TESTO
Capita che penso “Forse sbaglio in qualche cosa
O, forse, ho solo qualche cosa che non va…”
E capita che, a stenti, scarabocchio quasi in prosa
La mia consueta ed infelice felicità
E capita che, in pratica, ‘sta tristezza diplomatica
Può sedurmi con la sua creatività
Ma naviga in un whiskey sour un pezzo di quest’anima
Trovata ai saldi giù in città.
Capita che penso d’esser solo in mezzo al resto
E che si noti pure troppo la mia fragilità
E capita anche questo, a volte, capita che penso
D’esser solo sentimento e banalità;
Capita che grandina in quartine sulla macchina,
Un perpetuo chiaroscuro di Rembrandt
E macera una Camel Light appesa ad una cantica
Su Hesse, la mia Silvia e Karl Marx
E capita che, quando il senso pare perder senso,
Perdo il senno, il sonno e, stanco,
Canto un mondo controvento
E, dentro le assonanze, invento
Il mio universo un po’ diverso
In cui, diverso, posso fingere di essere contento
Ché capita che il tempo, a volte, passa troppo lento
E sto sdraiato sul cemento,
Al freddo d’un lampione spento
E penso “Adesso mi rialzo un’altra volta, come sempre…”
E dopo cade anche dicembre
E resto a terra con le ombre e chissà perché.
E capitan momenti in cui ti senti un po’ bambino
Nei silenzi di un mattino e, a dir la verità,
Capita che pensi che, alla fine, venir grandi
Sia più incline a chi rimpianti, sotto sotto, non ne ha
E capita che, mentre ancora mento a denti stretti,
Canto per due o tre viandanti in un wine bar
Disegnandomi un sorriso col rossetto sullo specchio
E scrivo “Tutto questo schifo passerà”.
Capita che nevica, ad agosto, di domenica,
Le incertezze ballerine come dentro ad un Degas
E capita anche questo, a volte, capita che resto
Con le rime soffocate dietro un papillon a pois
E grandina in un verso e penso a quanto tempo perdo
A dondolare tra un ricordo e la sua inutilità
E claudica la mia Mont Blanc appesa ad una cantica
Su Salinger, Beatrice e anche Kant.
E capita che, quando il senso pare perder senso,
Perdo il senno, il sonno e, stanco,
Canto un mondo controvento
E, dentro le assonanze, invento
Il mio universo un po’ diverso
In cui, diverso, posso fingere di essere contento
Ché capita che il tempo, a volte, passa troppo lento
E sto sdraiato sul cemento,
Al freddo d’un lampione spento
E penso “Adesso mi rialzo un’altra volta, come sempre…”
E dopo cade anche dicembre
E resto a terra con le ombre e chissà perché
E capita che, quando il senso pare perder senso,
Perdo il senno, il sonno e, stanco,
Canto un mondo controvento
E, dentro le assonanze, invento
Il mio universo un po’ diverso
In cui, diverso, posso fingere ed essere contento.

Note dell’Autore
Ah, adoro questa canzone. Un po’ come “Ancora Amici”, tuttavia, ancora deve essere davvero messa in musica. Anzi, in vero, già si è palesata in due o tre concertini qua e là, solo con l’accompagnamento del piano e della mia stridula voce nasale ma quel tappetino di note prevedibili non rende giustizia a uno dei miei testi preferiti, forse in coda solo a “Metaplasia” e “Aglais Io“. Ma va beh, basta ché paio Narciso chinato sullo specchio d’acqua. Lascio spazio al resto dell’articolo.

TRANSLATION
Against the Wind
It happens that I think “Maybe I’m wrong about something
Or maybe there’s just something wrong with me…”
And it happens that, with difficulty, I scribble almost in prose
My usual and unhappy happiness
And it happens that, practically, this diplomatic sadness
Can seduce me with its creativity
But it swims in a whiskey sour, a piece of this soul
Found on sale down in the city.
It happens that I think I’m alone among the rest
And that my fragility is perhaps too noticeable
And this happens too, sometimes, it happens that I think
I’m only sentiment and banality;
It happens that it hails in quatrains on the car,
A perpetual chiaroscuro of Rembrandt
And a Camel Light is stewing, hanging on a canticle
About Hesse, my Silvia, and Karl Marx.
And it happens that, when meaning seems to lose meaning,
I lose my mind, my sleep, and, tired,
I sing a world against the wind
And, inside the assonances, I invent
My universe a bit different
In which, different, I can pretend to be happy
‘Cause it happens that time, sometimes, passes too slowly
And I lie on the cement,
In the cold of an extinguished streetlamp
And I think “Now I’ll get up again, like always…”
And then December falls
And I stay on the ground with the shadows, and I wonder why.
