“Tappezzerie Magenta”

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TESTO

C’è un velo d’inutile ironia nell’eco che mi sussurra
E un cielo rossastro da poesia sul vetro della finestra;
Si spegne sui nostri guai
A cui non rimedierò mai.

Lo sterno schiacciato sulla madia
Graffiata da troppa fretta
E tu che dicevi “Andiamo via, ripensaci, che ti frega?
Ché tanto è tutto perso ormai,
Ché tanto ho gli incubi in stand-by…”

E’ solo un cataclisma,
Tu mostrami com’è che fai a restare in piedi
Mentre tutto crolla ancora.
“E’ solo la fine” scrivesti
Sulla cenere, fatico a restare in piedi
Mentre intorno il nulla mi affonda.

C’è un vecchio fantasma logoro e mi parla per cliché.
Dicesti che a volte è logico sentirsi colpevole
Ma tu alla fine che colpe hai
Se resti all’ombra di un bonsai?

E’ un mantra che sputo monotono
Per rispondere ai perché
E tu che dicevi “E’ un attimo,
A volte pensa un po’ anche a te
Ché tanto è tutto un soffio, sai?
E vengo se poi te ne vai…”

E’ solo l’apocalisse
Tu mostrami com’è che fai a restare in piedi
Mentre tutto crolla ancora.
E’ solo la fine di tutto,
Siamo cenere.
Tienimi ancora in piedi
Mentre intorno il mondo affonda.


TRANSLATION
Magenta Wallpapers

There’s a veil of useless irony in the echo whispering to me
And a reddish sky, like poetry, on the window glass;
It fades over our troubles
Which I will never mend.

My sternum crushed against the sideboard
Scratched by too much haste
And you who said, “Let’s go, think again, what do you care?
Everything’s already lost anyway,
I’ve got my nightmares on standby…”

It’s just a cataclysm,
Show me how you manage to stand
While everything crumbles again.
“It’s just the end,” you wrote
On the ashes, I struggle to stay upright
While the void around me swallows me whole.

There’s an old, worn-out ghost speaking to me in clichés.
You said that sometimes it makes sense to feel guilty,
But what guilt do you even bear
If you live in the shadow of a bonsai?

It’s a mantra I spit out monotonously
To answer the whys,
And you who said, “It’s just a moment,
Sometimes think of yourself too,
Everything’s just a breath, you know?
And I’ll come if you then leave…”

It’s just the apocalypse,
Show me how you manage to stand
While everything crumbles again.
It’s just the end of it all,
We are ashes.
Hold me up once more
While the world around me sinks.


ANALISI

“Tappezzerie Magenta” è un brano che intreccia il dramma esistenziale con la decadenza materiale, raccontando la storia di un uomo che si aggrappa con disperazione a un’attività destinata al declino. Il titolo gioca su un duplice significato: non solo richiama il colore vibrante delle tappezzerie vendute nel negozio, ma è anche un riferimento al cognome del protagonista, rendendo l’attività non solo un’impresa economica, ma un’estensione della sua stessa identità. Il negozio, ormai sull’orlo del fallimento, diventa il simbolo della resistenza ostinata di chi non riesce a lasciar andare ciò che ha costruito, anche quando ogni segnale suggerisce che sarebbe la scelta più razionale.

La narrazione si sviluppa in un ambiente soffuso di malinconia, tra i toni rossastri del cielo riflessi sulla vetrina e l’eco di pensieri intrisi di ironia e rassegnazione. Il protagonista si muove in un mondo fatto di oggetti e ricordi che si sgretolano, con il corpo fisicamente schiacciato dalla fatica e dalla tensione emotiva, rappresentata dall’immagine dello sterno premuto sulla madia graffiata dalla fretta. Accanto a lui, la sua compagna è una figura di sostegno e razionalità: cerca di convincerlo ad andare via, a ripensarci, a non combattere una battaglia già persa. Ma per lui, lasciare il negozio significa perdere qualcosa di più di un semplice lavoro; significa ammettere il proprio fallimento, accettare che il tempo ha vinto e che il suo mondo si sta sgretolando sotto i suoi occhi.

