TESTO
Un torrido tramonto di instabile coscienza
Sorride al mio riflesso increspato dalla sponda;
Si spegne un altro giorno di perfida violenza,
Mi confondo nel contorno della mia stessa ombra
E il buio tengo attorno, da sempre mi conforta
E da sempre gli rispondo con la stessa forza.
Io, tiranno senza trono, monarca di parvenza
A ruggire contro un muro di indifferenza
E di odio mi coloro!
Ma quanto costa ammettere di
Non essere come loro
E vivere restando solo!
Un debole lamento pervade la mia testa
E denigro il mio riflesso scomposto dalla pioggia.
Muore un altro mondo di muta ineguaglianza,
Di tacito assenso, paura e riluttanza.
Di nero, io dipinto, dal fato e dalla rabbia
E nero come il cielo che accorcia la distanza.
Frana anche l’orgoglio del re della foresta
Impiccato da un cordiglio, in una tempesta.
E d’odio mi coloro!
Ma quanto è bello ammettere di
Non essere come loro
E vivere e morire solo.


TRANSLATION
Black Lion’s Club
A scorching sunset of unstable consciousness
Smiles at my reflection, rippling from the shore;
Another day of wicked violence fades away,
I blend into the outline of my own shadow.
And I keep the darkness around me, it has always comforted me,
And I have always answered it with the same strength.
I, a tyrant without a throne, a monarch of appearance,
Roaring against a wall of indifference.
And I paint myself with hatred!
But how much does it cost to admit
That I am not like them
And to live while staying alone!
A faint lament pervades my head,
And I denigrate my reflection, distorted by the rain.
Another world of silent inequality dies,
Of tacit consent, fear, and reluctance.
Blackened, painted by fate and rage,
And black like the sky that shortens the distance.
Even the pride of the king of the forest crumbles,
Hanged by a noose, in the midst of a storm.
And I paint myself with hatred!
But how beautiful it is to admit
That I am not like them
And to live and die alone.

ANALISI AI
“Black Lion’s Club” è un viaggio oscuro e tormentato nelle profondità della coscienza, un manifesto di solitudine e ribellione che si snoda tra immagini cupe e metafore potenti. La canzone dipinge un paesaggio interiore fatto di violenza, emarginazione e lotta contro l’indifferenza, in cui il protagonista si riconosce come un tiranno senza trono, un re decaduto che ruggisce contro un mondo insensibile. Il contrasto tra luce e ombra è il filo conduttore della narrazione: il tramonto segna il declino della stabilità, mentre il buio diventa rifugio e condanna, simbolo di un’esistenza segnata dalla rabbia e dall’isolamento. Il “Black Lion” incarna una figura orgogliosa e combattuta, un sovrano senza regno che si tinge d’odio per distinguersi da chi lo circonda, accettando il peso della diversità e dell’emarginazione. Attraverso una lirica intensa e suggestiva, il brano esplora il prezzo dell’individualità e la bellezza tragica di chi sceglie di vivere e morire solo, lontano da compromessi e conformismi.
Un torrido tramonto di instabile coscienza
L’immagine iniziale introduce un tramonto descritto come “torrido”, una scelta lessicale che evoca non solo il calore fisico, ma anche un senso di oppressione e disagio interiore. L’aggettivo “instabile” riferito alla coscienza suggerisce una condizione di squilibrio mentale o emotivo, una fragilità psicologica che caratterizza il soggetto lirico. Il tramonto diventa così il simbolo di una fine, ma anche di un’alterazione dello stato di consapevolezza, quasi un dissolversi dell’identità sotto il peso di pensieri e turbamenti.
Sorride al mio riflesso increspato dalla sponda;
Il tramonto, personificato, assume un atteggiamento beffardo nei confronti del protagonista, come se la natura stessa si prendesse gioco di lui. Il verbo “sorride” potrebbe suggerire un’ironia crudele, un’indifferenza cosmica alle sofferenze individuali. Il riflesso, increspato dall’acqua, rappresenta la percezione deformata di sé: l’io lirico si vede in modo distorto, instabile, quasi dissolto nelle onde della realtà. La “sponda” rafforza l’immagine di un confine tra due mondi, il solido e il liquido, la certezza e l’illusione.