And moments happen when you feel a bit like a child
In the silences of a morning, and to tell the truth,
It happens that you think that, in the end, growing up
Is more suited to those who have no regrets, deep down
And it happens that, while still lying with clenched teeth,
I sing for two or three passersby in a wine bar
Drawing myself a smile with lipstick on the mirror
And I write “All this crap will pass.”
It happens that it snows, in August, on a Sunday,
The uncertainties dance like inside a Degas
And this happens too, sometimes, it happens that I stay
With the rhymes suffocated behind a polka-dot bowtie
And it hails in a verse and I think about how much time I waste
Swaying between a memory and its uselessness
And my Mont Blanc limps, hanging on a canticle
About Salinger, Beatrice, and Kant.
And it happens that, when meaning seems to lose meaning,
I lose my mind, my sleep, and, tired,
I sing a world against the wind
And, inside the assonances, I invent
My universe a bit different
In which, different, I can pretend to be happy
‘Cause it happens that time, sometimes, passes too slowly
And I lie on the cement,
In the cold of an extinguished streetlamp
And I think “Now I’ll get up again, like always…”
And then December falls
And I stay on the ground with the shadows, and I wonder why.
And it happens that, when meaning seems to lose meaning,
I lose my mind, my sleep, and, tired,
I sing a world against the wind
And, inside the assonances, I invent
My universe a bit different
In which, different, I can pretend to be happy.

ANALISI AI
“Controvento” è una canzone che esplora con una lirica profonda e delicata le incertezze, le riflessioni e le contraddizioni che segnano l’esperienza umana. Attraverso versi che alternano il tono di introspezione e di dissenso, il brano dipinge un mondo in cui il protagonista si trova a fare i conti con la propria fragilità emotiva, con la sensazione di smarrimento e l’inadeguatezza nei confronti di una realtà che sembra scivolare via, sfuggente e disarmante. La canzone gioca con la parola e la sua musicalità, creando un universo che si muove tra il malinconico e il riflessivo, mentre il protagonista sembra lottare contro un tempo che passa troppo lentamente e una realtà che lo schiaccia, ma che allo stesso tempo spinge verso una ricerca di evasione, forse verso un mondo immaginario in cui il dolore possa essere placato. Gli elementi letterari e filosofici, come i riferimenti a Karl Marx, Hesse, Kant e Salinger, sono intrecciati con immagini quotidiane e personalissime, come un whiskey sour, un papillon a pois, o una Camel Light. L’intero brano si sviluppa come un flusso di pensieri confusi, ma lucidi, in cui il contrasto tra il desiderio di cambiamento e l’incapacità di affrontarlo emerge in tutta la sua potenza. “Controvento” diventa così il racconto di una resistenza interiore, di un continuo cercare e rimandare, di un’alternanza tra l’incapacità di trovare una direzione e il tentativo di farsi una ragione del mondo che ci circonda. Il risultato è una riflessione profonda su cosa significa vivere, con le sue contraddizioni, le sue crisi e i suoi piccoli atti di resistenza.
Capita che penso “Forse sbaglio in qualche cosa o, forse, ho solo qualche cosa che non va…”
Questo verso apre la canzone con un’espressione di incertezza esistenziale e introspezione. Il verbo “capita” denota la casualità, come se questi pensieri e dubbi sorgessero senza un motivo preciso, come eventi accidentali e frequenti. L’interrogativo “Forse sbaglio in qualche cosa” riflette un senso di autocrítica, il protagonista si interroga su ciò che potrebbe non andare nel suo comportamento o nelle sue azioni. L’idea che “forse ho solo qualche cosa che non va” suggerisce una riflessione più profonda, un’ammissione che potrebbe esserci qualcosa di intrinseco, una sorta di disfunzione interna, che riguarda la sua stessa natura, non solo le sue scelte. La ripetizione dell’incertezza attraverso il “forse” crea un’atmosfera di indecisione, come se l’individuo fosse intrappolato in un loop di riflessioni senza una conclusione definitiva. La frase comunica, quindi, un’esperienza comune di autoanalisi confusa, che spinge il soggetto a confrontarsi con un malessere ambiguo, senza mai riuscire a identificare una causa concreta.
