“Inutile”

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TESTO

La fanno facile
A dirmi di crescere.
Io colleziono gli anni
E svendo il mio star bene
Tra i banchi di un bazar
E i fumi di città;
Trascino i miei affanni
E il silenzio mi sostiene.

Sembrava semplice
Quel tenue esistere
Fatto di sogni e sbagli
E soltanto stare insieme
Tra i tavoli di un bar
E il quid del mio “chissà”;
Quei piccoli dettagli
Che nessun altro vede

Ed io che cieco sto sfumando
In un presente fragile;
Ed io, che stupido, a cercarti
In tutti gli sguardi

E forse è inutile
Rincorrere i perché
Se poi rispondi uguale
E darti tutto è un male
E forse è inutile
Rincorrere anche te
E gridarlo è inefficace:
Amarti mi dispiace.

Sembra facile
Saper sorridere
E accantonar ricordi
E finger di star bene.
Tra un altro deja-vu
E le lacrime d’un blues,
A dirmi che ritorni
E finger di volere.

Ed io che cieco sto sprecando
Il mio presente senza te;
Ed io, che stupido, a cercarti
In tutti gli sguardi

E forse è inutile
Rincorrere i perché
Se poi rispondi uguale
E darti tutto è un male
E forse è inutile
Rincorrere anche te
E gridarlo è inefficace:
Ti amo e mi dispiace.


TRANSLATION
Useless

Useless

They make it sound easy
Telling me to grow up.
I collect the years
And sell off my well-being
Between the stalls of a bazaar
And the smoke of the city;
I drag my troubles along,
And silence sustains me.

It seemed simple,
That faint existence
Made of dreams and mistakes
And just being together,
Between the tables of a bar
And the essence of my what if;
Those little details
That no one else sees.

And I, blind, am fading
Into a fragile present;
And I, so foolish, still seek you
In every gaze.

And maybe it’s useless
To chase after the whys
If you always answer the same,
And giving you everything is a mistake.
And maybe it’s useless
To run after you as well,
And shouting it is pointless:
Loving you makes me sad.

It seems easy
To know how to smile,
To put memories aside,
To pretend to be fine.
Between another déjà vu
And the tears of a blues song,
Telling myself you’ll return,
Pretending I want it.

And I, blind, am wasting
My present without you;
And I, so foolish, still seek you
In every gaze.

And maybe it’s useless
To chase after the whys
If you always answer the same,
And giving you everything is a mistake.
And maybe it’s useless
To run after you as well,
And shouting it is pointless:
I love you, and it makes me sad.


ANALISI AI

“Inutile” è una canzone che esplora con intensità emotiva il senso di disillusione e rassegnazione che accompagna la fine di una relazione. Il testo si snoda tra immagini evocative di quotidiana alienazione e riflessioni intime, mettendo in luce il conflitto interiore del protagonista, sospeso tra il desiderio di capire e la consapevolezza dell’inutilità di certe risposte. La crescita personale si scontra con il peso dei ricordi, mentre il tempo scorre in un presente fragile, segnato da sguardi che cercano disperatamente un’eco del passato. Il linguaggio è semplice ma incisivo, capace di restituire con immediatezza il tormento di chi si trova a dover rinunciare a un amore che, nonostante tutto, persiste come un’ombra ingombrante. La ripetizione del concetto di “inutilità” diventa il filo conduttore dell’intero brano, sottolineando l’inefficacia delle parole e dei gesti nel risolvere il dolore, e il senso di frustrazione che nasce dall’impossibilità di cambiare le cose. L’ultimo verso, con il suo paradosso emotivo – “Ti amo e mi dispiace” – chiude il cerchio di una narrazione che oscilla tra amore e rimpianto, lasciando nell’aria una sensazione di malinconica accettazione.

La fanno facile a dirmi di crescere.
Questo verso introduce immediatamente uno dei temi centrali della canzone: il conflitto tra l’aspettativa sociale di maturità e la difficoltà personale di conformarsi a tale richiesta. L’uso dell’espressione “la fanno facile” suggerisce un tono di insofferenza, quasi di disillusione, come se la crescita fosse vista dagli altri come un percorso lineare e privo di ostacoli, mentre per il protagonista rappresenta un peso, una sfida irrisolta. Il verbo “crescere” qui non ha solo una connotazione anagrafica, ma anche emotiva e psicologica: non si tratta solo di invecchiare, ma di assumere una maturità che forse il soggetto non sente ancora di possedere o che rifiuta di acquisire.