Si spegne un altro giorno di perfida violenza,
Il ciclo quotidiano si conclude, ma non con una semplice fine: il giorno è impregnato di “perfida violenza”, un’espressione che sottolinea la malvagità insita nella sofferenza vissuta. Il verbo “si spegne” richiama un’estinzione graduale, forse un lento logoramento dovuto a un’esistenza tormentata. La violenza, descritta come “perfida”, non è solo fisica o manifesta, ma subdola, insinuante, una presenza costante che consuma il soggetto senza bisogno di atti espliciti.
Mi confondo nel contorno della mia stessa ombra
Qui il protagonista perde ulteriormente la propria identità, dissolvendosi nella sua ombra, un elemento che per definizione è privo di consistenza e di luce propria. L’uso del verbo “confondersi” può suggerire sia una fusione con il proprio lato oscuro, sia una perdita di definizione, come se il soggetto non riuscisse più a distinguere i propri contorni. L’ombra, spesso associata all’inconscio e alla parte più nascosta dell’essere umano, diventa qui un rifugio ma anche un segno di alienazione.
E il buio tengo attorno, da sempre mi conforta
Il buio non è visto come una minaccia, bensì come una presenza rassicurante. Il verbo “tengo” indica una scelta attiva: il protagonista non subisce l’oscurità, ma la accoglie consapevolmente, riconoscendola come parte della propria esistenza. Il fatto che il buio “da sempre” lo conforti suggerisce un’abitudine alla solitudine, forse una tendenza autodistruttiva o una sorta di assuefazione al dolore. Il conforto, paradossalmente, non deriva dalla luce o dal calore umano, ma dall’isolamento e dall’oscurità.
E da sempre gli rispondo con la stessa forza.
Il protagonista non è completamente passivo di fronte al buio: vi risponde con forza, il che lascia intendere una sorta di resistenza o di dialogo interiore con l’oscurità. La ripetizione di “da sempre” rafforza l’idea che questa dinamica sia radicata nella sua esistenza, quasi un destino inevitabile. La “forza” con cui reagisce potrebbe indicare una lotta interiore costante, un tentativo di non farsi sopraffare dalla propria stessa natura malinconica o tormentata.
Io, tiranno senza trono, monarca di parvenza
L’io lirico si attribuisce titoli altisonanti, ma immediatamente li svuota di significato. Essere un “tiranno senza trono” implica un potere illusorio, un’autorità che non si traduce in dominio effettivo. L’ossimoro suggerisce un senso di impotenza dietro una maschera di forza. “Monarca di parvenza” rafforza questa idea: il protagonista si percepisce come un sovrano solo nell’apparenza, forse un leader solo di sé stesso, ma senza alcun reale controllo sul proprio destino o sull’ambiente circostante.
A ruggire contro un muro di indifferenza
L’immagine del “ruggire” richiama la figura del leone, simbolo di forza e fierezza, ma il suo grido di ribellione è destinato a scontrarsi contro un ostacolo invalicabile: il “muro di indifferenza”. Questa espressione evidenzia il conflitto tra il desiderio di affermarsi e l’incapacità di farsi ascoltare o riconoscere. Il muro diventa metafora della società, degli altri, o forse della propria stessa incapacità di comunicare in modo autentico. Il ruggito, che dovrebbe essere un segno di potenza, si rivela inutile di fronte a un mondo insensibile.
E di odio mi coloro!