E capita che, a stenti, scarabocchio quasi in prosa la mia consueta ed infelice felicità
Il verso successivo suggerisce una sorta di lotta interiore per esprimere se stessi. L’uso di “a stenti” comunica fatica, difficoltà nel trovare le parole giuste, nel raccontare qualcosa che appare tanto familiare quanto insoddisfacente. Il verbo “scarabocchio” evoca un’idea di scrittura imprecisa, non raffinata, quasi infantile, che può riflettere un desiderio di comunicare il proprio stato d’animo confuso ma senza riuscirvi pienamente. Il termine “quasi in prosa” enfatizza l’assenza di una struttura poetica vera e propria, come se la ricerca di significato fosse tanto caotica da non potersi esprimere nemmeno in modo artistico. La “consueta ed infelice felicità” è una contraddizione in termini, un ossimoro che esprime il paradosso della felicità che, pur essendo un obiettivo desiderato e ricercato, è vissuta dal protagonista come qualcosa di deludente e privo di pienezza. Il termine “consueta” suggerisce che questo stato di infelicità sia una realtà ricorrente, forse una condizione esistenziale che accompagna il protagonista da tempo.
E capita che, in pratica, ‘sta tristezza diplomatica può sedurmi con la sua creatività
Nel terzo verso, la “tristezza diplomatica” è un’innovativa espressione che mescola il concetto di tristezza con una qualità di distacco, eleganza e formalità. La “diplomaticità” suggerisce che la tristezza del protagonista non è mai esplicitamente drammatica o urlata, ma piuttosto sottile, controllata, quasi elegante, come una tristezza che si adatta alle convenzioni sociali. Il fatto che questa tristezza possa “sedurmi con la sua creatività” rivela un paradosso: la tristezza non solo non è respinta, ma viene accettata e persino apprezzata per la sua capacità di stimolare la creatività. La tristezza viene personificata come una forza seduttiva che esercita un’attrazione sulla mente dell’individuo, quasi come una musa artistica che, pur provenendo da una condizione negativa, riesce a ispirare il pensiero e la riflessione. Questo suggerisce che il protagonista trovi una sorta di conforto o di bellezza anche nella sua sofferenza, una forma di accettazione che può essere vista come un’espressione di autocommiserazione.
Ma naviga in un whiskey sour un pezzo di quest’anima trovata ai saldi giù in città.
Il verso finale di questa strofa chiude con un’immagine contrastante e potente. “Naviga in un whiskey sour” porta con sé un’immagine di fuga, di evasione, come se l’anima del protagonista fosse immersa in un bicchiere, in un liquido alcolico, suggerendo una forma di oblio, una ricerca di sollievo temporaneo dalla sofferenza. Il “whiskey sour” è un cocktail che coniuga il dolce e l’amaro, proprio come la tristezza che “seduce” il protagonista con la sua “creatività”. L’anima che “naviga” in questo cocktail diventa un’immagine di un individuo che cerca di galleggiare in un mare di incertezze e malinconia, senza riuscire a trovare un punto fermo. La parte finale del verso, “un pezzo di quest’anima trovata ai saldi giù in città”, introduce un altro contrasto. La “salvezza” dell’anima è simbolicamente “a saldo”, come un prodotto in svendita, una metafora di qualcosa di sminuito, messo in vendita a un prezzo basso, forse perché il protagonista percepisce la propria anima come qualcosa di poco valore, di sminuito. “Giù in città” potrebbe riferirsi a un ambiente urbano che suggerisce alienazione, un luogo dove il protagonista si sente smarrito e privo di scopo, come se la città rappresentasse un rifugio dal vuoto interiore, ma allo stesso tempo fosse anche la causa del suo smarrimento. Il pezzo di anima “trovato ai saldi” riflette l’idea di un sé frammentato, messo in vendita e considerato inutilizzabile o abbandonato in un mondo disincantato e commerciale.
Capita che penso d’esser solo in mezzo al resto
Questo verso esprime un senso di solitudine esistenziale e un isolamento profondo. Il protagonista si percepisce come “solo in mezzo al resto”, come se fosse un’entità separata, incapace di connettersi pienamente con gli altri o con il mondo che lo circonda. L’uso del termine “resto” implica che esista una massa o una collettività, ma il soggetto si vede distaccato da essa, non riuscendo a trovare il suo posto all’interno di questo contesto. La solitudine diventa quindi non solo fisica, ma anche esistenziale, con una percezione di estraneità che si acuisce proprio nel confronto con ciò che lo circonda. Il “resto” potrebbe anche essere visto come un mondo che scorre senza considerarlo, come se il protagonista fosse invisibile o insignificante rispetto alla massa.
E che si noti pure troppo la mia fragilità
Nel secondo verso, emerge un altro aspetto fondamentale della condizione del protagonista: la sua vulnerabilità, la sua “fragilità”, che diventa evidente agli altri. Il fatto che “si noti pure troppo” suggerisce che il protagonista percepisce questa debolezza come un difetto visibile, qualcosa che non può nascondere, ma che anzi è amplificato agli occhi degli altri. La fragilità, in questo caso, non è solo una condizione interiore, ma diventa un’esperienza sociale, come se il protagonista fosse giudicato o esposto alla critica degli altri a causa della sua debolezza. Questo accentua ulteriormente la sua sensazione di isolamento e disagio, come se non riuscisse a mascherare il suo stato emotivo e fosse vulnerabile agli occhi degli altri.
