente,
In questa frase emerge un’autocritica amara e sarcastica da parte del protagonista, che si interroga sulle cause del fallimento del dialogo e, per estensione, della relazione stessa. Il termine “discorrere faceto” evoca un modo di parlare leggero, ironico, forse sarcastico o eccessivamente superficiale nei momenti in cui sarebbe necessaria maggiore serietà. La “boria onnipresente”, invece, indica una tendenza all’arroganza, una presunzione che il protagonista riconosce in sé stesso, lasciando intendere che il suo atteggiamento potrebbe essere uno dei motivi per cui le discussioni con la compagna si trasformano in sterili battibecchi. L’autoreferenzialità di questa riflessione evidenzia un certo grado di consapevolezza, ma anche un’implicita rassegnazione all’impossibilità di cambiare.
Sarà che odio quando affoghi i tuoi silenzi nel Jack Daniel’s.
Qui la narrazione si sposta sull’altra persona, ponendo l’accento su un’abitudine autodistruttiva della compagna: il ricorso all’alcol come mezzo per eludere il confronto e soffocare il proprio dolore. Il verbo “affogare” è particolarmente evocativo, suggerendo un gesto disperato e ripetitivo, un modo per sottrarsi alle conversazioni e all’analisi del loro rapporto. Il Jack Daniel’s, citato esplicitamente, diventa simbolo di una routine tossica, non solo per l’uso dell’alcol in sé, ma per il suo ruolo di barriera tra i due, che impedisce un dialogo autentico e costruttivo. L’odio espresso dal protagonista non è solo rivolto all’abitudine in sé, ma al significato che essa assume all’interno della loro relazione: un muro invisibile che continua a crescere tra loro.
E ricopriamo mille crepe con intonaco scadente
L’immagine delle “crepe” rimanda a un rapporto già profondamente segnato da fratture e debolezze, mentre l’”intonaco scadente” simboleggia i tentativi vani e superficiali di nascondere i problemi senza affrontarli davvero. Il verbo “ricoprire” suggerisce un’azione ripetuta, come se entrambi i protagonisti fossero intrappolati in un ciclo infinito di riparazioni illusorie, in cui cercano di rimediare alle ferite della loro relazione con soluzioni temporanee e inadeguate.
Per tenere in piedi i muri di un pleonastico quoziente
Questa frase gioca con un linguaggio volutamente complesso e ridondante per sottolineare l’assurdità dello sforzo di mantenere in piedi una relazione che ha perso di significato. Il “quoziente pleonastico” è un’espressione volutamente paradossale: il termine “pleonastico” indica qualcosa di ridondante, superfluo, mentre “quoziente” richiama un valore matematico, un rapporto tra elementi. Questa combinazione di parole suggerisce che il loro rapporto, per quanto ancora esistente, sia ormai privo di autentico valore, mantenuto in vita solo per inerzia, per abitudine o per paura di lasciarsi andare definitivamente.
Incorniciato dalle urla e qualche oggetto contundente
L’ultimo verso dipinge con toni forti e viscerali la violenza verbale (e forse fisica) che caratterizza la loro relazione. Le “urla” evocano un costante stato di conflitto, mentre la menzione di “qualche oggetto contundente” lascia intendere che i loro litigi possano degenerare in gesti impulsivi, in cui la rabbia si manifesta anche in maniera fisica, attraverso il lancio di oggetti. L’uso del verbo “incorniciato” è particolarmente significativo: suggerisce che tutto ciò – il dolore, la violenza, la distruttività della loro relazione – sia quasi parte di un quadro ben definito, come se il caos fosse diventato la loro normalità, un elemento inscindibile della loro storia.