Il verso si apre con un’immagine intensa e viscerale, dove l’odio viene assimilato a un pigmento che tinge l’identità del protagonista. Il verbo “colorarsi” suggerisce un’azione attiva, una scelta consapevole di farsi permeare da un sentimento oscuro e corrosivo. Il soggetto non è un semplice ricettore passivo dell’odio, ma se ne impregna fino a farlo diventare una componente essenziale del proprio essere. L’uso del verbo riflessivo enfatizza il carattere autodistruttivo e volontario di questa trasformazione: il protagonista non subisce l’odio altrui, ma lo fa suo, lo accoglie e se ne nutre. Il colore, tradizionalmente associato a un’idea di vita e di espressione, viene qui sovvertito: non si tratta di un colore gioioso o creativo, ma di un’ombra che avvolge e definisce la sua esistenza. La scelta di un’esclamazione amplifica l’intensità emotiva, rendendo il verso un grido quasi catartico, un’affermazione dolorosa ma irrevocabile della propria condizione.
Ma quanto costa ammettere di non essere come loro
Il tono cambia improvvisamente, spostandosi da un’affermazione decisa a un interrogativo che esprime dubbio e sofferenza. Il verbo “costare” introduce la nozione di sacrificio, lasciando intendere che il riconoscimento della propria diversità implichi un prezzo alto da pagare. L’uso dell’infinito “ammettere” sottolinea la difficoltà del gesto: non è un semplice atto di consapevolezza, ma una confessione che implica dolore e conseguenze. L’identità del “loro” non è esplicitata, lasciando spazio a diverse interpretazioni. Potrebbe riferirsi alla società nel suo complesso, a un gruppo specifico, o a un’umanità percepita come omologata e incapace di comprendere chi si discosta dalla norma. Il verso mette in luce la tensione tra il bisogno di autenticità e il peso del giudizio altrui, tra il desiderio di essere sé stessi e la sofferenza legata all’emarginazione. Il fatto che il verso sia formulato come domanda lascia aperta la questione: il protagonista non offre una risposta, ma si interroga sul valore e sul costo della propria diversità.
E vivere restando solo!
La conclusione del verso rafforza il concetto di isolamento, presentato come una conseguenza inevitabile della scelta di non conformarsi. Il verbo “vivere” è contrapposto all’idea di solitudine, suggerendo che l’esistenza, in questa condizione, sia qualcosa di paradossale e forse insostenibile. La costruzione sintattica crea un contrasto potente: la vita, che di per sé dovrebbe essere un’esperienza condivisa, viene legata alla solitudine, come se l’unico modo per rimanere fedeli a sé stessi fosse l’isolamento. Il punto esclamativo finale conferisce al verso un senso di drammaticità e di accettazione forzata, come se il protagonista fosse arrivato a una conclusione definitiva, seppur dolorosa. L’assenza di alternative suggerisce un destino già segnato, una condizione in cui la scelta di restare autentici porta necessariamente all’allontanamento dagli altri. L’uso di un registro semplice e diretto, senza costruzioni metaforiche complesse, amplifica la crudezza del messaggio, rendendolo ancora più incisivo.
Un debole lamento pervade la mia testa
L’incipit del verso introduce immediatamente un’atmosfera di sofferenza interiore, evocando un lamento che, pur essendo definito “debole”, riesce comunque a pervadere la mente del protagonista. L’aggettivo “debole” suggerisce qualcosa di persistente ma sfiancato, un dolore che non esplode con violenza ma si insinua silenziosamente nella coscienza. Il verbo “pervadere” accentua la totalità di questa esperienza: il lamento non è un pensiero occasionale, ma qualcosa che si diffonde, avvolgendo e condizionando ogni altra percezione. Il suo essere situato nella testa sottolinea il carattere intimo e psicologico della sofferenza, lontana da manifestazioni esteriori ma radicata profondamente nell’individuo.
E denigro il mio riflesso scomposto dalla pioggia.