Io colleziono gli anni e svendo il mio star bene
Il concetto di crescita viene ripreso in questo verso con l’immagine del tempo che passa, quasi meccanicamente, come se l’età fosse un bene da accumulare piuttosto che un percorso di esperienza e arricchimento. “Collezionare gli anni” suggerisce una distanza emotiva nei confronti del proprio vissuto, come se il protagonista vedesse lo scorrere del tempo come un processo inevitabile ma privo di reale significato interiore. La seconda parte del verso introduce una forte contrapposizione: mentre il tempo avanza, il benessere personale viene svenduto, dissipato, quasi barattato per qualcosa di meno prezioso. Il verbo “svendere” ha una valenza particolarmente incisiva, poiché implica una perdita di valore, una rinuncia a qualcosa di importante in cambio di poco o nulla. Questo suggerisce che l’io lirico, nel suo percorso di crescita forzata, sta sacrificando la propria serenità, forse adeguandosi a un modello che non gli appartiene.

Tra i banchi di un bazar e i fumi di città;
Qui si introduce una dimensione più visiva e concreta: il bazar e la città diventano i luoghi simbolici in cui il protagonista si muove. Il bazar è un’immagine evocativa, un mercato caotico e disordinato in cui la vita si mescola al commercio, alla contrattazione, alla confusione. Può rappresentare la società in cui il protagonista si sente costretto a barattare parti di sé, proprio come accennato nel verso precedente. I “fumi di città” aggiungono un ulteriore livello di malinconia e oppressione: il fumo richiama qualcosa di nebuloso, di soffocante, quasi una metafora di un ambiente ostile o alienante. La città, spesso simbolo di progresso e opportunità, qui diventa uno spazio in cui il protagonista si perde, un luogo che avvolge e annebbia più che offrire un rifugio o una direzione chiara.

Trascino i miei affanni e il silenzio mi sostiene.
Il verbo “trascinare” conferisce un senso di fatica e rassegnazione: gli affanni non vengono affrontati, superati o risolti, ma semplicemente trascinati con sé, come un peso inevitabile. Questa scelta lessicale suggerisce una condizione di stanchezza interiore, di resistenza passiva alla vita, in cui il protagonista non lotta, ma nemmeno si arrende del tutto. Il contrasto con il finale del verso è particolarmente significativo: se da un lato il soggetto è oppresso dal proprio malessere, dall’altro è proprio il silenzio a dargli sostegno. Questa apparente contraddizione suggerisce che, in un mondo in cui tutto sembra essere rumore, aspettative e caos (come suggerito dall’immagine del bazar e della città), il protagonista trova rifugio nell’assenza di suoni, nel distacco. Il silenzio non è solo assenza di parole, ma diventa una forma di conforto, un momento in cui non è costretto a giustificarsi, a crescere, a spiegarsi. È il silenzio che gli permette di esistere senza dover necessariamente aderire alle richieste esterne.

Sembrava semplice quel tenue esistere fatto di sogni e sbagli
Questo verso apre con un senso di illusione ormai svanita: l’uso dell’imperfetto “sembrava” indica una percezione passata, un’idea che un tempo appariva chiara ma che ora si rivela ingannevole. L’aggettivo “semplice” sottolinea il contrasto tra la leggerezza con cui si viveva un tempo e la consapevolezza presente, che sembra suggerire che nulla sia davvero così facile come appariva allora. L’espressione “tenue esistere” è particolarmente evocativa: la vita non è descritta come un’entità solida e concreta, ma come qualcosa di sfumato, delicato, quasi evanescente. Il verbo “esistere” viene preferito a “vivere”, suggerendo una condizione più passiva che attiva, come se il soggetto si fosse limitato a fluttuare nel tempo piuttosto che afferrarlo con decisione. Questo esistere è costruito su “sogni e sbagli”, due elementi che sembrano legarsi in un’unica dimensione di ingenuità giovanile. I sogni rappresentano le aspirazioni, le speranze, mentre gli sbagli simboleggiano le inevitabili cadute, gli errori che accompagnano la crescita. Il verso racchiude dunque un’idea di nostalgia, un rimpianto per un’epoca in cui la vita sembrava meno complicata, in cui l’errore faceva parte del processo e l’illusione era ancora intatta.

