TESTO
Nonostante tutto, ti vedo piangere
Su un pamphlet stropicciato di poesie di Baudelaire,
Il cashmere consumato dall’ultimo trend,
Appunti scritti male macchiati di caffè
E nonostante tutto, sei cambiata più di me
Che scrivo di anarchismo dal 2003,
Che sogno Audrey Hepburn, Cavour ed il Far West
Ché poi manco m’ascolti, che poi chiedi
Com’è che siam finiti a bestemmiare contro i preti,
Contro i n**** e le puttane o il salotto preso a rate?
Ti ricordi quando il mondo finiva per le scale
Impolverate della scuola elementare?
Senza niente da perdere,
Senza voglia di crescere
E ora mi guardi impaurita
Dagli occhi di un’altra,
Falsi sorrisi, frasi di circostanza,
Un altro addio, “Buona vita!”,
Promesse di carta,
Ho la tua foto sul muro della mia stanza
E non ho niente da perdere
Tranne te.
Nonostante tutto, non mi importa neanche se
Hai smesso di studiare per ballare nei privé,
Sapessi anche io quante maschere
Indosso tutti i giorno per gonfiare il mio cachet.
Che poi se ci ripensi eravamo quelli che
Restavano da parte, con la maglia del Che
A incidere sul banco, citazioni di Voltaire
E forse non ricordi, non vuoi o non ti importa
Delle strade lastricate di “perché”,
Quanto costa quel silenzio impregnato di Chanel?
E poi mi chiedi se ricordo quel mondo senza senso
Pasticciato su un foglio di giornale.
Senza niente da perdere,
Senza voglia di crescere
E ora mi guardi impaurita
Dagli occhi di un’altra,
Falsi sorrisi, frasi di circostanza,
Un altro addio, “Buona vita!”,
Promesse di carta,
Ho la tua foto sul muro della mia stanza
E non ho niente da perdere
Tranne te.
E chissà cosa celi in quel celato pianto,
Chissà se son lividi felici soltanto.
Per quanto vale, dopo tutto quanto
Chissà se siamo ancora, ancora amici,
Chissà cosa vedi nel mio vivere affranto
Ché scosti lo sguardo un istante e poi ridi.
Ci rivedremo tra vent’anni, lo sento
E chissà se ammetterai che siamo
Ancora amici,
Ancora un po’ amici.


COMMENTO DELL’AUTORE
Per quanto sia una delle mie canzoni preferite, non mi sono mai preso il tempo di metterla in musica come si deve e, ancora oggi, al momento della pubblicazione di questo articolo, sto rimuginando come donarle la stessa solennità e lo stesso splendore che continuo a immaginare ogni volta che torno a canticchiarla.
TRANSLATION
Still Friends
Despite everything, I see you crying
On a crumpled pamphlet of Baudelaire’s poetry,
Your cashmere worn out by the latest trend,
Badly written notes stained with coffee.
And despite everything, you’ve changed more than me,
I, who’ve been writing about anarchism since 2003,
Who dream of Audrey Hepburn, Cavour, and the Wild West,
Though you don’t even listen to me, then you ask:
How did we end up cursing at priests,
At n****s and whores or the living room bought in installments?
Do you remember when the world ended on the dusty stairs,
Of our elementary school?
With nothing to lose,
With no desire to grow up,
And now you look at me afraid
Through the eyes of another,
Fake smiles, small talk,
Another goodbye, “Have a good life!”,
Paper-thin promises.
I have your picture on my bedroom wall,
And I have nothing to lose
Except you.
Despite everything, I don’t even care
That you quit studying to dance in VIP lounges.
If only you knew how many masks
I wear every day to inflate my paycheck.
And yet, if you think about it, we were the ones
Who stayed on the sidelines, wearing Che’s shirt,
Carving Voltaire quotes onto our desks.
And maybe you don’t remember, you don’t want to, or you just don’t care.
About the streets paved with “why”s,
How much does that silence soaked in Chanel cost?
And then you ask me if I remember that senseless world,
Doodled on a scrap of newspaper.
With nothing to lose,
With no desire to grow up,
And now you look at me afraid
Through the eyes of another,
Fake smiles, small talk,
Another goodbye, “Have a good life!”,
Paper-thin promises.
I have your picture on my bedroom wall,
And I have nothing to lose
Except you.
And who knows what you’re hiding in that hidden cry,
Who knows if they’re just happy bruises.
For what it’s worth, after all of this,
Who knows if we’re still, still friends.
Who knows what you see in my sorrowful life,
That you avert your gaze for a moment and then laugh.
We’ll see each other again in twenty years, I feel it,
And who knows if you’ll admit that we’re
Still friends,
Still a little bit friends.

