Uscì dalla sartoria quella sera con un groviglio di emozioni. L’aria pungente le arrossava le guance, e il respiro formava nuvole leggere davanti al suo viso. Camminava lentamente, stringendo il cappotto contro di sé, lasciando che i pensieri fluissero liberi.
Da una parte, il pensiero del riposo la rincuorava. Finalmente avrebbe avuto tempo per sé, per leggere i libri che si accumulavano sulla mensola accanto al letto e per visitare i luoghi della città che non vedeva da tempo. Dall’altra, l’incertezza dell’attesa per il concorso la rendeva inquieta, così come la forzata lontananza da Ben.
La sera, a casa, accese una piccola lampada sul tavolo della cucina e preparò una tazza di tè caldo. La luce calda si rifletteva sulle finestre, respingendo il buio della notte. Aprì il suo quaderno di appunti, lo stesso in cui aveva buttato giù le prime idee per il romanzo. Le pagine erano piene di frasi abbozzate, cancellature, e note scritte a margine.
«Forse dovrei iniziare qualcosa di nuovo,» mormorò tra sé e sé, tamburellando le dita sul bordo della tazza.
Ma le idee sembravano sfuggirle, come se la mente fosse sospesa in una bolla di attesa. Si abbandonò sulla sedia, fissando il quaderno aperto. Il silenzio della casa era quasi palpabile, ma non la opprimeva. Era un silenzio di possibilità, di spazi vuoti che poteva riempire come voleva.
Con un sorriso appena accennato, Joy chiuse il quaderno e si alzò per andare alla finestra. Le strade deserte si allungavano sotto la luce dei lampioni, e in quel momento, decise che avrebbe lasciato che quei giorni di pausa le portassero ispirazione, senza forzare nulla. Aveva imparato che, a volte, le cose migliori arrivano quando si smette di rincorrerle.


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