Nel ritornello la prospettiva si ribalta: è il protagonista a rivolgersi alla sua compagna, riconoscendo la sua forza, il suo modo di restare in piedi anche di fronte alla rovina. Lui, invece, fatica a mantenere l’equilibrio, incapace di trovare un senso nella perdita e nella fine di un’epoca. Il crollo economico e personale viene paragonato a un cataclisma, a un’apocalisse inevitabile, in cui la cenere diventa la metafora dell’irreversibile dissoluzione del passato. La richiesta finale è un ultimo disperato tentativo di trovare appiglio in lei, nella sua solidità, mentre tutto intorno sprofonda.

“Tappezzerie Magenta” è una riflessione amara sulla difficoltà di accettare il cambiamento, sulla resistenza emotiva davanti al crollo di ciò che si è costruito, e sulla forza – o debolezza – necessaria per lasciar andare. Un brano che si muove tra la poesia della sconfitta e la brutalità della realtà, in un costante equilibrio tra resa e speranza.

C’è un velo d’inutile ironia nell’eco che mi sussurra

Il verso si apre con un’immagine evocativa e malinconica: un velo d’inutile ironia, qualcosa di leggero ma allo stesso tempo opprimente, avvolge un’eco che sussurra. L’ironia qui è definita “inutile”, suggerendo un’amarezza che non porta né sollievo né risoluzione, ma si limita a rendere ancora più paradossale la condizione del protagonista. Il verbo “sussurra” conferisce un tono intimo e quasi spettrale alla scena, suggerendo che ciò che riecheggia potrebbe essere un pensiero ricorrente, un ricordo o persino una voce interiore che continua a ripetersi senza trovare risposta. L’eco, in quanto fenomeno acustico, sottolinea il senso di solitudine e vuoto, come se la realtà fosse ormai priva di dialogo e il protagonista si trovasse a interagire solo con le proprie riflessioni distorte.

E un cielo rossastro da poesia sul vetro della finestra;

L’immagine del cielo rossastro si carica di una duplice valenza. Da un lato, il colore richiama la malinconia del tramonto o l’inquietudine dell’alba, momenti di transizione che riflettono il senso di precarietà vissuto dal protagonista. Dall’altro, il riferimento a un “cielo da poesia” allude a una bellezza intrisa di malinconia, come se la realtà stessa si tingesse di toni lirici ma effimeri. L’uso della finestra come filtro visivo suggerisce una separazione tra il mondo esterno e lo spazio interiore del protagonista, quasi come se osservasse la vita da dietro un vetro, incapace di parteciparvi realmente. Il cielo, pur essendo immenso e mutevole, resta una visione distante e inaccessibile, un dettaglio che amplifica il senso di isolamento.

Si spegne sui nostri guai a cui non rimedierò mai.

Qui il cielo, che nei versi precedenti aveva assunto una connotazione poetica e malinconica, diventa un simbolo di spegnimento, di chiusura e resa. L’idea che si spenga sui “nostri guai” crea un forte senso di ineluttabilità: il cielo, che dovrebbe essere qualcosa di eterno e distante, si consuma insieme ai problemi della coppia, quasi assorbendone la negatività. Il protagonista riconosce la sua incapacità di porre rimedio alla situazione, dichiarando apertamente che non troverà mai una soluzione. La consapevolezza della propria impotenza conferisce al verso una drammaticità rassegnata, un’ammissione di sconfitta che definisce il tono dell’intera narrazione.

Lo sterno schiacciato sulla madia graffiata da troppa fretta

Questo verso introduce un’immagine fisica estremamente potente, in cui il corpo del protagonista si trova letteralmente compresso contro un mobile, la madia, un oggetto domestico che solitamente rappresenta stabilità e quotidianità. Il verbo “schiacciato” trasmette un senso di oppressione e sofferenza, come se il peso della situazione fosse diventato tangibile e insostenibile. La madia, descritta come “graffiata da troppa fretta”, porta i segni visibili di un’ansia costante, di una tensione vissuta quotidianamente. La fretta suggerisce un’esistenza vissuta in modo frenetico, senza mai fermarsi, accumulando graffi e ferite che, anche se superficiali, raccontano un logorio continuo. Il contatto fisico tra il protagonista e l’oggetto enfatizza la sua condizione di immobilità e schiacciamento, come se fosse incastrato tra il passato rappresentato dalla madia e il presente che lo costringe in una posizione di sofferenza.