E soltanto stare insieme
Questa frase, breve ed essenziale, amplifica la sensazione di rimpianto e semplicità che permea i versi precedenti. Il verbo “stare” ha una connotazione statica, suggerendo che la felicità di quel tempo non derivava da grandi eventi o conquiste, ma dalla sola presenza reciproca. L’uso di “soltanto” enfatizza questa idea: non c’erano bisogni complessi, ambizioni straordinarie o condizioni particolari, bastava essere l’uno accanto all’altro. Il verso racchiude un’eco di purezza e spontaneità, come se il solo condividere momenti fosse sufficiente a dare senso all’esistenza. Tuttavia, proprio questa apparente semplicità ora appare lontana e forse irraggiungibile, caricando il verso di malinconia e sottolineando quanto il presente si sia allontanato da quella condizione.

Tra i tavoli di un bar e il quid del mio “chissà”;
L’immagine evocata da questo verso è fortemente visiva e concreta. I “tavoli di un bar” richiamano un’ambientazione comune, quotidiana, ma al tempo stesso simbolica: il bar è spesso un luogo di socializzazione, di incontri casuali e di condivisione spensierata. La scelta di questo scenario conferisce un senso di familiarità e intimità, evocando le piccole routine che un tempo avevano valore, ma che ora forse risultano vuote o irrecuperabili. Il termine “quid” introduce un elemento di mistero e indefinitezza: si tratta di qualcosa di indefinibile, di impalpabile, una sorta di essenza sfuggente che caratterizzava quel periodo. Il “chissà” finale rafforza questa dimensione di incertezza e sospensione, suggerendo la persistenza di dubbi e interrogativi. Potrebbe riferirsi a un’incertezza sul futuro, al rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere ma non è stato, o semplicemente al senso di smarrimento nel cercare di comprendere cosa sia cambiato. Il verso nel suo insieme mescola concretezza e astrazione, contrapponendo la tangibilità dei tavoli del bar all’indefinitezza di un pensiero irrisolto.

Quei piccoli dettagli che nessun altro vede
Con questa chiusura si introduce un’idea di esclusività e intimità: i “piccoli dettagli” rappresentano ciò che rendeva speciale quel vissuto, elementi minimi e apparentemente insignificanti che però avevano un significato profondo per il protagonista. Il fatto che “nessun altro” li notasse suggerisce una dimensione privata e personale, quasi come se l’esperienza di quei momenti fosse stata unica e irripetibile. Questo verso sottolinea anche il valore delle cose non dette, delle sfumature impercettibili che rendono un legame autentico e profondo. Tuttavia, il tono con cui viene espresso lascia intendere che quei dettagli, ora, non abbiano più lo stesso peso o che siano andati perduti con il tempo. L’idea che nessun altro possa vederli può anche implicare una sensazione di solitudine o di distanza rispetto a chi non ha condiviso quei momenti, rafforzando il senso di nostalgia e disillusione che permea l’intero brano.

Ed io che cieco sto sfumando in un presente fragile;
Questo verso si apre con un senso di smarrimento e di dissoluzione dell’identità. Il pronome personale “io” enfatizza l’introspezione e il senso di solitudine del soggetto, mentre l’aggettivo “cieco” aggiunge una dimensione di incapacità di vedere e comprendere pienamente la propria situazione. La cecità, qui, non è solo fisica ma simbolica, rappresentando un’incapacità di orientarsi nella realtà o di trovare un senso in ciò che sta accadendo. L’uso del verbo “sfumando” è particolarmente evocativo: non si tratta di un’azione improvvisa o violenta, ma di un lento processo di dissoluzione, come se il soggetto stesse perdendo consistenza, sbiadendo nel tempo. Il termine suggerisce una perdita progressiva di se stesso, un’identità che si confonde con il contesto circostante senza più una forma definita. Il riferimento a un “presente fragile” rafforza questa sensazione di precarietà: il momento attuale non è solido, stabile o rassicurante, ma qualcosa di instabile, sul punto di spezzarsi o dissolversi. Il contrasto tra la dissolvenza personale e la fragilità del tempo presente crea un senso di impotenza, come se il protagonista fosse prigioniero di una realtà sfuggente che non può controllare.