E capita anche questo, a volte, capita che penso d’esser solo sentimento e banalità
Il terzo verso riflette un’altra consapevolezza dolorosa del protagonista: la sensazione di essere ridotto a una combinazione di “sentimento e banalità”. “Sentimento” in questo contesto potrebbe essere visto come una manifestazione superficiale delle emozioni, qualcosa che non trova spazio nella razionalità o nella profondità. Il protagonista si sente come se fosse solo una reazione emotiva, senza un valore o una sostanza che vada oltre il superficiale. La “banalità” amplifica questa sensazione di insignificanza, suggerendo che ciò che sente e vive non ha un valore autentico, ma si riduce a qualcosa di vuoto, privo di profondità. La ripetizione della parola “capita”, seguita da una riflessione che sembra un’ammissione di debolezza, evidenzia la consapevolezza che questi pensieri ricorrenti sono inevitabili, come un destino che il protagonista è costretto ad affrontare.
Capita che grandina in quartine sulla macchina
Il quarto verso introduce una metafora visiva e sensoriale che potrebbe rappresentare il disagio e l’inquietudine interiore del protagonista. La “grandine” che cade sulle “quartine sulla macchina” è un’immagine che evoca un contrasto tra la delicatezza e la forza distruttiva della grandine. La grandine, con il suo impatto violento, sembra simboleggiare le emozioni tumultuose che sconvolgono il protagonista, un’immagine di tormento emotivo che si abbatte su qualcosa di esterno, ma anche simbolicamente su se stesso. Le “quartine sulla macchina” potrebbero rappresentare il contesto quotidiano e pratico in cui si svolge la vita del protagonista, una routine che viene “colpita” da una realtà emotiva che non può essere ignorata. La grandine, come metafora del dolore e della sofferenza, diventa una forma di espressione di una tempesta interiore.
Un perpetuo chiaroscuro di Rembrandt
Il “chiaroscuro” è una tecnica pittorica associata alla creazione di contrasti tra luce e ombra, utilizzata in particolare dai maestri del Rinascimento, come Rembrandt. Qui il chiaroscuro diventa una metafora della condizione interiore del protagonista, un contrasto perpetuo tra la luce e l’oscurità, tra i momenti di speranza e quelli di disperazione. La citazione di Rembrandt, noto per le sue opere che esplorano la complessità dell’animo umano, suggerisce una profondità emotiva e una lotta tra la luce e l’oscurità che si riflettono nella psicologia del protagonista. Questo “perpetuo chiaroscuro” diventa un’immagine della sua condizione esistenziale, una continua alternanza tra momenti di luce, che potrebbero essere brevi istanti di consapevolezza e speranza, e momenti di oscurità, che rappresentano il dolore e la sofferenza.
E macera una Camel Light appesa ad una cantica su Hesse, la mia Silvia e Karl Marx
Il verso successivo è ricco di riferimenti culturali e filosofici. L’azione di “macera” la Camel Light, sigaretta che rappresenta una sorta di abitudine o di consolazione effimera, è simbolica di un processo di distruzione interiore. La sigaretta stessa potrebbe simboleggiare una ricerca di sollievo temporaneo, che però non risolve il dolore. L’uso di “cantica” potrebbe riferirsi alla struttura poetica della “Divina Commedia” di Dante, suggerendo che la sofferenza del protagonista non è solo personale, ma universale, in qualche modo legata alla tradizione letteraria e filosofica. Le figure di Hesse, Silvia (riconducibile a Giacomo Leopardi) e Karl Marx sono tutti riferimenti che evocano temi di introspezione, malinconia e critica sociale. Hesse, con la sua esplorazione dell’individuo e della solitudine, Silvia, con la sua figura di donna e di amore romantico che spesso si lega al tema della morte e della sofferenza in Leopardi, e Marx, che rappresenta la critica al sistema e la lotta sociale, sono tutti simboli di una riflessione che va oltre il personale, ma che cerca di confrontarsi con le contraddizioni esistenziali e sociali. L’uso di questi riferimenti implica un’intellettualizzazione del dolore, un tentativo di comprendere la propria sofferenza attraverso la cultura, la filosofia e la letteratura, ma anche una presa di distanza dalla propria realtà.