E tu che dicevi “Andiamo via, ripensaci, che ti frega?”

Questo è il primo verso in cui compare la voce della compagna, che cerca di scuotere il protagonista dalla sua inerzia. Il suo tono è quasi esortativo, carico di una razionalità che contrasta con la paralisi emotiva dell’uomo. L’uso del discorso diretto rafforza l’impatto delle sue parole, rendendole più vive e immediate. “Andiamo via” è un invito a voltare pagina, a lasciare il negozio e tutto ciò che esso rappresenta, mentre “ripensaci” introduce la speranza che il protagonista possa ancora cambiare idea e liberarsi dal peso della sua ostinazione. “Che ti frega?” è un’espressione volutamente colloquiale che enfatizza la semplicità della scelta agli occhi di lei: per quanto lui possa sentirsi intrappolato, agli occhi della compagna abbandonare il negozio non dovrebbe essere una questione così difficile. Questa frase, seppur breve, rivela il contrasto tra il tormento del protagonista e la visione più pragmatica di lei, che non comprende fino in fondo il motivo per cui lui continui ad accanirsi su qualcosa di già perso.

Ché tanto è tutto perso ormai, ché tanto ho gli incubi in stand-by…”

Qui la compagna fornisce una sorta di spiegazione al suo punto di vista: insiste sul fatto che ormai non c’è più nulla da salvare, che tutto è irrimediabilmente perduto. La ripetizione di “ché tanto” rafforza il senso di fatalismo, sottolineando che non c’è nulla da fare, nessun motivo valido per continuare a combattere. L’immagine degli “incubi in stand-by” è particolarmente significativa: suggerisce che lei stessa vive una condizione di angoscia e sofferenza, ma a differenza del protagonista è in grado di metterli momentaneamente in pausa, di non lasciarsene sopraffare. La sua capacità di gestire la propria disperazione, seppur in una forma sospesa, si contrappone alla paralisi autodistruttiva di lui. Tuttavia, il fatto che gli incubi siano solo “in stand-by” implica che anche lei non è immune alla paura e al dolore, ma cerca di andare avanti nonostante tutto.

E’ solo un cataclisma,

Il verso inizia con una dichiarazione che racchiude un senso di distruzione e inevitabilità: “E’ solo un cataclisma”. Il termine “cataclisma” porta con sé una forte connotazione di disastro, di sconvolgimento totale, qualcosa che non può essere fermato e che travolge ogni cosa. L’uso di “solo” denota una certa rassegnazione, come se il protagonista stesse cercando di sminuire la portata della situazione, forse per proteggersi dal riconoscere la gravità del momento. Il cataclisma diventa un elemento naturale e inevitabile, una forza che travolge e non lascia spazio a una possibile reazione o salvezza. Si riflette qui una sorta di fatalismo, in cui la distruzione non è una sorpresa ma una realtà che deve essere affrontata come un dato di fatto, senza alcuna possibilità di cambiamento. La sensazione che ne deriva è di impotenza, un sentimento che permea l’intera canzone e che qui si manifesta con la consapevolezza di essere intrappolati in un evento che non si può evitare.

Tu mostrami com’è che fai a restare in piedi mentre tutto crolla ancora.

Questa richiesta, pronunciata dal protagonista nei confronti della compagna, si presenta come una sorta di disperata ammirazione misturata a invidia. Lui la guarda come se fosse un esempio di resilienza, una figura che, nonostante le difficoltà e il caos che li circondano, riesce a mantenersi integra e stabile. La frase “mostrami com’è che fai a restare in piedi” implica un desiderio di apprendere da lei, di capire quale sia il suo segreto per non crollare insieme al mondo intorno a loro. C’è qui una riflessione sulla fragilità umana, dove il protagonista, in una condizione di vulnerabilità assoluta, cerca di trovare un appiglio in qualcun altro, una persona che sembra in grado di gestire la catastrofe senza esserne sopraffatta. Il contrasto tra “restare in piedi” e “tutto crolla ancora” amplifica l’idea di una lotta in corso, in cui lei sembra l’unica figura stabile mentre tutto ciò che la circonda sta subendo il suo collasso. Il movimento di opposizione tra la stabilità e la rovina rafforza la sensazione di disorientamento e impotenza del protagonista, che si trova a fronteggiare il caos in una posizione di passività.