Ed io, che stupido, a cercarti in tutti gli sguardi
L’uso ripetuto di “io” conferisce un tono quasi autoconfessionale al verso, come se il soggetto stesse riconoscendo, con una certa amarezza, la propria vulnerabilità. L’aggettivo “stupido” è carico di autocritica e frustrazione: non si tratta di un semplice errore, ma di una consapevolezza dolorosa della propria insistenza nel cercare qualcosa che probabilmente non c’è più. La ricerca dell’altro “in tutti gli sguardi” è una rappresentazione poetica di un vuoto incolmabile. L’assenza della persona amata non è soltanto un fatto concreto, ma si traduce in un’ossessione che porta il protagonista a proiettare la sua presenza ovunque, cercando un riflesso, un’ombra, un segno che possa colmare la mancanza. Questo comportamento è un tentativo disperato di ritrovare qualcosa che è stato perduto, ma che si rivela inevitabilmente vano. L’idea di cercare negli sguardi altrui suggerisce anche una dimensione sociale: il protagonista è circondato da persone, eppure il loro sguardo non può restituirgli ciò che ha perso, amplificando così la sua solitudine e il senso di mancanza.

E forse è inutile rincorrere i perché
Il verso introduce un senso di resa e di consapevolezza della futilità della ricerca di risposte. Il termine “forse” lascia uno spiraglio di dubbio, come se il protagonista non fosse ancora completamente certo dell’inutilità di interrogarsi, ma stesse cominciando a convincersene. Il verbo “rincorrere” suggerisce un’azione continua e affannosa, come se il soggetto avesse speso molto tempo a cercare di capire, di dare un senso a ciò che è accaduto, senza però ottenere nulla in cambio. I “perché” rappresentano le domande irrisolte, i tentativi di dare un senso alla fine di un amore, a una perdita, a una distanza che non è stata ancora del tutto accettata. Questo rincorrere richiama un moto perpetuo, una lotta interiore che si ripete senza sosta, ma la sua inutilità viene sottolineata dalla resa implicita nel verso stesso.

Se poi rispondi uguale
Questo segmento introduce una dinamica relazionale in cui l’altra persona non offre risposte nuove o chiarimenti significativi. Il “poi” temporale suggerisce un’azione ripetitiva, come se il protagonista avesse già posto le sue domande innumerevoli volte, ricevendo sempre la stessa risposta, priva di variazioni o spiegazioni che possano realmente placare il suo tormento. L’aggettivo “uguale” trasmette un senso di immobilità e chiusura: chi sta dall’altra parte non si apre, non si mette in discussione, non offre soluzioni diverse. Il verso lascia trasparire un senso di frustrazione e di inutilità nel dialogo, come se la comunicazione fosse ormai sterile, priva di possibilità di evoluzione.

E darti tutto è un male
Qui il tono cambia e introduce un giudizio più netto sulla relazione. Il verbo “darti” implica un’azione passata, un atto di totale abnegazione, un amore donato senza riserve. L’espressione “darti tutto” suggerisce una dedizione assoluta, un sacrificio che si è spinto fino ai limiti dell’annullamento di sé. Tuttavia, il protagonista arriva alla consapevolezza che questo atto non è stato benefico, ma dannoso, e lo sottolinea con la parola “male”, che ha una connotazione fortemente negativa e definitiva. L’uso di questa espressione segna un punto di svolta: l’amore non è stato fonte di arricchimento o crescita, ma di sofferenza, e il protagonista lo riconosce, seppur con amarezza.