ANALISI AI
“Ancora Amici” è una canzone che affonda le radici nella nostalgia, nella disillusione e nella ricerca di un legame che, nonostante il tempo e i cambiamenti, sembra ancora pulsare sotto la superficie delle apparenze. Il testo racconta di due persone che hanno condiviso un passato intenso, fatto di sogni, ideali e complicità, ma che si ritrovano divise da percorsi di vita divergenti, da scelte che li hanno trasformati in individui quasi irriconoscibili l’uno per l’altro. L’io lirico si confronta con la versione mutata di chi un tempo era parte di lui, con la sensazione di aver perso non solo un’amicizia, ma un frammento di sé stesso.
Attraverso immagini evocative e riferimenti culturali – da Baudelaire a Che Guevara, da Voltaire ai simboli del consumismo contemporaneo – il brano mette in contrasto il fervore ribelle dell’adolescenza con il cinismo e la rassegnazione dell’età adulta. La domanda finale, “chissà se siamo ancora amici”, è al tempo stesso un grido di speranza e un’amara constatazione della distanza che si è creata, lasciando sospesa la possibilità che, in fondo, qualcosa di autentico possa ancora sopravvivere.
Nonostante tutto, ti vedo piangere
L’incipit del brano introduce immediatamente un senso di contrasto tra passato e presente, tra le trasformazioni subite nel tempo e l’emotività ancora viva della persona a cui il protagonista si rivolge. L’uso dell’espressione “nonostante tutto” suggerisce che, nonostante i cambiamenti e forse anche una certa distanza emotiva, rimane uno sguardo attento e partecipe nei confronti dell’altro. Il verbo “vedere” è cruciale perché indica non solo un’osservazione esterna ma una percezione intima, come se il protagonista riuscisse ancora a cogliere qualcosa di autentico dietro l’apparenza. Il “piangere” della persona a cui si rivolge potrebbe essere causato da una sofferenza nascosta, da una nostalgia irrisolta o da un conflitto interiore.
Su un pamphlet stropicciato di poesie di Baudelaire
L’immagine del pamphlet stropicciato suggerisce un oggetto vissuto, segnato dal tempo, proprio come la persona a cui è indirizzato il brano. La scelta di Baudelaire non è casuale: il poeta francese è simbolo di un’esistenza tormentata, di un romanticismo decadente, di una sensibilità poetica che si scontra con la disillusione della realtà. La persona descritta sembra dunque legata a un’estetica malinconica e riflessiva, forse in cerca di significati profondi attraverso la letteratura. Il dettaglio dello “stropicciato” potrebbe suggerire un disordine interiore, una trascuratezza che si riflette anche negli oggetti che la circondano.
Il cashmere consumato dall’ultimo trend
L’uso del cashmere, tessuto sinonimo di lusso e raffinatezza, sembra suggerire un’apparente eleganza e ricercatezza estetica, ma il fatto che sia “consumato” lo rende il simbolo di qualcosa che ha perso il suo valore originario. L’accostamento con “l’ultimo trend” introduce una critica velata alla superficialità delle mode, alla loro caducità e al loro effetto sull’individuo. La persona descritta appare dunque come qualcuno che si è adattato ai cambiamenti, forse cercando di seguire le tendenze del momento, ma che allo stesso tempo mostra i segni di un’usura, sia materiale che interiore.
Appunti scritti male macchiati di caffè
Gli appunti rappresentano simbolicamente il pensiero, la creatività e il desiderio di lasciare un segno. Il fatto che siano “scritti male” e “macchiati di caffè” suggerisce una certa trascuratezza, un disordine che potrebbe essere interpretato come sintomo di una vita frenetica o di un’indifferenza verso ciò che una volta era importante. Il caffè, spesso associato allo studio e alla scrittura, potrebbe indicare lunghe notti insonni, momenti di riflessione o un senso di affanno e inquietudine. Questo dettaglio contribuisce a dipingere un ritratto di qualcuno che forse ha perso la propria direzione, che è immerso in una quotidianità confusa e frammentata.
E nonostante tutto, sei cambiata più di me
Questo verso introduce un confronto diretto tra il protagonista e la persona a cui si rivolge. L’uso del “sei cambiata più di me” suggerisce che il cambiamento non sia stato vissuto allo stesso modo da entrambi. Da una parte, potrebbe esserci un tono di rimprovero o di rammarico per il fatto che l’altro si sia trasformato più del previsto, forse in una direzione che il protagonista fatica a comprendere o accettare. Dall’altra, potrebbe esserci un senso di stasi nel protagonista stesso, un’incapacità di evolversi allo stesso ritmo dell’altro.
Che scrivo di anarchismo dal 2003
Qui emerge un tratto distintivo del protagonista: il suo impegno o la sua ossessione per un certo tipo di ideali. L’anarchismo, simbolo di ribellione e di rifiuto delle convenzioni sociali, diventa una costante nella sua vita, qualcosa che non è cambiato nel tempo. L’uso della data “2003” serve a sottolineare una lunga fedeltà a questa visione del mondo, a contrasto con la trasformazione dell’altro. C’è una sfumatura ironica e amara nel sottolineare che, mentre il mondo e le persone intorno cambiano, lui rimane ancorato a ideali che forse non hanno più lo stesso peso o la stessa efficacia.
