Il Diario delle Vanvere Terapeutiche #346

09/06/1924 – Ore 21:16 – #346

Sarà ch’anche questa sera, su Lylcoin e sull’intera contea di Bolinthos, si sta abbattendo un altro temporale a dir poco atipico considerata la stagione; sarà ch’i giorni addietro, di contro, nell’ore in cui ‘l sole sbucava delle nubi grigiastre v’era un torrido bollore insostenibile; sarà che solgo destarmi presto perfino ‘n codesti giorni di festa; sarà un poco di tutto che mi lassa intorpidito alle giunture e colla testa appena spaesata fra ‘l tentare di comprendere tal senso di debolezza fisica e la cruda accettazione di dover tentare di riposare meglio durante le notti. Di fatto continuo ad avere una quantità ingente di sogni, cosa che quasi mai esperisco col mio sonno decisamente più che profondo. Eppur al precedere del trillo della sveglia son tante le storie ch’il mio inconscio par volermi raccontare e mostrare e son tante quelle che finiscono per strascicarsi lungo i dì ‘n brevi e offuscati frammenti incomprensibili. O, perlomeno, ch’ì non deseo comprendere più di molto. Per chiaro, non son tipo da bighellonare fra i vari tomi che svanverano su come interpretare tali visioni o su che cosa, di fatto, ‘n esse trarre e analizzare. Anzi, per vero, m’è semplice divincolarmi fra i semplici e consueti significati che paiono tentare d’iscondersi didietro d’uno scenario improbabile, contornato da vignette nebbiose e sonni traagliati. Tuttavia, non vale nemmeno la pena ir descrivendo lo ch’in fondo credo di vedere o lo che attribuisco a tali miraggi; narro già talmente tanto in questi paragrafi che mi pare inutile sciorinare ulteriori prospettive su lo ch’in fondo m’attanaglia didentro, a volte sin nemmeno il mio accorgimento. Ch’in fondo, di fatto, le quistioni son sempre le stesse, ‘n una maniera o nell’altra. E si fa un altro lunedì. E ì non ne vedevo l’ora. Ch’ormai ho appreso ad apporre un cangiamento fondamentale al mio personaggio, poiché sì, ‘sì par lo che mostro allo specchio e alle folle, cada incipire di settimana, a modo coercitivo, talvolta, trangugiando le resistenze e l’attriti che per natura e pigro sollazzo tendono a opporsi a tali decisioni. Molte filosofie orientali ch’ho deglutito ‘n codesti anni elencano fino nel dettaglio com’operarsi pe’ acciuffare una volta per tutte ‘l controllo del proprio arbitrio lassando chetamente svanire ogni perturbazione dettata dal mio di fatto essere lo che sono; da esse, oltre che da l’ennesimi tomi sulla promulgazione d’una mentalità ch’ormai denomino stoica, sto estrapolandone molte azioni e reazioni, valutandone il progresso e l’integrazione nel diario e, in fine, sbalordendomi alle concrete sacche di risultati positivi che mi fan trovare fianco ‘l letto cada mane al trillo della sveglia. Quissà mi trovo ancora nella fase preambolare, ove la mira più assennata dovrìa ser la di raccimolare ogni minima sfumatura di disordine, imbellettarla o gittarla alle ortiche e passare alla prossima. E ‘sì fo’, sebbene mi vedo sempre ad anelare lo ch’in fondo deve, per logica tempistica, rivare fra una decade, almeno. Sto divagando. Ma, in fondo, questo è lo che frulla d’un occhio all’altro e poi di rimbalzo ovunque, ‘n ogni silente espirazione che riservo ai momenti più cheti e, per vero, tale è pure lo scopo di codesto libello, lo che di tanto ‘n quando mi vedo allietato nel rammentarmi: un secchio, se m’è concesso nonostante l’immagine rozza, ove per qualche minuto, una mezzora, un’ora, ogniddì, non è più il cranio ad arrovellarsi sulle caleidoscopiche vicissitudini di Arthur ma son le sue mani sin freni che versano un poco di tutto quello dentro questi foglietti sin lettori. No, nemmeno io rileggo lo che scrivo o che scrissi. Ch’ogni dì precedente a questo, a ser onesto, lo potrei raccontare novamente parola per parola. Chessìa codesto, di fatto, il bene che le mie vanvere portano? Una pagina d’inchiostro didentro ‘l cranio per ogni dì trascritto ‘sì come codesto plico?