E tu, fragile, dietro due occhi da puttana che non cambierai
L’incipit di questo verso introduce un contrasto netto tra l’apparente durezza della persona a cui è rivolto e la sua reale fragilità. L’uso dell’aggettivo “fragile” per descrivere la compagna è significativo, perché nonostante il tono di rimprovero che attraversa il brano, qui emerge una consapevolezza della sua vulnerabilità interiore. Tuttavia, questa fragilità è celata “dietro due occhi da puttana”, espressione volutamente aspra e provocatoria, che non va letta in senso letterale ma come un riferimento al modo in cui lei si presenta al mondo: una maschera di freddezza, disincanto e ostentata indifferenza. Il protagonista riconosce in lei un meccanismo di difesa, una corazza che la protegge dalle emozioni troppo intense o dal dolore di un’esistenza che, forse, l’ha resa diffidente e distante. L’affermazione “che non cambierai” suggella l’impossibilità di una trasformazione, lasciando intendere che questa maschera non verrà mai abbandonata, che il distacco e l’impenetrabilità sono caratteristiche ormai radicate nella sua identità.
Hai nascosto troppe fiabe
Questa frase, apparentemente semplice, è carica di significato simbolico. Le “fiabe” rappresentano le illusioni, le speranze e i sogni che la compagna ha sepolto dentro di sé, forse a causa delle delusioni accumulate nel tempo. Il verbo “nascondere” suggerisce un gesto consapevole e deliberato: lei ha scelto di soffocare questi racconti interiori, di negare a sé stessa la possibilità di crederci ancora. Le fiabe, per loro natura, sono storie in cui il lieto fine è garantito, in cui la sofferenza viene superata e l’amore trionfa. La loro rimozione dalla sua vita sottolinea una perdita di innocenza, un rifiuto della possibilità che le cose possano migliorare. È un’ammissione di resa, un modo per evitare il dolore che deriva dal disincanto. Allo stesso tempo, il protagonista sembra rammaricarsi di questo atteggiamento, come se riconoscesse che proprio questa perdita di fiducia nel futuro sia uno degli elementi che rendono il loro rapporto così teso e travagliato.
E io più fragile dei bicchieri che mi lanci quando ti perdono e torno ancora.
In questo verso, il protagonista abbandona qualsiasi pretesa di superiorità emotiva e ammette la propria fragilità. Tuttavia, la sua non è una fragilità nascosta, come quella della compagna, bensì manifesta e quasi autolesionista. Il paragone con i “bicchieri che mi lanci” è estremamente efficace nel trasmettere un senso di precarietà e vulnerabilità: il vetro, per sua natura, è un materiale fragile che si infrange al minimo urto, proprio come lui sembra andare in pezzi ogni volta che subisce l’ennesima crisi della loro relazione. Il riferimento al lancio di oggetti suggerisce un’escalation emotiva all’interno della coppia, un circolo vizioso fatto di rabbia, sfoghi impulsivi e riconciliazioni dolorose. Il fatto che lui sia “più fragile” dei bicchieri non solo sottolinea la sua sensibilità e debolezza nei confronti della compagna, ma anche la sua tendenza a cedere sempre, a perdonare nonostante tutto. L’atto di “tornare ancora” chiude il verso con un senso di inevitabilità, come se fosse condannato a ripetere lo stesso errore all’infinito. Nonostante la consapevolezza della tossicità del rapporto, nonostante il dolore e le ferite subite, il protagonista è incapace di spezzare il legame, rimanendo intrappolato in una dinamica autodistruttiva di separazione e ritorno.
Ricapitolando, ci aggrappiamo a poco o niente,
L’uso ripetuto dell’avverbio “ricapitolando”, come nel primo verso, suggerisce un ennesimo tentativo di sintesi, quasi come se il protagonista cercasse di dare un senso logico alla loro relazione, tirando le somme di ciò che rimane. Tuttavia, il risultato di questa analisi è desolante: la coppia si aggrappa a “poco o niente”, espressione che indica una precarietà estrema, come se il loro rapporto fosse costruito su fondamenta inconsistenti, prossime al cedimento. Non vi è traccia di solidità o di certezze, eppure entrambi sembrano incapaci di lasciarsi andare del tutto. Il verbo “aggrappiamo” richiama un senso di disperazione, come se entrambi fossero consapevoli dell’instabilità della loro storia ma, nonostante tutto, continuassero a stringersi a quel poco che resta, anche se insufficiente.