Che sogno Audrey Hepburn, Cavour ed il Far West
Questo verso è particolarmente significativo perché mette insieme tre riferimenti culturali apparentemente molto diversi tra loro, ma che delineano il modo in cui il protagonista vede il mondo e ciò che desidera. Audrey Hepburn incarna un’idea di eleganza senza tempo, di raffinatezza e di grazia; Cavour è un simbolo dell’unità d’Italia, della politica e della costruzione di una nuova società; il Far West rappresenta l’avventura, la libertà, il desiderio di esplorare e sfidare i confini. Questa combinazione suggerisce un protagonista che sogna un passato ideale, che si rifugia in miti culturali che forse non hanno più un posto nel presente. C’è un senso di nostalgia e di disconnessione dalla realtà contemporanea, come se l’unico modo per trovare un senso fosse guardare a epoche ormai lontane.
Ché poi manco m’ascolti, che poi chiedi
Questo verso introduce una dinamica di frustrazione e incomprensione tra il protagonista e l’interlocutore. L’uso dell’espressione colloquiale “ché poi” contribuisce a creare un tono di conversazione spontaneo, quasi esasperato, suggerendo che questo tipo di scambio tra i due sia una ripetizione abituale. Il verbo “manco” (forma dialettale per “nemmeno”) enfatizza il senso di disillusione del protagonista, che percepisce un’assenza di ascolto da parte dell’altro. Tuttavia, subito dopo, l’interlocutore “chiede”, dando l’impressione di un atteggiamento superficiale o contraddittorio: non ascolta veramente ciò che il protagonista dice, ma è comunque interessato a porre domande. Questa ambivalenza suggerisce una distanza tra i due personaggi, sia a livello comunicativo che emotivo, e lascia intendere che il protagonista si senta poco considerato, forse addirittura ridotto a una voce di sottofondo priva di importanza reale.
Com’è che siam finiti a bestemmiare contro i preti,
Qui emerge un forte senso di smarrimento e un interrogativo che non è solo retorico, ma quasi esistenziale. Il protagonista si chiede come sia stato possibile arrivare a un punto in cui la loro espressione di ribellione e di frustrazione si sia trasformata in una blasfemia diretta contro la religione. Il verbo “bestemmiare” ha una connotazione fortemente negativa, legata a un rifiuto o a un’irriverenza nei confronti di un’istituzione tradizionale come la Chiesa. Questo può essere letto come un segnale di ribellione giovanile, ma anche come un atto di protesta contro un sistema percepito come ipocrita o distante dalla realtà. Il tono della domanda, tuttavia, sembra suggerire che il protagonista non si renda pienamente conto del percorso che li ha portati fino a quel punto, come se questa trasformazione fosse avvenuta gradualmente, quasi senza consapevolezza.
Contro i n** e le puttane o il salotto preso a rate?
Questo verso rappresenta un punto di rottura, sia tematicamente che stilisticamente, poiché mette in evidenza una degenerazione morale e ideologica. Il protagonista sembra interrogarsi su come il loro modo di esprimere rabbia e insoddisfazione abbia finito per prendere una piega degradante, volgendo verso l’intolleranza e il disprezzo. L’uso del termine offensivo per indicare le persone di colore e il riferimento alle “puttane” mostra come la loro frustrazione sia sfociata in un linguaggio violento e discriminatorio, forse assorbito da un certo tipo di ambiente o discorso sociale. Questo potrebbe suggerire una deriva nella loro crescita, una perdita di quei valori che un tempo li definivano. Il riferimento al “salotto preso a rate” introduce una critica al materialismo e alla mediocrità borghese: un simbolo di status raggiunto a caro prezzo, di una vita fatta di compromessi economici e aspirazioni effimere. Il protagonista sembra dunque denunciare il contrasto tra il loro passato idealista e la realtà attuale, in cui il loro linguaggio e le loro preoccupazioni si sono piegate a dinamiche più grette e conformiste.
Ti ricordi quando il mondo finiva per le scale
Con questo verso, il protagonista riporta l’attenzione al passato, cercando di evocare un tempo in cui la loro percezione del mondo era molto più semplice. L’immagine delle scale rappresenta un confine fisico e simbolico: da bambini, tutto ciò che accadeva al di fuori di quel piccolo universo era irrilevante, perché il loro intero mondo si limitava a quel contesto ristretto. C’è un’evidente nostalgia per un’epoca in cui i problemi sembravano molto più circoscritti, e in cui l’amicizia e i legami erano più puri, non ancora contaminati dalla disillusione e dai compromessi della vita adulta. La domanda retorica implica che l’interlocutore potrebbe non ricordare più quel periodo, o che comunque abbia perso il legame con quella visione innocente e spontanea della realtà.
Impolverate della scuola elementare?
