31/05/1924 – Ore 11:40 – #337
Son fuggito ‘n casa, stamane, poscia qualch’obbligazione ne’ dintorni di Bolinthos effettuata sin impegno nè voglia. Qual miglior giorno pe’ visitare la dottoressa Nauer, oi ch’è l’ultimo dì d’uno dei maggi più lunghi e faticosi dei quali ho memoria? Necessito ch’ella pigi ‘l mio solito tanto iscosto bottone e faccia medi una persona completamente nuova. Che sia possibile? Vo’ dimandandomi oramai ogni volta ch’ì mi trovo per vero ad affrontare questo spettro nefasto del contentarsi d’un’inerzia controproducente. Che sia ‘l vino ch’oi ho incipito a ingollare ‘sì presto? Quissà ella potrà far luce su tali quistioni colle parole ch’ì solo non riesco dirmi e, d’ogni modo, nel caso, non riuscirei ad accettare per mezzo della mia stessa voce, interna o esterna chessìa. ‘Sì che debbo attuare un qualché di drastico, ‘sì pare, ch’in fine mi par d’esser già transitato almeno centinaia di volte pe’ codesti sentieri tortuosi di disperazione e nichilismo e, per vero, la drammaticità d’un gesto inaspettato e definitivo ‘n tali circostanze par avermi sorretto non male lungo tali pendii scoscesi. Non saprei donde cominciare, al momento, colla descrizione di lo ch’in fondo par non cessare di tormentarmi cotidianamente, dalla superficie e nel palese attuare fin alle più recondite cavernette del mio ego incontrollabile; quissà da ‘ste paginette non s’estrapola con dettaglio la tempesta perenne ch’alberga didentro e quissà debbo biasimare la mia incapacità di divellere lo sterno come probabilmente dovrìa per esorcizzare lo che perpetra nell’erodermi fin al punto di trovarmi qui com’oi, spiaccicato su una vecchia poltrona ch’odora di me e me soltanto ad arrovellarmi su come arrampicarmi sul prossimo scalino. Già ch’ì mi metta la penna ‘n mano a forza e mi bullizzi pe’ scrivere e scrivere finché per vero la testa echeggia di nulla più che la brama di sopirsi, è di tanta parte encomiabile. Eppure quanto a fondo mi sto rifiutando di lassarmi scavare? E chi se non l’appassente bestiaccia ch’or mi fissa dal paragrafo potrebbe rispondere a tali domande? Le membra faticate dal maggio trascorso mi trascinano verso un’apatia deplorevole sin ch’ì possa obbedirmi e spingermi oltre lo che son l’ostacoli più che naturali del viver dissimile dell’altri. Chi sa ch’il mio confinarmi didietro d’una solitudine fatta di desei e rammarico non sia lo ch’in fondo debbo abbracciare più d’ogni altra cosa. Mi vedo dunque quasi costretto a compagnar quest’esile corpicino di frustrazione verso le poche istanze ch’ancor paiono ser d’aiuto verso l’apparentemente irraggiungibile stato di elevazione for della folla che ‘sì tanto anelo e ‘sì tanto alimento. Oi so bene come finisce ‘l dì: altre dita di berberis scadente, pipe di effimere appagazioni, schiaffi sull’occhi dalla dottoressa Nauer e una stracciata crisalide di cui disporrò d’oi ‘n avanti. Diamine, la fame ch’ho di bestemmiare e urlare fin che la voce non si tramuti ‘n vomito e lacrime.

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