L’azione di “denigrare” il proprio riflesso esprime un forte senso di disprezzo verso sé stessi, un rifiuto della propria immagine che si traduce in una vera e propria autodistruzione emotiva. La scelta del verbo suggerisce un attacco deliberato alla propria identità, un disprezzo che non è solo passivo ma attivo e consapevole. Il riflesso viene descritto come “scomposto dalla pioggia”, un dettaglio che aggiunge un elemento visivo particolarmente potente: l’acqua distorce i contorni, rendendo l’immagine frantumata e sfuggente, simbolo di un’identità che si disgrega sotto il peso delle emozioni. La pioggia, elemento spesso associato alla malinconia e alla purificazione, qui assume una valenza quasi opposta, contribuendo alla perdita di definizione del sé piuttosto che alla sua rinascita.
Muore un altro mondo di muta ineguaglianza, di tacito assenso, paura e riluttanza.
Il verbo “muore” introduce un senso di fine e di disfatta, ma non si riferisce a un individuo, bensì a un intero “mondo”, suggerendo un crollo totale di un sistema o di un’illusione. La specificazione “un altro mondo” lascia intendere che questo processo sia ciclico, che non si tratti della prima volta che qualcosa di simile accade. L’ossimoro “muta ineguaglianza” è particolarmente significativo: l’ineguaglianza, per definizione, dovrebbe essere evidente e gridata, ma qui viene descritta come silenziosa, come se fosse accettata e interiorizzata, senza ribellione. Il successivo elenco di “tacito assenso, paura e riluttanza” rafforza questa idea, dipingendo un quadro di sottomissione in cui il dominio dell’ingiustizia è possibile proprio grazie alla mancanza di opposizione. La paura e la riluttanza impediscono qualsiasi azione, mentre il tacito assenso rappresenta la complicità involontaria di chi, pur sapendo, sceglie di non opporsi.
Di nero, io dipinto, dal fato e dalla rabbia
L’immagine del protagonista “dipinto di nero” ha una duplice valenza simbolica: da un lato, il nero può rappresentare l’oscurità interiore, il dolore, la perdita di speranza; dall’altro, può richiamare un senso di marcatura, come se il fato e la rabbia avessero impresso su di lui il loro segno indelebile. Il fatto che il soggetto sia “dipinto” e non semplicemente “nero” suggerisce un’azione esterna, un cambiamento subito e non scelto. Il fato, entità impersonale e ineluttabile, e la rabbia, emozione intensa e distruttiva, si uniscono in questa trasformazione, quasi come se il destino stesso fosse stato modellato da un’ira cieca e implacabile.
E nero come il cielo che accorcia la distanza.
La ripetizione del colore nero stabilisce una continuità tra l’identità del protagonista e l’ambiente circostante. Il cielo, tradizionalmente visto come uno spazio infinito e distante, viene qui descritto come un elemento che “accorcia la distanza”, suggerendo un senso di oppressione e chiusura. L’oscurità, anziché rappresentare vastità e mistero, diventa un peso che si avvicina, che incombe sul soggetto. Questo movimento di restringimento suggerisce la perdita di prospettiva, il soffocamento di qualsiasi possibilità di fuga o redenzione.
Frana anche l’orgoglio del re della foresta
L’immagine della frana evoca un crollo improvviso e inarrestabile, una distruzione che non lascia possibilità di resistenza. L’orgoglio, che per definizione è una qualità stabile e radicata, viene qui descritto come qualcosa di fragile, destinato a sgretolarsi. L’uso dell’espressione “re della foresta” richiama immediatamente la figura del leone, simbolo di forza, dominio e regalità. Tuttavia, in questo contesto, il sovrano perde la sua grandezza e il suo potere, cadendo vittima di una forza più grande di lui. L’orgoglio, un tempo pilastro della sua identità, diventa la prima cosa a cedere, lasciando il protagonista senza difese.
Impiccato da un cordiglio, in una tempesta.