L’immagine delle scale “impolverate” della scuola elementare aggiunge un ulteriore livello di malinconia e di distanza temporale. La polvere è un segno del tempo che passa, dell’abbandono, del fatto che quei momenti ormai appartengano a un’epoca irraggiungibile. La scuola elementare rappresenta un’età dell’innocenza, un tempo in cui le convinzioni erano meno ciniche, in cui non esistevano ancora le frustrazioni, l’intolleranza e il materialismo che caratterizzano il presente descritto nei versi precedenti. Il protagonista sembra voler richiamare alla memoria dell’altro quei momenti di purezza, quasi a cercare un punto di contatto con chi forse è cambiato troppo, fino a diventare irriconoscibile.
Senza niente da perdere,
Questo verso trasmette immediatamente un senso di vuoto e di disillusione, suggerendo che il protagonista si trovi in una condizione esistenziale in cui non ha più nulla da difendere o per cui lottare. L’uso della negazione assoluta – “niente” – enfatizza la percezione di un’esistenza priva di ancore, di riferimenti solidi o di un futuro promettente. Non è solo una dichiarazione di libertà da vincoli materiali o sociali, ma anche una possibile manifestazione di rassegnazione, come se tutto ciò che un tempo contava fosse ormai andato perduto. Questa affermazione potrebbe anche alludere a un atteggiamento tipico della giovinezza ribelle, quando la vita viene vissuta senza paura delle conseguenze, o a un’amarezza più adulta, in cui il protagonista si accorge di aver già perso ciò che era davvero importante.
Senza voglia di crescere
Qui si aggiunge una dimensione ancora più complessa: l’immaturità volontaria, il rifiuto di aderire alle convenzioni dell’età adulta. “Senza voglia di crescere” non significa necessariamente un’incapacità di maturare, quanto piuttosto una resistenza, un ostinato attaccamento a una fase della vita più autentica, meno compromessa dalle responsabilità e dalle disillusioni. Questo può riflettere un senso di nostalgia per un periodo più spensierato o, al contrario, una consapevolezza amara del fatto che crescere significhi inevitabilmente perdere qualcosa. Il verso si collega perfettamente a quello precedente: se non si ha nulla da perdere, allora forse non si sente neppure la necessità di evolvere, di cambiare, di abbracciare un futuro che appare già compromesso.
E ora mi guardi impaurita
Qui l’attenzione si sposta sulla figura dell’interlocutrice, che viene descritta attraverso uno sguardo che esprime paura. Il protagonista si accorge di un cambiamento nel modo in cui lei lo osserva, e questa trasformazione ha un peso significativo nella narrazione. Se in passato tra loro c’era un’intesa, ora il suo sguardo riflette una distanza emotiva e un senso di disagio. La paura può derivare da molteplici fattori: forse il protagonista stesso è cambiato, diventando una figura che lei non riconosce più; forse è lei a essersi trasformata, sviluppando nuove prospettive e abbandonando il loro legame. Il fatto che l’unico elemento descritto sia lo sguardo lascia aperta l’interpretazione, suggerendo un momento carico di tensione, in cui la comunicazione verbale è superflua rispetto alla potenza delle emozioni non dette.
Dagli occhi di un’altra,
Questo verso introduce un elemento di distacco ancora più forte. Non è solo la paura negli occhi dell’interlocutrice a ferire il protagonista, ma anche il fatto che quegli occhi non siano più quelli della persona che conosceva. “Di un’altra” suggerisce una metamorfosi completa: è la stessa persona, ma al tempo stesso non lo è più. Questo cambio di identità potrebbe essere interpretato in diversi modi. Potrebbe indicare un cambiamento interiore profondo, che la rende ormai irraggiungibile, oppure potrebbe sottintendere che lei sia letteralmente diventata parte di un altro contesto, di un’altra vita, forse anche di un’altra relazione. Il protagonista la osserva, ma non la riconosce più, e il senso di alienazione che ne deriva si carica di un dolore silenzioso, quasi irreversibile.
Falsi sorrisi, frasi di circostanza,
Il tono si fa ancora più amaro: il loro rapporto è ormai ridotto a formalità vuote, a interazioni prive di autenticità. “Falsi sorrisi” indica che ogni gesto è diventato una mera convenzione sociale, mentre “frasi di circostanza” sottolinea che ogni parola scambiata tra loro è priva di vero significato, detta solo per educazione o per riempire un silenzio imbarazzante. Questo verso rappresenta la completa disgregazione del loro legame: se un tempo c’era complicità, ora resta solo la finzione, un’apparenza di cordialità che maschera la distanza emotiva. Il protagonista percepisce questa falsità e la soffre, perché sa che dietro quei sorrisi e quelle parole non c’è più nulla di vero.