“E’ solo la fine” scrivesti sulla cenere,

Il ritorno al concetto di “fine” in questo verso rimarca un’altra visione di accettazione della distruzione imminente, ma lo fa con l’atto stesso di scrivere sulla cenere, che è il simbolo della fine per eccellenza. La cenere è il residuo di un fuoco che si è spento, il segno tangibile di qualcosa che è stato consumato e che ormai non può più tornare indietro. Scrivere su di essa implica una sorta di testamento o dichiarazione finale, come se la compagna avesse scritto quella frase per dare un significato all’irreparabile, come se fosse un modo per rendere quella fine meno disordinata o caotica. Ma l’uso della cenere suggerisce anche che, nonostante si tenti di dare un senso a ciò che accade, la fine è inevitabile e irremovibile. La frase stessa, “E’ solo la fine”, ha un tono di rassegnazione simile a quello del protagonista, ma, a differenza della sua sofferenza, sembra una constatazione pacifica. La compagna si fa carico di una consapevolezza che sembra liberarla, mentre il protagonista continua a essere intrappolato nel dolore e nell’incertezza.

Fatico a restare in piedi mentre intorno il nulla mi affonda.

In questo verso il protagonista esprime un profondo senso di difficoltà nell’affrontare la propria esistenza e la realtà che lo circonda. L’immagine di “restare in piedi” è la stessa di prima, ma qui si inserisce un ulteriore strato di significato: la fatica. Non è più solo una questione di resistenza, ma un atto di lotta continua contro la propria incapacità di rimanere stabile. Il “nulla” che lo “affonda” fa riferimento a un vuoto esistenziale, un senso di insignificanza e disperazione che pervade la sua vita. L’immagine del nulla come qualcosa che “affonda” il protagonista suggerisce che la sua esistenza sta lentamente cedendo sotto il peso di un’indifferenza cosmica, dove non c’è nulla di solido su cui aggrapparsi. Questa sensazione di impotenza si radica ulteriormente nella percezione di un vuoto che non offre nemmeno il supporto di un senso più profondo. La fatica di “restare in piedi” diventa metafora della lotta interiore per trovare uno scopo o una motivazione in un mondo che sembra non offrire alcuna risposta. Il contrasto tra la solitudine del protagonista e la resistenza della compagna si fa ancora più evidente, rendendo ancora più doloroso il suo senso di affondamento.

C’è un vecchio fantasma logoro e mi parla per cliché.

In questo verso, il protagonista introduce la figura del “vecchio fantasma logoro”, un’immagine potente che simboleggia una parte del suo passato, forse una versione di sé stesso o una proiezione delle sue paure e rimpianti. Il termine “logoro” suggerisce che questo fantasma sia consumato dal tempo, usurato dalle esperienze vissute e dalle emozioni non risolte. La sua “logorosità” rimanda anche a un senso di stanchezza emotiva, a qualcosa che non è più vivo ma continua a tormentare il presente con la sua presenza sbiadita e senza energia. L’uso dei “cliché” è significativo perché implica che il fantasma non offre più risposte nuove o soluzioni efficaci, ma ripete banalità, luoghi comuni, frasi fatte che non sono in grado di affrontare la profondità del dolore e della difficoltà che il protagonista sta vivendo. L’eco di questi cliché potrebbe essere visto come un rimprovero o come un’inutile giustificazione che il protagonista continua a ricevere dalla sua coscienza o dalla voce del suo passato. La ripetizione di queste frasi consente di esprimere come il protagonista si senta imprigionato in un circolo vizioso, dove i pensieri e le ansie non trovano un reale sfogo ma si ripetono continuamente, senza evolversi. Questo fantasma rappresenta quindi non solo il rimpianto per ciò che non è stato realizzato, ma anche la difficoltà di liberarsi dai propri schemi mentali distruttivi.

Dicesti che a volte è logico sentirsi colpevole.

