17/06/1924 – Ore 17:18 – #354
Il primo dì della settimana porta seco carriole di ottime intenzioni, spesso a prezzi ridicoli, e son solito farmene tascate per poi perderne qualcuna lungo i tragitti de’ giorni a seguire. Oi la mane non ha incipito nel miglior modo auspicabile poiché le sveglie poste a lato del mio giaciglio han deciso di restare zitte. Ho aperto l’occhi verso la sesta ora del dì, ben prima di molti altri, me ne rendo conto ma ormai ben si sa quanto io adori destarmi prima delle pennellate dell’alba. Poscia un caffè mediocre e qualche mezzora dedita al ricalibramento dell’impegni giornalieri, ho lassato April Street prima dell’ottava ora e mi son diretto verso ‘l centro di Bolinthos. Oi aveo di che visitare molti stabilimenti della Vendrot Factory di modo da compilare un rapporto più che dettagliato per il signor McManner il quale, ultimamente, pare ser divenuto molto più esigente sulle informazioni reperibili nelle fabbriche riguardo ai carburanti Kryomont. D’ogni modo, nulla di complicato, escluse l’attività inventariali operative cui mi son dedicato ne’ mesi precedenti, l’impiego colla Kryomont è più tedioso per li spostamenti d’uno stabilimento all’altro che pe’ l’effettivo agire sul luogo. Ho completato tutte le attività previste ben prima dell’ora del desino e ho raggiunto il signor Tinsteel presso Goodborn, alla taverna che sorge di fianco all’Activa Corp. del luogo. Quivi, elli m’ha consegnato un nuovo plico di tabulati aggiornati, da compilare secondo una nuova ma di poco dissimile metodologia. Al momento, tale esperimento burocratico verrà effettuato da me e da Andrew Godin, io per la Kryomont e lui per la Milkalis. Col signor Tinsteel ci siamo dilungati in qualche pianificazione pe’ i mesi successivi nei quali mi sono proposto di completare alcune urgenze alle quali alcuni de’ mie’ colleghi non riescono a ottemperare, vuolsi pe’ una mala organizzazione, vuolsi pe’ l’avvento de’ periodi di riposo concordato. Ì, dal canto mio, non ho programmato alcuna sosta dall’impiego, salvo qualche dì ne’ pressi dell’inizio del prossimo mese, e son ben lieto di completare i tabulati che, nel caso, rimarrebbero etichettati come invalidi o scaduti. Son giunto novamente ‘n April Street per il desino, coll’intenzione di destinare l’ore del meriggio a un qualché di produttivo e lungimirante. Tuttavia, mi continua a sovvenire un’estremo senso di fatica fisica e mentale che, sovente, mi costringe a settarmi o financo sdraiarmi pe’ serrare l’occhi qualche decina di minuti. Ho raggiunto ‘l medico verso la quarta ora del meriggio per chiedere delucidazioni riguardo e son sortito del suo locale con una busta di tonico in polvere. Mi par fin paradossale che coll’attenuarsi de’ mie’ comportamenti viziosi e nocivi, la mia prestanza psicofisica paia affievolirsi; d’ogni modo, l’instabili temperature del periodo parrebbero ser la cagione più probabile di tale fiaccaggine. Come ben noto, non sopporto le costrizioni della fatica e dell’insanità fisica datesi le mie mire cotidiane, le solitanze e i propositi costanti che tendo a rincorrere famelico. S’avrà di che valutare s’il tonico fornitomi possa fungere da carburante sufficiente pe’ rimettermi in sesto in tutto e per tutto. Oi mi son giunte missive da Juliet, da William e da Stewart; la prima si dilungava su alcuni aggiornamenti introspettivi molto interessanti che m’accentuano la nostalgia per ella e le condivise conversazioni assennate con cui soliamo giocolare le rare volte ch’abbiamo l’occasione d’un viso a viso. Mi son prodigato a rispondere nella maniera più esuastiva possibile correndando l’epistola coi mie’ personali aggiornamenti, per quanto, per come reputo, molto meno interessanti sebbene, ben so, ella non si frena dal contraddirmi, elogiando cada fatica che fronto o che decido d’avvicinare. Quissà il talento dell’autocongratularmi è un qualché su cui debbo per vero travagliare ancor parecchio. Digresso un attimo: nel libello di psicologia ch’ho deciso d’iniziare a leggere stamane v’è stata una frase tra la moltitudine di frasi ben più che belle