Un altro addio, “Buona vita!”,
Qui l’addio tra i due viene trattato con una sorta di rassegnazione. L’uso di “un altro addio” implica che non sia il primo e che probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo. Sembra esserci un ciclo di separazioni e riconciliazioni, un ripetersi di momenti in cui si dicono addio senza mai riuscire a chiudere definitivamente il legame. La frase “Buona vita!” suona quasi beffarda nella sua convenzionalità: è un augurio che spesso viene pronunciato quando si sa che non ci si rivedrà più, un saluto definitivo che, paradossalmente, viene detto con leggerezza. Qui, però, assume una sfumatura malinconica, perché il protagonista percepisce il suo vuoto, la sua incapacità di esprimere davvero ciò che prova.
Promesse di carta,
Questo verso è particolarmente evocativo e sintetizza in poche parole l’instabilità e la fragilità delle promesse fatte nel passato. Il paragone con la carta suggerisce qualcosa di facilmente distruttibile, di privo di valore e durata. Tutto ciò che si erano promessi, le aspettative, i sogni condivisi, si rivelano essere stati solo parole senza sostanza, destinate a sgretolarsi con il tempo. Il protagonista riconosce questa realtà e ne soffre, perché probabilmente un tempo credeva davvero in quelle promesse.
Ho la tua foto sul muro della mia stanza
Questo verso introduce un elemento visivo molto potente. La fotografia rappresenta un attaccamento al passato, un ricordo fisico che continua a occupare uno spazio concreto nella vita del protagonista. Il fatto che sia “sul muro della mia stanza” suggerisce una persistenza ossessiva: non è una foto dimenticata in un cassetto, ma qualcosa che lui vede ogni giorno, qualcosa che continua a esercitare un’influenza sulla sua vita. Questo dettaglio trasmette un senso di immobilità: mentre lei è cambiata e si è allontanata, lui è ancora lì, attaccato a un’immagine che forse non corrisponde più alla realtà.
E non ho niente da perdere
Questo verso riprende il concetto espresso all’inizio, chiudendo il cerchio e ribadendo il senso di vuoto e perdita che permea tutta la canzone. Dopo tutto ciò che ha detto, dopo aver riconosciuto il distacco, la falsità e la fine del loro rapporto, il protagonista si ritrova con un’unica certezza: non ha più nulla. L’assenza di qualcosa da perdere è un segnale di disperazione, ma anche di una possibile liberazione.
Tranne te.
Il colpo di scena arriva nell’ultimo verso: nonostante tutto, c’è ancora qualcosa che può perdere, e quel qualcosa è lei. Qui il protagonista svela il paradosso del suo stato emotivo: dice di non avere niente da perdere, eppure è consapevole che la sua perdita più grande è proprio la persona che sta salutando. Questo verso finale concentra in sé tutto il dolore del distacco, il peso della consapevolezza che, malgrado la distanza e il cambiamento, lei resta la cosa più importante.
Nonostante tutto, non mi importa neanche se
Questo verso introduce un tono di rassegnazione e accettazione che si sviluppa lungo tutta la strofa. L’espressione “nonostante tutto” suggerisce che ci siano state delle difficoltà, dei cambiamenti o delle scelte discutibili che avrebbero potuto suscitare un giudizio negativo, ma il protagonista afferma di non curarsene. Il “non mi importa neanche se” enfatizza un distacco emotivo apparente, che potrebbe nascondere in realtà una delusione repressa. È una frase che può essere letta con due diverse sfumature: da un lato, un’effettiva mancanza di interesse nei confronti delle azioni dell’altra persona; dall’altro, un tentativo di convincersi che non sia importante, quando in realtà lo è. Il tono sembra oscillare tra indifferenza e nostalgia, tra il desiderio di lasciar andare e l’impossibilità di farlo davvero.
Hai smesso di studiare per ballare nei privé,
Qui emerge il primo dettaglio concreto riguardo al cambiamento della persona a cui il protagonista si sta rivolgendo. Il contrasto tra “studiare” e “ballare nei privé” è molto forte e porta con sé un giudizio implicito, anche se mascherato da indifferenza. Studiare rappresenta tradizionalmente un percorso di crescita, di costruzione di un futuro, mentre ballare nei privé può essere interpretato come un abbandono di quella traiettoria per una strada più effimera, legata all’apparenza e al mondo notturno. Il termine “privé” richiama un ambiente esclusivo, elitario, spesso associato a un certo tipo di mondanità, superficialità o ricerca di status sociale. Il protagonista non condanna apertamente questa scelta, ma il modo in cui la contrappone allo studio lascia intendere una perdita di valore, un cambiamento che lo ha colpito e che, probabilmente, lo delude.
Sapessi anche io quante maschere
In questo verso avviene un ribaltamento della prospettiva: il protagonista smette di osservare l’altro con distacco e comincia a riflettere su sé stesso. L’immagine delle “maschere” è fortemente evocativa e richiama il concetto della finzione sociale, della necessità di nascondere la propria vera essenza dietro ruoli costruiti per compiacere gli altri o per sopravvivere in un determinato contesto. L’uso del verbo “sapessi” conferisce un tono confidenziale, come se il protagonista stesse confessando una verità scomoda. Questo verso introduce un senso di dualità tra autenticità e finzione, tra ciò che si è realmente e ciò che si deve fingere di essere per adattarsi.