E forse è inutile rincorrere anche te
La ripetizione della struttura precedente rafforza il senso di inutilità e di sfinimento emotivo. Se prima era inutile rincorrere i “perché”, ora lo è rincorrere direttamente la persona amata. Questo verso rappresenta una presa di coscienza dolorosa, ma necessaria: continuare a inseguire chi non vuole essere raggiunto è una perdita di tempo e di energie. Il soggetto sembra rendersi conto che la sua insistenza non porterà a un cambiamento, che l’amore non può essere imposto o forzato. Il “forse” lascia ancora spazio a un dubbio, a un’ultima esitazione, ma il tono generale suggerisce che il protagonista stia ormai convincendosi dell’ineluttabilità della separazione.

E gridarlo è inefficace:
Il verbo “gridarlo” suggerisce un’espressione estrema e disperata dei propri sentimenti. L’idea di gridare indica che il dolore è intenso, che il bisogno di essere ascoltato è viscerale. Tuttavia, l’aggettivo “inefficace” spegne immediatamente questa impetuosità, rivelando la consapevolezza che non serve a nulla. L’inefficacia sottintende che, per quanto forte possa essere l’urlo, non ci sarà alcuna reazione dall’altra parte, nessun cambiamento. Il verso trasmette quindi una sensazione di isolamento emotivo e di impotenza: il protagonista può esprimere il suo dolore con tutta la forza possibile, ma la sua voce non avrà alcun impatto sulla realtà.

Amarti mi dispiace.
Questo verso conclusivo è forse il più tagliente e definitivo dell’intero passaggio. L’espressione “amarti mi dispiace” ribalta la concezione tradizionale dell’amore come qualcosa di bello e desiderabile, trasformandolo in un peso, in una fonte di rimpianto e di sofferenza. Il verbo “dispiacere” suggerisce un senso di rammarico, quasi di pentimento per aver provato un sentimento così intenso e totalizzante. L’assenza di ulteriori spiegazioni rafforza il tono lapidario della frase, lasciando il lettore con un senso di vuoto e di amara accettazione. Non si tratta di una dichiarazione di odio, ma di una constatazione dolorosa: l’amore, anziché essere una fonte di gioia, si è trasformato in qualcosa di oppressivo, qualcosa che il protagonista ora vorrebbe non aver mai vissuto.

Sembra facile saper sorridere
Il verso si apre con una dichiarazione apparentemente semplice, ma carica di sottintesi emotivi. L’uso dell’espressione “sembra facile” introduce subito un contrasto tra apparenza e realtà, suggerendo che ciò che agli altri può sembrare naturale e spontaneo – il sorridere – in realtà per il soggetto risulta complesso, forse persino doloroso. Il verbo “saper” accentua l’idea che sorridere non sia un gesto istintivo, ma qualcosa che si deve imparare, quasi fosse una tecnica o una maschera da indossare. La costruzione del verso lascia intendere che dietro il sorriso vi sia un peso interiore, una difficoltà che impedisce al soggetto di esprimere autenticamente la propria serenità. Il sorriso, quindi, non è una manifestazione di gioia genuina, ma un atto quasi forzato, imposto dalle circostanze o dalla necessità di non mostrare agli altri la propria sofferenza.

E accantonar ricordi
Il verbo “accantonare” suggerisce un’azione che non è definitiva, ma temporanea e incompleta. Non si tratta di dimenticare o cancellare i ricordi, bensì di metterli da parte, relegarli in un angolo della mente senza però riuscire a liberarvisi del tutto. Il fatto che i ricordi debbano essere accantonati implica che essi siano ancora presenti e ingombranti, in grado di influenzare il vissuto del protagonista. Questo verso si collega direttamente al precedente: se sorridere richiede uno sforzo, è perché i ricordi non permettono di essere completamente sereni. L’uso della parola “ricordi” al plurale evidenzia che non si tratta di un solo episodio o di un singolo momento del passato, ma di un intero bagaglio di esperienze che continuano a pesare sulla psiche del soggetto.