E capita che, quando il senso pare perder senso,
Questo verso apre con un’affermazione di smarrimento esistenziale. L’uso di “senso” e “perder senso” esprime un momento di confusione e disorientamento. Il soggetto si trova in una condizione in cui le sue certezze, le sue percezioni e le sue comprensioni del mondo sembrano svanire. La ripetizione della parola “senso” sottolinea l’intensità di questo stato di perdita. La confusione è percepita come un’assenza di direzione, in cui anche i significati più comuni e familiari diventano incerti e sfocati. Questo smarrimento non è solo un episodio, ma qualcosa che “capita”, con una ripetizione che suggerisce una condizione ciclica e persistente. La sua esistenza si scontra con il concetto di assenza, dove ciò che prima aveva un significato chiaro ora risulta sfuggente e privo di fondamento.
Perdo il senno, il sonno e, stanco, canto un mondo controvento
In questo verso, l’intensificazione del senso di disorientamento è rappresentata dal “perdere il senno” e “il sonno”, che simboleggiano il crollo della razionalità e della stabilità fisica. Il “senno” implica una perdita di lucidità mentale, mentre “il sonno” si riferisce alla privazione del riposo, un altro segno di squilibrio psico-fisico. Il termine “stanco” enfatizza il suo stato fisico ed emotivo, confermando che il soggetto è esausto da una lotta interiore e da un’incessante ricerca di significato. La frase “canto un mondo controvento” evoca l’immagine di un’azione controcorrente, in contrasto con ciò che lo circonda. Il “mondo” diventa, in questo caso, un atto di resistenza, una manifestazione di individualità che non si lascia trasportare dal flusso della vita, ma sceglie di opporsi alla sua corrente. Il verbo “canto” suggerisce un’espressione di sé, come se l’autore cercasse di ritrovare un senso o una forma di controllo attraverso la creazione, ma questa creazione è, appunto, “controvento”, in opposizione alla realtà che lo sovrasta.
E, dentro le assonanze, invento il mio universo un po’ diverso
Il concetto di “assonanze” si rifà alla musicalità e al gioco delle parole, ma anche al concetto di somiglianza e di ripetizione. Il protagonista, in questo caso, si rifugia nella creazione di un mondo personale, che prende vita proprio attraverso queste assonanze, cioè attraverso un accostamento di suoni e significati che lo aiutano a dare forma al suo universo. La creazione di un “universo un po’ diverso” è una manifestazione di un tentativo di costruire una realtà alternativa, che non si conforma alle regole del mondo esterno, ma si sviluppa liberamente, partendo da ciò che è già dentro di lui. Questo “universo diverso” potrebbe essere un rifugio, un’uscita dal dolore e dalla confusione, ma anche un luogo in cui egli può reinventarsi, senza le limitazioni del mondo fisico o sociale. L’uso dell’aggettivo “diverso” ci suggerisce che quest’universo non è una riproduzione del reale, ma qualcosa di peculiare, di unico, come una forma di auto-espressione.
In cui, diverso, posso fingere di essere contento
La continuazione dell’idea di un “universo diverso” introduce l’idea di una maschera che il protagonista indossa per fronteggiare il mondo esterno. Qui, “fingere” diventa un verbo fondamentale, perché sottolinea come, all’interno di questo spazio alternativo, il soggetto si sforzi di apparire felice nonostante la sua condizione interiore di sofferenza. “Diverso” non si riferisce solo al mondo creato, ma alla sua stessa esistenza, che, in questo contesto, diventa un luogo in cui è possibile sembrare felice, ma solo come una facciata. La parola “contento” sembra svuotata di significato, quasi come se fosse un obiettivo irraggiungibile o, comunque, un’emozione che non è autentica, ma solo una simulazione, un’apparenza che il protagonista si sforza di mantenere.
Ché capita che il tempo, a volte, passa troppo lento
Il tempo, un concetto che normalmente scorre in modo impercettibile o inevitabile, in questo caso appare come una condanna. Il protagonista sperimenta un “passare troppo lento”, come se il tempo stesso si dilatasse in modo insopportabile, prolungando la sua sofferenza. La lentezza del tempo può essere interpretata come il riflesso di un dolore emotivo profondo, dove ogni momento sembra un’eternità. Questo rallentamento temporale accentua la frustrazione del protagonista, che percepisce il tempo come un ostacolo da superare, come se l’attesa del cambiamento o della soluzione fosse interminabile.
E sto sdraiato sul cemento, al freddo d’un lampione spento
Il protagonista si trova fisicamente e simbolicamente “sdraiato sul cemento”, una superficie dura e fredda che non offre alcun conforto. Il cemento è simbolo di una realtà insensibile e implacabile, che non fornisce supporto o speranza. Il “freddo d’un lampione spento” aggiunge un ulteriore strato di solitudine e abbandono. Il lampione spento simboleggia l’assenza di guida, di luce, di orientamento, come se il protagonista fosse privo di una direzione o di una fonte di conforto. La scena descrive un momento di stasi, di impotenza, dove la solitudine e l’oscurità prevalgono. Il freddo e l’immobilità diventano un’espressione tangibile della sua condizione psicologica.