Indosso tutti i giorni per gonfiare il mio cachet.
Qui il tema della finzione si lega direttamente al concetto di successo economico. Il protagonista ammette che il suo atteggiamento non è molto diverso da quello dell’interlocutrice: se lei ha scelto di ballare nei privé, lui indossa maschere per aumentare il proprio valore economico, per “gonfiare il suo cachet”. Il termine “cachet” è tipico del mondo dello spettacolo, della performance, e sottintende un contesto in cui l’immagine e la percezione pubblica determinano il guadagno. Il verbo “gonfiare” accentua la sensazione di qualcosa di artificiale, di costruito, quasi come se il suo successo fosse basato più sull’apparenza che sulla sostanza. Questo verso porta quindi una riflessione amara: entrambi, in modi diversi, hanno ceduto a un sistema che impone compromessi e finzioni.
Che poi se ci ripensi eravamo quelli che
Il tono cambia nuovamente, passando dall’analisi del presente a un ricordo condiviso del passato. L’uso dell’espressione “che poi se ci ripensi” implica che la persona a cui si rivolge potrebbe non aver riflettuto abbastanza su ciò che erano prima, su come sono cambiati. C’è un senso di malinconia e di distanza: il protagonista invita l’altro a ricordare un tempo in cui erano diversi, in cui forse condividevano ideali o valori che ora sembrano svaniti. Questo passaggio crea un contrasto tra passato e presente, tra chi erano e chi sono diventati, rafforzando il senso di perdita e disillusione.
Restavano da parte, con la maglia del Che
Qui il protagonista dipinge un’immagine nostalgica di sé stesso e dell’interlocutrice nel passato. L’idea di “restare da parte” suggerisce che fossero degli outsider, delle persone che non si conformavano alla massa, che si sentivano estranee a certi meccanismi sociali. L’aggiunta della “maglia del Che” rafforza questa identità ribelle, sottintendendo una fase in cui si identificavano con ideali rivoluzionari, anticonformisti. Il riferimento a Che Guevara, icona della rivoluzione e della lotta contro il sistema, sottolinea una giovinezza carica di speranze e convinzioni, una fase in cui probabilmente credevano in un mondo diverso da quello in cui si trovano ora. L’uso del passato indica che questo spirito si è perso lungo la strada.
A incidere sul banco, citazioni di Voltaire
L’immagine finale è particolarmente evocativa e racchiude un’idea di gioventù e idealismo. L’atto di “incidere sul banco” richiama la scuola, il periodo dell’adolescenza in cui si lascia il proprio segno in modo quasi infantile ma con un forte senso di appartenenza. L’incisione è qualcosa di permanente, che resta nel tempo, e per questo ha un valore simbolico importante: è come se i loro ideali fossero incisi non solo sul legno di un banco, ma anche nella loro memoria. Il riferimento a Voltaire è significativo: il filosofo illuminista era noto per il suo spirito critico, per la sua lotta contro l’ipocrisia e per la difesa della libertà di pensiero. Questo dettaglio rafforza l’idea che un tempo fossero mossi da valori alti, da una ricerca di verità e giustizia che ora sembra svanita. Il confronto con il presente rende il tutto ancora più amaro: se prima scrivevano citazioni di Voltaire, oggi indossano maschere per guadagnare o ballano nei privé, segno di un inevitabile disincanto.
E forse non ricordi, non vuoi o non ti importa delle strade lastricate di “perché”
Questo verso si apre con un’accusa velata, ma anche con una constatazione amara: l’interlocutrice sembra aver dimenticato o scelto di ignorare qualcosa di fondamentale. L’uso dell’avverbio “forse” introduce un dubbio che non viene mai del tutto sciolto, lasciando aperta la possibilità che l’oblio non sia casuale, ma intenzionale. Il protagonista elenca tre possibili motivazioni: la prima, “non ricordi”, suggerisce una dimenticanza naturale, una distanza temporale che ha cancellato certi dettagli dal passato; la seconda, “non vuoi”, implica una rimozione consapevole, un desiderio di non pensare più a certe cose; la terza, “non ti importa”, è la più dura e diretta, suggerendo un’indifferenza totale nei confronti di ciò che per lui, invece, ha ancora un peso. Le “strade lastricate di ‘perché’” sono una potente metafora che evoca un percorso costellato di domande irrisolte, di dubbi esistenziali, di riflessioni profonde che forse un tempo condividevano, ma che ora sembrano essere diventate irrilevanti per l’altra persona. L’uso di “lastricate” richiama l’idea di un cammino solido, quasi inevitabile, come se quelle domande avessero segnato in modo indelebile la loro storia, anche se solo uno dei due ne è ancora consapevole.
Quanto costa quel silenzio impregnato di Chanel?