che m’ha dato di che ragionare. Creare è una consolazione. Non sto a dilungarmi nel contesto poiché vi sarebbe di che riscrivere l’intero paragrafo, se non capitolo. Tuttavia, quest’iniezione cotidiana di artefatti ch’ormai m’ha assuefatto, vuolsi nella letteratura, nella lirica, nell’imprenditorialità, ebbene per vero, coll’animo sincero di chi par ser stato colto sul fatto, tura qualche – o forse parecchi – voragine che mi trascino sotto lo strato di pelle pallida. Mi dimando s’ì fossi ‘sì scagliato diritto verso tutti i mie’ obiettivi s’avessi anche solo un poco di quello che scarabocchio nelle prose de’ circoli letterari o s’il mio proiettare le brame fra un foglietto ell’altro sia oramai una seconda esistenza nella quale m’adagio con più deseo poiché meglio riflette lo ch’in fondo inseguo perennemente. D’un lato, tuttavia, mi vedo perfino contraddire lo ch’appena ho sciorinato datasi la mia lena propositiva verso ‘l progetto teatrale che coinvolge anche William e Stewart B. con i quali avevo interrotto ogni forma di corrispondenza da più d’un anno. Eppure, se tutte l’avventure e l’impieghi dei quali a malapena mi vanto, per quanto a volte eccellenti, fossero solo una grossa busta di palliativo e distrazione da lo che didentro, di contro, mi preme davvero di turare? Ebbene, quissà tale quesito già si palesa come risposta, nevvero? Aimé, percepire ch’il bordo di tale voragine purpurea paia largarsi e non stringersi, per quanto ‘sì fruttuoso pe’l mio divenire un miglior poeta di giorno ‘n giorno, non l’etichetto come buon auspicio. D’alcune implicazioni sottintese dai ragionamenti della missiva di Juliet, tuttavia, mi son visto questionare anche codesto punto: s’in fondo, nel momento ‘n cui ì sottoscritto mi vedo consigliare un approccio caritatevole verso le misfortune e le agonie, al ritorno nel mio fugiglio personale mi vedo inniorare e scioare ogni anticipo di riflessione riguardo, allora ch’ho di che biasimare pe’l mio costante foro ‘n espansione se non ì medesimo? Eppure, che fare, dannazione, quando ‘l fascino per tale gorgoglìo pietroso d’una slavina di nostalgia, rimorso e speranza vien a soffocare ogni altro suono di torno? Viver altre vite, pare ser la mia risposta istintiva, oramai, ‘sì che diventa per vero una consolazione questo creare e fuggire dentro l’obbligazioni e le solitanze. Non m’espongo se tale è bene o male poiché chi sa s’in fine sul lungo termine vi siano risultati sublimi che mai avrei raggiunto con una deviazione da tale modo d’opera. Per chiaro, non che mi precluda opportunità, divagazioni e vagheggiamenti esenti dalla bisogna di tappare codesto buco interiore, ben lo so, anzi, vo’ apprendendo come migliorare tale intraprendenza dì per dì; eppure mi pare d’aver sempre una caviglia impigliata al cespuglio d’onde ne vengo, quissà con un lungo filo che, sì, per vero mi permette d’andar pe’ campi, case, ville e monti ma, mio malgrado, mai con tutto ‘l corpo: v’è sempre un brandello medi che tentenna scorbutico ‘n una fanghiglia piccicosa colorata di lo che fu e di lo che ‘n cangerà mai. Per giunta, di lo ch’in fondo, solo didentro il mio star ancorato allo ieri vive. Lassare andare il dì che colla mane d’oi è per vero ito? Pare la cosa più semplice del mondo. Semplice. Non facile. E ben saprà ‘l lettore eventuale quant’in fondo v’è differenza semantica ‘n codesti termini. Ho divagato. Proprio come fo’ cotidianamente pe’ togliere ‘l mondo sano sano dalle tempie almeno qualche minuto. Mi par di non aver risolto nulla e, quissà, domani mi parrà lo medesimo. Eppure mai diedi ‘sì tanto spazio e voce a lo che di dentro tenea i fili de’ mie’ arti e cogiti, a modo di marionetta, e s’ì solo ripenso alla pletora di istanze epifaniche ch’ho sputacchiato su quest’ormai titanico libello, ebbene, quissà non serro la voragine dimani ma v’è un principio d’impalcatura tutto d’intorno che par reggere ‘l mio peso sin fatica per quando mi sporgerò a gittare milioni di galloni di Portland che tapperanno anche l’ultimo barlume di assenza.

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