Il verso successivo introduce una voce diretta che, probabilmente, proviene dalla compagna del protagonista. “Dicesti” è un’indicazione precisa che rimanda a una comunicazione passata, un consiglio o una riflessione che lei gli aveva fatto. La frase “a volte è logico sentirsi colpevole” suggerisce un tentativo di giustificazione per il senso di colpa che il protagonista prova. La parola “logico” in questo contesto appare quasi ironica: la compagna gli suggerisce che è naturale sentirsi responsabile in certe circostanze, ma, nel contesto della canzone, la colpa sembra essere più autoimposta che effettivamente giustificata. La colpa del protagonista sembra radicarsi in un senso di fallimento personale, soprattutto legato alla sua incapacità di salvare il negozio e la sua vita, ma la compagna, pur riconoscendo la sua sofferenza, cerca di confortarlo indicando che, in un certo senso, è comprensibile che egli si senta così. Qui, l’intento di consolare si scontra con la consapevolezza del fallimento, ma la frase rimane una manifestazione di empatia, anche se poco capace di mitigare davvero il dolore del protagonista.

Ma tu alla fine che colpe hai se resti all’ombra di un bonsai?

Questa domanda retorica rivela l’incongruenza tra il senso di colpa che il protagonista si attribuisce e la realtà della situazione. Il “bonsai” in questo caso funge da metafora di limitazione e rinuncia: un bonsai è un albero che è stato costretto in una forma ridotta, limitata, non lasciando mai crescere liberamente. L’uso del bonsai come metafora suggerisce che la compagna è rimasta in una sorta di “ombra”, in una condizione di contenimento o di sacrificio, ma non per sua scelta. La domanda implica che, pur restando nel contesto di una vita che potrebbe sembrare limitata o costretta, lei non è in colpa per la situazione. Il contrasto tra la colpa che il protagonista si auto-attribuisce e la sua percezione di lei come qualcuno che resta all’ombra di una condizione non scelta ma subita, mostra come lui si stia imponendo un carico emotivo che non gli appartiene realmente. La sua percezione di responsabilità è dunque distorta, e la compagna, con la sua presenza, sembra rimanere nell’ombra, non impegnandosi direttamente nel conflitto che lui sta affrontando, ma supportandolo silenziosamente.

E’ un mantra che sputo monotono per rispondere ai perché.

Il protagonista, a questo punto, si trova intrappolato in un ciclo ripetitivo di pensieri e risposte, un “mantra” che non porta a nulla di nuovo ma che viene ripetuto per cercare di dare un senso alle sue domande esistenziali, ai “perché” che tormentano la sua mente. Il termine “monotono” aggiunge un ulteriore livello di significato, suggerendo che le risposte che il protagonista si dà sono vuote e prive di variazione, come se non ci fosse evoluzione nel suo pensiero. Il “mantra” che ripete diventa, dunque, un meccanismo di auto-difesa che non ha la forza di cambiare le cose, ma serve a placare temporaneamente l’ansia e il dolore. L’uso della parola “sputo” rinforza la sensazione di rifiuto, di azione meccanica e violenta, come se la ripetizione del mantra non fosse una scelta consapevole ma un atto compulsivo che cerca di allontanare la realtà che non riesce a fronteggiare.

E tu che dicevi “E’ un attimo, a volte pensa un po’ anche a te.

In questo verso, la compagna si rivolge ancora al protagonista, suggerendo che a volte dovrebbe dedicare un po’ di attenzione a sé stesso. La frase “E’ un attimo” sembra voler sottolineare la transitorietà di alcune situazioni, invitando il protagonista a non farsi sopraffare dalla lentezza del tempo o dalla pesantezza dei suoi pensieri. Il suggerimento di “pensare un po’ anche a te” ha un tono che cerca di distogliere il protagonista dal suo spirito di sacrificio verso il negozio e il suo lavoro, chiedendogli di considerare se stesso, i suoi bisogni e la sua felicità. La frase implica che il protagonista si stia troppo consumando in un sacrificio che non lo porta da nessuna parte, suggerendo la necessità di riequilibrare la sua vita dedicando più tempo alla cura di sé. Questo momento è una sorta di invito ad abbandonare la solitudine emotiva che il protagonista si è imposto e a prendere in considerazione che forse, per una volta, sarebbe il caso di pensare a cosa è meglio per lui.