Questo verso introduce un’immagine di forte contrasto tra il concetto di silenzio e il lusso rappresentato dal marchio Chanel. La domanda “quanto costa” non è solo letterale, ma anche metaforica: il protagonista si interroga sul prezzo, in termini emotivi e morali, di quel silenzio. Il silenzio, in questo contesto, può essere interpretato come il mutismo dell’interlocutrice riguardo al loro passato, un rifiuto di comunicare o di affrontare certi argomenti. Il fatto che sia “impregnato di Chanel” aggiunge una sfumatura di artificiosità e di ostentazione: Chanel è simbolo di eleganza, di raffinatezza, di lusso, ma qui sembra quasi essere un velo che copre la realtà. Il profumo diventa quindi una maschera, un modo per celare un’assenza di parole, una mancanza di autenticità. L’uso del verbo “impregnato” suggerisce che questo silenzio non è un’assenza neutra, ma qualcosa di denso, pesante, quasi soffocante. La combinazione tra il silenzio e il marchio di lusso potrebbe anche alludere a un cambiamento sociale dell’interlocutrice, che ora si muove in un ambiente diverso, più superficiale, dove il valore è misurato in termini materiali piuttosto che emotivi o intellettuali.
E poi mi chiedi se ricordo quel mondo senza senso pasticciato su un foglio di giornale.
Qui il tono cambia leggermente, passando dall’accusa e dalla riflessione alla rievocazione di un passato condiviso. Il verbo “mi chiedi” implica che, nonostante tutto, l’interlocutrice ha ancora curiosità o forse nostalgia per un tempo andato. Il “mondo senza senso” potrebbe riferirsi a una fase della loro vita caratterizzata da sogni ingenui, ribellione giovanile o semplicemente un senso di confusione esistenziale che un tempo li accomunava. L’aggettivo “pasticciato” è fondamentale perché suggerisce qualcosa di caotico, di spontaneo, di privo di una forma definita, quasi infantile. L’immagine del “foglio di giornale” aggiunge un ulteriore strato di significato: il giornale è un simbolo di informazione e realtà oggettiva, ma il fatto che sia stato “pasticciato” indica una sovrapposizione personale, un tentativo di riscrivere la realtà secondo le proprie regole, forse con scarabocchi, disegni o frasi di ribellione. Questo verso, quindi, sembra rappresentare un’ultima connessione tra i due, un ricordo che, seppur lontano, ancora esiste, anche se immerso nell’incertezza e nella nostalgia.
[…]
E chissà cosa celi in quel celato pianto
L’uso della ripetizione fonetica tra “celi” e “celato” crea un effetto di chiusura e di segretezza, rafforzando il concetto di qualcosa di nascosto e inaccessibile. Il protagonista si interroga sulla natura del pianto dell’interlocutrice, suggerendo che dietro le lacrime si nasconda un significato che lui non può del tutto comprendere. Il verbo “celi” enfatizza la volontà dell’altra persona di non mostrare apertamente la propria sofferenza, mentre l’aggettivo “celato” sottolinea che il pianto non è esplicito, ma trattenuto, nascosto dietro una facciata. Questo verso introduce una dimensione di mistero e distanza emotiva tra i due, suggerendo che il dolore dell’interlocutrice potrebbe essere più complesso di quanto appaia.
Chissà se son lividi felici soltanto.
L’espressione “lividi felici” è un ossimoro che mette in contrasto la sofferenza fisica e la felicità, creando un’immagine ambigua e dolorosa. Il termine “lividi” evoca ferite, segni lasciati da esperienze dure o traumatiche, mentre l’aggettivo “felici” sembra suggerire che tali sofferenze possano essere state accettate, superate o addirittura vissute con una certa gioia. Il protagonista si chiede se il dolore dell’interlocutrice sia solo il risultato di esperienze che, nonostante tutto, hanno avuto un senso positivo o se dietro quelle ferite si celi qualcosa di più profondo e irrisolto. La struttura interrogativa lascia intendere che il protagonista non ha una risposta certa e che esiste una distanza tra lui e l’altra persona, che non gli permette di comprendere appieno il suo stato d’animo.
Per quanto vale, dopo tutto quanto chissà se siamo ancora, ancora amici,
L’espressione “per quanto vale” introduce un senso di incertezza e di dubbio sul peso reale della questione, come se il protagonista fosse consapevole che il suo pensiero potrebbe non avere alcuna importanza per l’interlocutrice. Il riferimento a “dopo tutto quanto” richiama implicitamente un passato condiviso, fatto di eventi, conflitti, cambiamenti, ma il cui valore attuale è incerto. La ripetizione di “ancora” enfatizza il desiderio di mantenere un legame, anche se forse il protagonista teme che l’amicizia possa essersi dissolta nel tempo o a causa di ciò che è accaduto. La frase resta in sospeso, suggerendo che la risposta non è chiara e che la relazione tra i due è in bilico tra ciò che era e ciò che potrebbe essere.