E penso “Adesso mi rialzo un’altra volta, come sempre…”
Nonostante la condizione di stasi e di sofferenza, il protagonista si ripromette di rialzarsi. Questo pensiero introduce un senso di resilienza, ma anche di rassegnazione. Il “come sempre” suggerisce che questo ciclo di alti e bassi, di soluzioni temporanee e di crolli, è una parte inevitabile della sua vita. La ripetizione del gesto, che sembra non portare a un vero cambiamento, riflette un movimento perpetuo e ineluttabile, che non risolve mai veramente il dolore, ma si limita a continuare, quasi per abitudine o necessità.
E dopo cade anche dicembre e resto a terra con le ombre e chissà perché.
Il mese di dicembre, che spesso è simbolo di fine e di riflessione, cade come un’altra tappa di questo ciclo di sofferenza. La fine dell’anno e la transizione verso l’ignoto sono accompagnate da una sensazione di frustrazione e incertezza. Il protagonista “resta a terra con le ombre”, un’immagine che accentua la sua condizione di impotenza e oscurità. Le “ombre” possono essere viste come simboli del passato, dei ricordi dolorosi o dei timori che lo seguono. L’interrogativo finale “chissà perché” sottolinea l’incapacità di trovare una risposta o una ragione per il suo stato d’animo, come se il protagonista fosse costretto a vivere con una domanda senza risposta, con una causa sconosciuta del suo dolore.
E capitan momenti in cui ti senti un po’ bambino nei silenzi di un mattino
Questo verso apre con una riflessione sulla vulnerabilità e sulla nostalgia. Il termine “capitan” evoca una sensazione di casualità, come se tali momenti fossero eventi rari, che si presentano inaspettatamente. La condizione di “sentirsi un po’ bambino” rimanda a un ritorno a una fase della vita in cui il soggetto si sentiva più puro, meno compromesso dalle complessità della vita adulta. Il bambino è un simbolo di innocenza, di autenticità e di una fragilità che contrasta con la durezza dell’età adulta. I “silenzio di un mattino” suggeriscono una quiete, una sospensione del tempo, che amplifica questa riflessione introspettiva. Il mattino, solitamente simbolo di un nuovo inizio, qui assume un tono più riflessivo e solitario, quasi malinconico, in cui l’individuo è costretto ad affrontare le proprie emozioni più profonde, senza distrazioni, immerso in una tranquillità che non fa che accentuare il contrasto con le sue inquietudini interiori.
E, a dir la verità, capita che pensi che, alla fine, venir grandi sia più incline a chi rimpianti, sotto sotto, non ne ha
Il verso inizia con un’affermazione importante: “a dir la verità”. Questo suggerisce una sorta di confessione, un momento di sincerità, come se il soggetto stesse mettendo a nudo i suoi pensieri più intimi. Il “venire grandi” viene qui messo in discussione, non più visto come un naturale processo di crescita, ma come una condizione che porta con sé una serie di perdite e rimpianti. La riflessione sul crescere si sposta dal concetto ideale di maturità verso una visione più cinica, dove chi non ha rimpianti, chi non si porta dietro il peso delle esperienze passate, risulta essere più “incline” a diventare veramente adulto. Il rimpianto, in questo caso, diventa un ostacolo al progresso, una cicatrice emotiva che impedisce di vivere pienamente la propria vita. “Sotto sotto” implica che questa riflessione è nascosta, quasi inconfessabile, perché il rimpianto è un sentimento che non viene mostrato apertamente, ma che vive sottotraccia, influenzando silenziosamente la visione del mondo del protagonista.
E capita che, mentre ancora mento a denti stretti, canto per due o tre viandanti in un wine bar
Questo verso esplora la dualità tra l’essere e l’apparire. Il soggetto “mentisce a denti stretti”, un’immagine che evoca uno sforzo cosciente per mascherare la verità. La menzogna non è qualcosa che si manifesta liberamente, ma è piuttosto una difesa tesa e dolorosa, come se l’individuo stesse lottando per mantenere una facciata che non corrisponde alla sua realtà interiore. Questo comportamento si scontra con la frase “canto per due o tre viandanti in un wine bar”, dove il soggetto si trova a recitare un ruolo di intrattenitore o di persona felice, pur non essendo realmente così. Il “wine bar” suggerisce un contesto sociale, forse una riflessione sulla superficialità delle interazioni umane, dove si finge di essere ciò che non si è. Il fatto che siano solo “due o tre viandanti” aggiunge un’ulteriore dimensione alla solitudine del protagonista, che, pur in mezzo alla gente, resta isolato, un estraneo in un ambiente che non gli appartiene davvero.