E finger di star bene.
Il tema della maschera emotiva, già introdotto nel primo verso, viene qui ulteriormente amplificato. Il verbo “finger” evidenzia una netta discrepanza tra l’apparenza e la realtà interiore: il soggetto non sta bene, ma deve far credere agli altri – o forse persino a se stesso – di esserlo. L’uso della forma verbale all’infinito contribuisce a dare un senso di continuità e ripetizione, come se questo comportamento non fosse un episodio isolato, ma una condizione costante e abituale. “Star bene” viene presentato come qualcosa che non avviene naturalmente, ma che deve essere simulato, segno che il dolore o il malessere interiore sono ancora vivi e radicati. Questo verso, dunque, sancisce definitivamente la presenza di una sofferenza che viene nascosta dietro una facciata di apparente normalità.

Tra un altro deja-vu
L’espressione “deja-vu” rimanda alla sensazione di rivivere qualcosa già accaduto, una ripetizione di momenti del passato che si presentano con un’insistenza quasi ossessiva. L’aggettivo “altro” sottolinea come questa esperienza non sia isolata, ma parte di una serie di ripetizioni, come se il protagonista fosse intrappolato in un ciclo senza fine di emozioni e situazioni che tornano a ripetersi. Questo conferisce al verso un senso di frustrazione e impotenza, come se il soggetto fosse condannato a rivivere costantemente frammenti della sua storia, senza possibilità di avanzare veramente nel presente. Il deja-vu qui non ha un’accezione neutra o meramente cognitiva, ma è carico di significato emotivo: è il segnale di una memoria che non si spegne, che continua a riaffiorare involontariamente e a condizionare la vita del soggetto.

E le lacrime d’un blues,
L’immagine delle “lacrime” si inserisce perfettamente nella dimensione malinconica del testo, rappresentando il dolore e la tristezza che permeano il vissuto del protagonista. L’aggiunta dell’espressione “d’un blues” introduce un riferimento musicale, ma anche emotivo e stilistico. Il blues, per sua natura, è un genere carico di sofferenza, nostalgia e malinconia, spesso legato al racconto di amori finiti, solitudine e tormenti interiori. L’idea di “lacrime d’un blues” suggerisce quindi che il dolore non è solo personale, ma universale, parte di una condizione esistenziale più ampia che si esprime attraverso la musica. Questo verso trasforma la sofferenza in qualcosa di quasi artistico, in un lamento che trova risonanza nelle note del blues, come se il protagonista fosse in sintonia con quella stessa malinconia eterna che caratterizza il genere musicale.

A dirmi che ritorni e finger di volere.
L’interpretazione del soggetto che si dice da solo che l’altro ritornerà aggiunge un livello di complessità psicologica alla narrazione. Qui il protagonista non riceve una promessa esterna, ma si aggrappa a un’illusione autoindotta, un tentativo di auto-convincimento per alleviare la propria sofferenza. Il verbo “dirmi” implica un dialogo interiore, quasi una lotta tra razionalità ed emozione, tra speranza e consapevolezza. Tuttavia, questa affermazione è immediatamente seguita da “e finger di volere”, il che ribalta completamente il senso del verso. Non solo il soggetto si illude che l’altro possa tornare, ma addirittura deve fingere di desiderarlo. Ciò suggerisce un rapporto complesso con la perdita: da un lato, il desiderio di riconciliazione sembra essere presente, ma dall’altro vi è una consapevolezza sotterranea che forse, in realtà, questo ritorno non sarebbe davvero voluto o benefico. Il protagonista si aggrappa a una speranza che non è nemmeno certa di essere autentica, creando una frattura tra ciò che sente e ciò che realmente vorrebbe.

Ed io che cieco sto sprecando il mio presente senza te;
Il ritorno dell’“io” come soggetto del verso rafforza il tono introspettivo e personale del testo. L’aggettivo “cieco” riprende l’idea della mancanza di lucidità già vista in precedenza: il soggetto non riesce a vedere la realtà con chiarezza, è immerso nella propria sofferenza e nella propria illusione. Il verbo “sprecando” introduce un senso di colpa e rimpianto: il presente è qualcosa di prezioso, ma viene gettato via, consumato inutilmente a causa dell’assenza dell’altro. La parola “presente” si contrappone implicitamente al passato evocato nei versi precedenti, sottolineando come il protagonista non riesca a vivere nel qui e ora, ma rimanga ancorato ai suoi ricordi e alla sua sofferenza. L’espressione finale “senza te” chiude il verso con un forte senso di vuoto e di mancanza, come se tutta l’esistenza del soggetto fosse definita dall’assenza della persona amata. Non è solo il passato a perseguitarlo, ma anche il presente, che diventa uno spazio privo di significato e valore in sua assenza.