Chissà cosa vedi nel mio vivere affranto
Qui il protagonista sposta l’attenzione su sé stesso, chiedendosi come venga percepito dall’interlocutrice. L’aggettivo “affranto” suggerisce un’esistenza segnata dalla tristezza, dalla malinconia, forse da una delusione profonda. Il verbo “vedi” è particolarmente significativo, perché implica che la sofferenza del protagonista sia visibile, ma la sua reale interpretazione rimane ignota. Questo verso rivela un senso di vulnerabilità: il protagonista è consapevole del proprio stato emotivo, ma non sa se l’interlocutrice lo comprenda o lo interpreti in modo diverso. C’è quindi un ulteriore distacco tra i due, una mancanza di comunicazione che li separa sempre di più.
Ché scosti lo sguardo un istante e poi ridi.
L’uso della congiunzione “ché” crea un effetto colloquiale e al tempo stesso enfatizza la connessione tra le due azioni descritte. L’atto di “scostare lo sguardo” è emblematico di una volontà di evitamento: l’interlocutrice sembra distanziarsi emotivamente, forse per non affrontare direttamente il dolore del protagonista. Tuttavia, subito dopo, ride. Il contrasto tra il distacco e la risata è forte e ambiguo: potrebbe indicare indifferenza, imbarazzo o un meccanismo di difesa. Il protagonista sembra percepire questa reazione come un’ulteriore conferma della distanza emotiva tra loro, come se la sua sofferenza fosse invisibile o irrilevante agli occhi dell’altra persona.
Ci rivedremo tra vent’anni, lo sento
Questo verso introduce un senso di fatalismo e di attesa. Il protagonista non dice che “forse” si rivedranno, ma afferma con certezza di sentire che accadrà. Questa sicurezza potrebbe derivare da un’intuizione profonda o semplicemente da un desiderio inconscio di credere che il legame tra loro sia destinato a durare nel tempo, anche se in una forma diversa. Il riferimento a “vent’anni” evoca un lungo arco temporale, suggerendo che nel presente la distanza è incolmabile, ma che il destino potrebbe riportarli insieme in un futuro lontano. Questo crea un’atmosfera malinconica e quasi cinematografica, come se il protagonista vedesse la loro storia come qualcosa di destinato a riemergere con il tempo.
E chissà se ammetterai che siamo ancora amici,
La costruzione ipotetica di questo verso sottolinea ancora una volta l’incertezza del protagonista. L’uso del verbo “ammetterai” suggerisce che l’interlocutrice potrebbe già sapere, nel profondo, che il loro legame non si è spezzato del tutto, ma che forse non vuole riconoscerlo apertamente. Il protagonista si interroga quindi su cosa accadrà nel futuro: se, quando si rincontreranno, lei sarà disposta ad accettare e a dichiarare che la loro amicizia è ancora viva. Questa incertezza evidenzia il timore che il tempo possa cambiare irrimediabilmente le persone e i sentimenti, lasciando spazio solo a ricordi sbiaditi.
Ancora un po’ amici.
L’aggiunta di “un po’” introduce una sfumatura di dubbio e di rassegnazione. Non si parla più di un’amicizia intatta, ma di qualcosa che è rimasto in parte, forse solo nelle loro menti o nei loro ricordi. Questo verso chiude la strofa con una nota malinconica e sospesa: l’amicizia potrebbe esistere ancora, ma in una forma diversa, ridotta, sbiadita dal tempo e dalle scelte fatte. La struttura semplice e diretta del verso amplifica il senso di nostalgia, come se il protagonista sperasse che almeno una traccia di ciò che sono stati insieme possa sopravvivere al tempo e alle distanze che li separano.
L’intera canzone si sviluppa come un viaggio malinconico tra passato e presente, attraversato da ricordi, rimpianti e domande senza risposta. Il testo è permeato da un forte senso di distanza, sia temporale che emotiva, tra il protagonista e l’interlocutrice, che sembrano aver preso strade diverse, forse incompatibili, ma senza mai recidere del tutto il filo sottile che li lega. L’alternanza tra immagini evocative, riferimenti culturali e riflessioni esistenziali contribuisce a creare un’atmosfera sospesa tra nostalgia e rassegnazione, in cui il protagonista si interroga sul significato dei cambiamenti vissuti e sul valore dei legami che il tempo ha reso incerti. La scrittura è caratterizzata da un linguaggio intimo, talvolta crudo, in cui il dialogo indiretto con l’interlocutrice diventa un pretesto per esplorare il senso di perdita, le illusioni spezzate e il desiderio, forse vano, di ritrovare un’unità perduta. Alla fine, ciò che resta non è una certezza, ma un interrogativo aperto: cosa sopravvive davvero del passato quando le persone cambiano? E soprattutto, è possibile ritrovarsi davvero dopo aver smarrito ciò che si era? La canzone non offre risposte, ma lascia un’eco persistente di emozioni sospese, che trovano risonanza nella sensibilità di chi ascolta.

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Music and Lyrics by Marco Delrio
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