Sarà che non vuoi stare sola,
Qui il protagonista suggerisce una possibile motivazione dietro la resistenza della sua compagna nel chiudere la relazione: la paura della solitudine. La costruzione del verso, con “sarà che” all’inizio, denota incertezza, quasi un’ipotesi più che una dichiarazione definitiva. Tuttavia, la frase lascia intuire una dinamica relazionale in cui la donna non è legata al protagonista da un amore profondo, ma piuttosto dal timore di rimanere da sola. Questo elemento aggiunge un ulteriore strato di amarezza al brano, poiché fa emergere un rapporto che sembra più dettato da un bisogno emotivo che da un vero desiderio reciproco. La solitudine diventa quindi un’ombra incombente, un peso che lei cerca di evitare restando aggrappata a un rapporto che, però, non è privo di tossicità e sofferenza.
Sarà che sono un deficiente, insopportabile e tu peggio,
In questo verso il protagonista sposta il focus su di sé, mettendo in discussione la propria personalità con un’autodenigrazione diretta e brutale. L’uso di “sarà che” ripete la struttura del verso precedente, creando un parallelismo tra la paura della compagna e i propri limiti personali. Il termine “deficiente” viene impiegato qui non tanto nel suo significato tecnico di “mancante di qualcosa”, ma più come un insulto verso sé stesso, un riconoscimento della propria incapacità di gestire il rapporto in modo sano. La successiva aggiunta di “insopportabile” accentua ulteriormente il senso di inadeguatezza, delineando un protagonista che si vede come difficile da amare, forse persino autodistruttivo. Tuttavia, il verso non si chiude con una piena assunzione di colpa, perché subito dopo arriva il colpo di scena: “e tu peggio”. Con questa affermazione, il protagonista ribalta la prospettiva, suggerendo che, per quanto lui stesso sia imperfetto e difficile da gestire, la compagna lo è ancora di più. Questo verso è quindi denso di sarcasmo e risentimento, come se fosse un modo per giustificare la tossicità del loro rapporto sottolineando che la colpa non è solo sua.
Un altro fiume di Jack Daniel’s
La metafora del “fiume di Jack Daniel’s” prosegue il leitmotiv della canzone, in cui l’alcol è un elemento ricorrente, simbolo di un tentativo di fuga, di anestesia dal dolore e dalle tensioni. L’uso di “un altro” implica che non è la prima volta che questa scena si ripete: il ricorso all’alcol è diventato una costante nella dinamica della coppia, un rituale che accompagna e forse amplifica il loro conflitto. Il Jack Daniel’s, con la sua connotazione di whiskey forte e amaro, diventa qui il simbolo della rabbia repressa, della frustrazione e della necessità di stordirsi per evitare di affrontare direttamente la realtà della loro relazione. L’immagine del “fiume” enfatizza la quantità e la continuità di questo abuso, come se l’alcol fosse ormai parte integrante della loro storia, un elemento onnipresente che scorre attraverso le loro notti e le loro liti senza mai arrestarsi.
[…]
E torno ancora a vomitare sopra un foglio quattro accordi, una canzone;
In questo verso, l’immagine di “vomitare sopra un foglio” evoca un atto di disgusto e di frustrazione. Il verbo “vomitare” non è casuale: non si tratta di una scrittura ispirata o di una creazione artistica che scaturisce da un flusso di coscienza positivo, ma piuttosto di un atto meccanico e doloroso, come se il protagonista fosse obbligato a riversare su carta pensieri o emozioni che gli sono indigesti. L’uso del “foglio” come superficie su cui riversare questi pensieri suggerisce una forma di autoanalisi tormentata e quasi patologica, come se il protagonista non riuscisse a liberarsi del tutto del suo malessere, ma fosse costretto a metterlo nero su bianco. I “quattro accordi” a cui fa riferimento sono emblematici della semplicità e della ripetitività con cui cerca di esprimersi, un gesto che non ha ambizioni di grandezza o di originalità. Piuttosto, si tratta di un atto di sfogo, una sorta di lamento musicale che tenta di trasformare la sofferenza in qualcosa di tangibile, seppur banale e ripetitivo. Il termine “una canzone” diventa il veicolo di questo sfogo, ma la sua semplicità e la sua scarsità suggeriscono che non si tratti di una composizione completa o matura, ma di un tentativo di espressione incompleto, come un rifiuto che continua a ripetersi senza evolversi in modo significativo.