Ché tanto è tutto un soffio, sai? E vengo se poi te ne vai…”

Il concetto di “soffio” qui è evocativo di qualcosa di effimero e instabile, una realtà che sfugge rapidamente. La compagna sembra voler trasmettere un messaggio di relatività, suggerendo che molte delle preoccupazioni del protagonista, per quanto serie, siano destinate a svanire in modo inesorabile, come un soffio che si disperde nell’aria. La frase “E vengo se poi te ne vai” esprime un paradosso, un impegno a rimanere legata a lui anche nel momento in cui sembra che lui stia per andarsene, ma in un contesto di grande incertezza. Il “soffio” accentua il carattere temporaneo della condizione che stanno vivendo, e, allo stesso tempo, “te ne vai” riflette l’ambiguità della situazione emotiva del protagonista: egli sembra diviso tra l’idea di fuggire o di restare, ma sa che la sua condizione, come il “soffio”, è vulnerabile e destinata a cambiare.

“Tappezzerie Magenta” è una canzone che esplora la condizione di un uomo che, di fronte alla fine di una parte importante della sua vita, si trova ad affrontare una serie di dilemmi esistenziali, di sensi di colpa e di conflitti interiori. Il protagonista, un uomo intrappolato nella difficoltà di abbandonare un negozio di tappezzerie ormai sull’orlo del fallimento, è costretto a confrontarsi con l’inevitabilità del cambiamento e il peso delle proprie scelte passate. La figura della compagna, che lo sprona e cerca di dargli supporto, funge da contrappeso, invitandolo a riflettere su sé stesso e a riconoscere la necessità di un cambiamento che non sembra riuscire a compiere. L’uso di metafore forti, come il “vecchio fantasma logoro” e l’immagine del bonsai, evoca un senso di limitazione e di sacrificio, ma anche di un desiderio di liberazione che non trova sbocchi immediati. Le parole del protagonista, costantemente intrise di un senso di perdita e frustrazione, si alternano a quelle della compagna, che cerca di infondere speranza e consapevolezza nell’amorevole sforzo di aiutarlo a ritrovare se stesso. La canzone dipinge un quadro di disillusione, ma anche di tentativi di trovare un senso nella devastazione, e sebbene il tono possa apparire segnato dalla sofferenza e dal senso di colpa, c’è una ricerca costante di significato in un mondo che sembra crollare. La ripetizione di immagini come “la fine”, “la cenere” e il “soffio” enfatizzano l’effimero della vita, ma al contempo, le parole della compagna suggeriscono che esista un’alternativa alla sottomissione alla sofferenza: la possibilità di rimanere in piedi nonostante tutto. La canzone si inserisce dunque in una riflessione profonda sulla resilienza, sul peso delle scelte e sulla difficoltà di lasciar andare, rappresentando un viaggio emotivo che, pur segnato dalla difficoltà, è anche un’occasione per il protagonista di riconoscere e accettare la fine di un ciclo.


SPARTITO

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CREDITI

Lyrics by Marco Delrio, Music by Walter Visca, Marco Delrio, Stefano Apicella


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disclaimer: Gli articoli presenti in questa sezione del blog includono analisi di poesie effettuate dall’intelligenza artificiale. È importante tenere presente che le interpretazioni artistiche e letterarie sono spesso soggettive e possono variare notevolmente da persona a persona. Le analisi fornite dall’intelligenza artificiale sono basate su modelli di linguaggio e dati storici, ma non riflettono necessariamente l’unico o il “vero” significato di una poesia. Le analisi dell’intelligenza artificiale possono offrire prospettive interessanti e nuove su opere letterarie, ma non dovrebbero sostituire l’approccio critico umano o l’interpretazione personale. Si consiglia agli utenti di prendere in considerazione le analisi dell’intelligenza artificiale come un punto di partenza per la riflessione e il dibattito, piuttosto che come un’opinione definitiva. Si prega di ricordare che l’arte, compresa la poesia, è aperta a molteplici interpretazioni e sfumature, e il piacere della sua scoperta deriva spesso dalla libertà di interpretazione personale. Inoltre, l’intelligenza artificiale potrebbe non essere in grado di cogliere completamente l’aspetto emotivo o contestuale di una poesia, il che rende ancora più importante considerare le analisi con una mente aperta e critica.


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