L’intera canzone si configura come un’intima e sofferta riflessione sulla perdita, il rimpianto e la lotta interiore tra la volontà di andare avanti e l’incapacità di lasciar andare il passato. L’io lirico si muove attraverso un percorso emotivo frastagliato, in cui ogni verso è pervaso da un senso di disillusione e resistenza al cambiamento. Il tema dominante è il contrasto tra ciò che appare e ciò che realmente si prova: il sorriso che sembra facile ma è forzato, il tentativo di accantonare ricordi che invece riaffiorano ciclicamente, la volontà di fingere benessere e desiderio quando in realtà ogni azione è un compromesso con la propria sofferenza. L’uso del deja-vu sottolinea la prigionia emotiva del protagonista, che si trova a rivivere costantemente il passato in un eterno ritorno dell’uguale, incapace di trovare una via di fuga. Il riferimento alle “lacrime d’un blues” aggiunge una dimensione musicale e quasi universale alla narrazione, inquadrando il dolore dell’io lirico in una prospettiva più ampia, come se la sua sofferenza fosse parte di una malinconia più grande, condivisa e ancestrale. La lotta tra l’illusione e la realtà si fa particolarmente intensa nel momento in cui il protagonista cerca di convincersi del ritorno dell’altro, pur sapendo nel profondo che persino il desiderarlo potrebbe essere una finzione. Questo duplice livello di inganno – l’illusione autoimposta e la consapevolezza sotterranea della sua inconsistenza – rende il testo particolarmente denso e complesso, enfatizzando il conflitto psicologico che anima l’intera canzone. Il climax emotivo si raggiunge nell’ammissione finale di uno spreco irreversibile del presente, laddove il protagonista si riconosce come cieco e incapace di riappropriarsi del proprio tempo e della propria vita senza l’altro. Il senso di vuoto diventa allora la nota conclusiva del brano, un vuoto non solo affettivo, ma anche esistenziale, in cui ogni tentativo di reagire si infrange contro la consapevolezza dell’inutilità della rincorsa e della sofferenza che ne consegue. L’intera composizione si regge su una poetica della malinconia e dell’autosabotaggio emotivo, in cui il linguaggio evocativo e le immagini ricorrenti – il blues, il deja-vu, il sorriso forzato, la cecità metaforica – si intrecciano per dare forma a un ritratto struggente di un’anima intrappolata tra il passato e un presente che non riesce a vivere davvero.


SPARTITO

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ACCORDI

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DEMO & REGISTRAZIONI DI PROVA

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CREDITI

Lyrics by Marco Delrio, Music by Walter Visca, Marco Delrio & Stefano Apicella


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disclaimer: Gli articoli presenti in questa sezione del blog includono analisi di poesie effettuate dall’intelligenza artificiale. È importante tenere presente che le interpretazioni artistiche e letterarie sono spesso soggettive e possono variare notevolmente da persona a persona. Le analisi fornite dall’intelligenza artificiale sono basate su modelli di linguaggio e dati storici, ma non riflettono necessariamente l’unico o il “vero” significato di una poesia. Le analisi dell’intelligenza artificiale possono offrire prospettive interessanti e nuove su opere letterarie, ma non dovrebbero sostituire l’approccio critico umano o l’interpretazione personale. Si consiglia agli utenti di prendere in considerazione le analisi dell’intelligenza artificiale come un punto di partenza per la riflessione e il dibattito, piuttosto che come un’opinione definitiva. Si prega di ricordare che l’arte, compresa la poesia, è aperta a molteplici interpretazioni e sfumature, e il piacere della sua scoperta deriva spesso dalla libertà di interpretazione personale. Inoltre, l’intelligenza artificiale potrebbe non essere in grado di cogliere completamente l’aspetto emotivo o contestuale di una poesia, il che rende ancora più importante considerare le analisi con una mente aperta e critica.


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