A bestemmiare alla mia insonnia con la fronte sul guanciale
Il secondo verso prosegue il tono di disagio espresso nel precedente, ma si sposta ora sulla dimensione interiore del protagonista. L’atto di “bestemmiare” evoca una rabbia incontrollata e un senso di disperazione profonda, una comunicazione con il divino o con l’infinito che si rivela, invece, come un grido di dolore e di rifiuto. La bestemmia, un atto simbolicamente carico di violenza verbale, qui non è indirizzata a una figura specifica ma piuttosto alla propria condizione, in particolare alla sua insonnia, un male interiore che il protagonista sembra non riuscire a superare. L’insonnia, infatti, diventa la manifestazione di una mente che non trova pace, incapace di staccarsi dai propri pensieri e dalle proprie angosce, in un ciclo infinito che non gli consente di riposare né fisicamente né psicologicamente. La “fronte sul guanciale” rinforza l’immagine di un corpo che è fisicamente stanco, che cerca conforto nel sonno, ma che è intrappolato dalla mente in uno stato di veglia forzata, dove il silenzio e la solitudine della notte amplificano le sue sofferenze. Il guanciale, simbolo di riposo e di rifugio, diventa un luogo di frustrazione invece che di conforto, un’immagine che sottolinea la contraddizione tra il bisogno di dormire e l’incapacità di farlo. In questo contesto, il protagonista si trova prigioniero di sé stesso, incapace di trovare sollievo né nel sonno né nell’espressione, costretto a un perpetuo tormento interiore che lo porta a urlare invano contro l’universo.
“5 Minuti di Fragilità” è una canzone che esplora con intensità emotiva il conflitto interiore del protagonista, imprigionato tra l’auto-sabotaggio, le relazioni complicate e il dolore psico-fisico che ne deriva. Ogni verso sembra svelare una parte della sua psiche tormentata, dove l’amore e la sofferenza si intrecciano, e la fragilità diventa il filo conduttore di un’esistenza che si frantuma in pezzi difficili da ricomporre. Il linguaggio crudo e diretto, che mescola immagini violente come “vomitare sopra un foglio” e “bestemmiare alla mia insonnia”, serve a dare voce a una sofferenza che non trova tregua, ad un’insofferenza verso sé stesso e verso gli altri. La figura della compagna, che emerge attraverso i riferimenti a “tu, fragile”, funge da specchio di una relazione tossica e disfunzionale, ma anche come l’unica ancora di salvezza, un legame che, pur imperfetto, resiste. L’uso di immagini forti e la ripetizione di certi temi, come il Jack Daniel’s, la rabbia repressa e la continua ricerca di redenzione, rafforzano il senso di impotenza e frustrazione del protagonista. Tuttavia, c’è anche un momento di riflessione sul fallimento e sulla solitudine, temi che si intrecciano con la quotidianità di un uomo che lotta per trovare un senso alla propria vita e ai propri fallimenti. La canzone si conclude con una nota di rassegnazione, ma anche con un grido di speranza, come se, attraverso il dolore, ci fosse ancora la possibilità di una catarsi, seppur lontana e difficile da raggiungere. “5 Minuti di Fragilità” è quindi un atto di confessione, un’espressione di vulnerabilità in cui l’artista dà voce a tutte le proprie insicurezze, ma anche una riflessione sulla condizione umana, sull’incapacità di fuggire dai propri demoni e sulle relazioni che, pur segnate da difetti e contraddizioni, sono l’unico punto di contatto con il mondo esterno.

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Lyrics by Marco Delrio, Music by Walter Visca, Marco Delrio, Stefano Apicella
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