Il Diario delle Vanvere Terapeutiche #13

12/07/1923 – ore 20:12 – #13

Genevieve Jumper è una ragazza ch’ho conosciuto qualche settimana addietro, presso Flamebait Street, in Bolinthos. Non sono importanti le situazioni di cornice ch’han portato all’inizio di una corrispondenza, principalmente dai toni curiosi e rilassati. Lo che di contro però mi trovo a fare, per quanto me ne dia conto solo a posteriori, è ‘l completo vagheggio ch’accompagna cada epistola ov’ì mi trovo a maginare vite intere condivise coll’altro capo della corrispondenza. Genevieve, di contro, non ha di che guadagnarci d’un individuo qual sono ancora ‘n codesto momento, scritto colla lucidità oggettiva del poi – prambolo inoltre ch’in fine son stato io a terminare lo scambio di lettere in quanto non trovavo (o meglio, non volevo racimolare) nemmeno una singola ora del mio tempo da condividere con ella pe’ qualche ciarla sin impegni vari. Per vero, credo ch’ella non fu null’altro ch’una maniera di deviare delle priorità del momento e null’altro ancora ch’un ennesimo punto lontano ove proiettare l’aneli maginifici e ‘l mio ego stesso, fuggendo delle pressioni diarie e dell’incombente bisogna di frontare lo che di dentro, di modo, non cessa di masticarmi l’autostima e l’orgoglio. Genevieve mi s’è mostrata com’ì avrei voluto mostrarmi ad ella: caparbia, indipendente, sin tempi pe’ ludiche paturnie adolescenziali, disposta a condividere considerazioni personali sin vergogna fin dalle prime epistole. Ed ì, che da mia parte, rimbalzavo sulle coroncine d’alloro che da solo mi creai, vagheggiando sui possibili elogi ch’ella m’avrebbe offerto a ogni mia descrizione di tutto lo che portavo a compimento nell’impiego, nel cotidiano. Ed ella volea solo veder un uomo. Ì le mostrai l’ombra d’un fanciullo. Ancora me ne vergogno.