Disegnandomi un sorriso col rossetto sullo specchio
Qui la riflessione sulla menzogna e sull’apparenza prende una forma ancora più esplicita. Il “sorriso” non è qualcosa di autentico, ma viene creato artificialmente, con il “rossetto” come simbolo di una maschera che viene indossata per ingannare gli altri e, forse, anche se stessi. Il fatto che questo sorriso venga disegnato “sullo specchio” sottolinea che l’atto è un riflesso, una proiezione esteriore che non corrisponde a un reale stato d’animo. Lo specchio è, infatti, spesso un simbolo di introspezione e verità, ma qui diventa un mezzo per nascondere la verità, per creare una realtà alternativa che non ha nulla a che fare con l’autenticità. Questo gesto di disegnare un sorriso può essere visto come un atto di sopravvivenza emotiva, un tentativo di adattarsi a un mondo che richiede apparenze, a costo di rinunciare alla propria verità interiore.
E scrivo “Tutto questo schifo passerà”.
L’atto finale di scrivere “Tutto questo schifo passerà” esprime un tentativo di speranza, ma anche di rassegnazione. Il termine “schifo” è fortemente negativo e carico di disprezzo, suggerendo una percezione di disgusto e frustrazione verso la propria situazione. Non si tratta di una parola che rappresenta un momento di difficoltà, ma qualcosa di molto più profondo, un’impressione di ribrezzo verso la realtà. Il fatto che venga scritto, però, implica anche un desiderio di liberazione, di superamento del dolore. La frase, sebbene possa essere vista come una forma di auto-convincimento, rivela anche la lotta interiore del protagonista, che cerca di rassicurarsi, di dare una parvenza di controllo su ciò che lo sovrasta. L’uso del termine “passerà” suggerisce che questo schifo non è eterno, ma che ci si trova in una fase transitoria, forse una fase di cambiamento, anche se il futuro non è rappresentato da una luce chiara e positiva, ma da una condizione di sopportazione, quasi di resistenza passiva.
Capita che nevica, ad agosto, di domenica
Questo verso si apre con un’immagine che immediatamente crea un contrasto innaturale: la neve, un elemento tipico dell’inverno, che appare in un mese estivo, precisamente ad agosto. Questo paradosso temporale suggerisce un’imprevedibilità della vita, qualcosa che non segue le regole della logica e della realtà, ma che avviene comunque, come una frustrazione esistenziale. La neve, simbolo di purezza e di un mondo silenzioso e intransigente, che si inserisce nel contesto caldo e vivace di agosto, rappresenta una rottura di equilibri, una perturbazione che interrompe la normalità, mettendo in discussione la realtà percepita. L’ambientazione di “domenica” evoca anche un momento di pausa, di riflessione, che amplifica la sensazione di stranezza e di dissonanza, come se la domenica, solitamente associata alla tranquillità, fosse distorta dal freddo inaspettato della neve. In questo senso, il verso introduce un tema di disorientamento temporale e ambientale.
Le incertezze ballerine come dentro ad un Degas
Questo verso sfrutta l’immagine di “incertezze ballerine” per rappresentare l’instabilità e la confusione emotiva. Il movimento delle ballerine, che evocano il mondo dell’arte di Edgar Degas, è qui metafora di emozioni e pensieri che si muovono senza una direzione chiara, come danzatrici che si esibiscono in un quadro senza stabilire un finale definito. Le ballerine di Degas sono spesso viste in momenti di passaggio, di movimento fluido e mai fermi, proprio come le “incertezze” qui descritte, che non hanno una forma fissa, ma sono in continuo mutamento. L’immagine suggerisce una tensione tra la bellezza estetica dell’arte e la sensazione di smarrimento, come se, in mezzo a una danza elegante, l’individuo non riuscisse a trovare il proprio posto, inciampando nelle proprie riflessioni e dubbi. Degas, noto per la sua rappresentazione della figura umana in movimento, diventa così simbolo di un processo interiore in continuo divenire.
E capita anche questo, a volte, capita che resto con le rime soffocate dietro un papillon a pois
Questo verso porta con sé una riflessione sulla difficoltà espressiva. “Le rime soffocate” suggeriscono che l’individuo ha delle idee o emozioni che vorrebbe esprimere, ma che vengono in qualche modo represse o soffocate, incapaci di emergere in modo chiaro e definito. La scelta del “papillon a pois” come elemento simbolico inserisce un ulteriore strato di significato. Il papillon, tradizionalmente associato a formalità, eleganza e socialità, è qui in contrasto con l’idea di soffocamento. Il fatto che sia “a pois” aggiunge un tocco di giocoso ma al contempo di piccole imperfezioni, che possono rimandare a una sorta di malessere nell’adattarsi a un ruolo imposto dalla società o a una forma di espressione che non sembra veramente appartenere al soggetto. Il papillon diventa una sorta di “maschera” che copre, anzi soffoca, l’autenticità del pensiero e della creatività, limitando l’espressione di sé.