L’immagine conclusiva è di un’estrema potenza visiva e simbolica. L’impiccagione è una delle forme più estreme di annientamento, spesso associata all’ingiustizia, alla disperazione e alla condanna. L’uso del termine “cordiglio” invece di “corda” o “cappio” conferisce al verso un tono ricercato, quasi arcaico, aumentando la solennità della scena. L’aggiunta di “in una tempesta” intensifica il senso di dramma e caos: non si tratta di una morte silenziosa, ma di un evento che avviene in un contesto turbolento e violento. La tempesta può essere letta sia in senso letterale, come una condizione atmosferica che accompagna la fine del protagonista, sia in senso metaforico, rappresentando il tumulto interiore o il disordine del mondo circostante. La combinazione di questi elementi chiude il passaggio con un’immagine di totale disfatta, in cui il protagonista, un tempo re, si trova alla mercé delle forze che lo sovrastano.
[…]
E vivere e morire solo.
L’aggiunta della parola “morire” rispetto alla versione precedente del ritornello rappresenta un’evoluzione emotiva e concettuale del pensiero espresso fino a questo punto. Se in precedenza il focus era posto unicamente sulla solitudine della vita, qui si introduce l’idea della solitudine anche nella morte, accentuando il senso di alienazione totale del protagonista. La struttura del verso, spezzata in due azioni opposte – “vivere” e “morire” – sottolinea la loro continuità inevitabile: la solitudine non è un’esperienza transitoria legata a un singolo momento, ma una condizione permanente che si estende lungo l’intero arco dell’esistenza.
Il verbo “vivere” in questo contesto mantiene la stessa connotazione della versione precedente del ritornello, evocando un’esistenza condannata all’isolamento, ma l’introduzione di “morire” suggerisce una rassegnazione ancora più profonda. Non si tratta più solo di affrontare la vita in solitudine, ma anche di concepire la morte come un destino altrettanto solitario. Questo ampliamento della prospettiva sposta il peso dell’affermazione su un piano esistenziale ancora più vasto, lasciando intendere che non vi sia possibilità di redenzione o cambiamento.
L’assenza di congiunzioni tra “vivere” e “morire”, sostituite invece da una semplice ripetizione della “e”, crea un effetto di continuità quasi inevitabile: non c’è soluzione di continuità tra le due esperienze, non esiste un momento di svolta o di transizione. La solitudine diventa così un tratto distintivo della condizione umana del protagonista, qualcosa che lo accompagnerà per sempre, sia in vita che nella fine.
La chiusura con la parola “solo” è particolarmente significativa, poiché ribadisce in modo netto e definitivo la condizione di isolamento. Non ci sono altri elementi che potrebbero mitigare questo sentimento, nessuna speranza implicita di cambiamento. La solitudine, dunque, non è semplicemente un’esperienza temporanea, ma una condanna totale, scolpita sia nel presente che nel futuro.
“Black Lion’s Club” è un brano che incarna il peso dell’alienazione, della rabbia e della solitudine esistenziale attraverso un linguaggio evocativo e carico di simbolismo. L’ambientazione cupa e malinconica, costruita su immagini di tramonti torbidi, riflessi distorti e tempeste interiori, fa da sfondo a una narrazione che oscilla tra il tormento interiore e la ribellione verso un mondo percepito come ostile e indifferente. Il protagonista si dipinge di nero, metafora di un destino segnato dall’incomprensione e dalla disillusione, mentre il leone, simbolo di forza e regalità, viene privato del suo trono e trascinato verso la rovina, sottolineando il senso di sconfitta e resa. L’opposizione tra individualità e conformismo è un tema centrale: ammettere di essere “diverso” costa il prezzo della solitudine, un peso che si trasforma prima in rabbia e poi in una dolorosa accettazione della propria condizione. Il ritornello, che evolve da un’affermazione di isolamento nella vita fino a estenderlo anche alla morte, suggella il senso di inevitabilità della sofferenza esistenziale, lasciando un’impronta indelebile di disillusione e struggente consapevolezza.

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Lyrics by Marco Delrio, Music by Wastemark (Marco Delrio, Walter Visca & Stefano Apicella)
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