E grandina in un verso e penso a quanto tempo perdo a dondolare tra un ricordo e la sua inutilità
Il verso prosegue con un’immagine meteorologica, “grandina in un verso”, che mescola un’altra manifestazione naturale con l’atto della scrittura. La grandine, che è improvvisa e violenta, potrebbe simboleggiare un’emozione intensa e distruttiva che entra in un momento di riflessione, segnando la difficoltà di concentrarsi o di sviluppare il pensiero in maniera fluida. Il dondolare “tra un ricordo e la sua inutilità” evidenzia un conflitto interno riguardo al valore dei ricordi. I ricordi appaiono qui come qualcosa che, seppur presente e forte, si rivelano inutili, in quanto non forniscono alcuna soluzione o senso al momento presente. C’è una riflessione sul tempo perduto, su quanto ci si possa lasciare catturare dal passato senza riuscire a viverlo in modo produttivo o trasformativo. Il pensiero diventa ripetitivo e sterile, come un pendolo che oscilla senza mai arrivare a una conclusione.
E claudica la mia Mont Blanc appesa ad una cantica su Salinger, Beatrice e anche Kant.
L’immagine della “Mont Blanc” è emblematica: la penna, simbolo della scrittura e della riflessione, qui viene personificata come una “claudicante”. La “Mont Blanc” è un marchio di qualità e prestigio, associato a un certo tipo di scrittura raffinata, ma qui viene rappresentata come imperfetta e indebolita, come se non riuscisse più a produrre o a esprimere pensieri con la stessa forza di prima. Il fatto che sia “appesa” a una “cantica” suggerisce che la scrittura e la riflessione siano sospese, intrappolate in un processo mentale che si aggrappa a delle influenze culturali e filosofiche (Salinger, Beatrice e Kant). Questi riferimenti, simboli di mondi letterari, filosofici e spirituali, sembrano pesare sull’individuo, inibendo la sua capacità di esprimersi liberamente. Beatrice, figura simbolica di ispirazione nella “Divina Commedia” di Dante, rappresenta qui una musa che però sembra più distante, quasi irraggiungibile. Salinger, con la sua profondità psicologica, e Kant, con la sua filosofia rigorosa, aggiungono una dimensione di conflitto intellettuale, come se la ricerca di un senso nella vita fosse condizionata e ostacolata da troppi riferimenti e modelli esterni. La scrittura, invece di fluire liberamente, è bloccata da un affollamento di pensieri, citazioni e influenze che sembrano intralciare il processo creativo.
L’intera canzone si presenta come un viaggio profondo e complesso attraverso le emozioni, la disillusione e le contraddizioni dell’esperienza umana. Ogni verso si intreccia con immagini e metafore che riflettono un senso di smarrimento esistenziale, un costante oscillare tra la bellezza e l’inutilità della vita. Il testo affronta la frustrazione e l’insoddisfazione di chi vive in un mondo in cui le risposte sembrano elusive, e la ricerca di un senso appare un processo lungo e difficile. Il tema del tempo che passa inesorabilmente, insieme alla percezione di una realtà che sfugge, viene esplorato con immagini evocative come la neve a agosto, la grandine, le ballerine incerte e la scrittura soffocata. Queste immagini sono segnali di un’anima che lotta per trovare una via di uscita dal labirinto interiore, ma che rimane intrappolata in un circolo vizioso di riflessioni senza fine e sensazioni di inadeguatezza. I riferimenti letterari e filosofici che punteggiano il testo (Beatrice, Kant, Salinger, Leopardi) non solo arricchiscono la narrazione, ma suggeriscono una tensione tra l’individuo e la tradizione culturale che tenta di dare forma e significato alla propria esistenza. Il linguaggio stesso, ricco di simbolismo, di contraddizioni e di amaro realismo, diventa uno strumento per esprimere un malessere intellettuale ed emotivo che non trova soluzione, ma che si esprime attraverso la musica, il canto e la riflessione. La canzone, dunque, non si limita a raccontare una storia di disagio, ma invita l’ascoltatore a una riflessione più ampia sul senso della vita, sulle sue difficoltà intrinseche e sulle tensioni interne che accompagnano il cammino verso la consapevolezza e l’autocomprensione.

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Lyrics & Music by Marco Delrio
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