Il Diario delle Vanvere Terapeutiche #14

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13/07/1923 – ore 21:15 – #14

Uno de’ momenti salienti dell’oggidì è la missiva ch’ho ricevuto del signor Shores. So ch’avrò modo di discorrere a lungo sul signor Fernand Shores e su tutto ciò che di buono circonda tale figura e ‘l sincero rapporto d’amicizia e stima che posseggo ne’ suo’ confronti. Non è ora quel momento poiché, vuolsi pe’ l’estrema fatica che percepisco al rammentare e allo scrivere, vuolsi pe’ l’approssimarsi del dimani di ben più agrodolci ricordi, non sono nelle condizioni pe’ almanaccare come vorrìa riguardo. Inoltre, sono sicuro ch’anche anticipare li che saranno i mie’ pensieri dimani non avrebbe quel piglio sulla carta come ‘l dì ch’ha da venire – per quanto le mani fremano al pensiero di scavare un poco sotto le gittate di cemento ch’imperterrito continuo a scagliare su talune memorie. Ebbene, di che discorrere allora in codesta entrata? Del mio vagare pe’ Lakebird e dintorni, quissà. Nulla che valga la pena lassare ai posteri, mi dico. Nonostante molto di lo ch’ho appuntato in questi foglietti sia ben contrario all’essere degno d’essere ‘l mio messaggio pe’ un possibile lettore futuro. Sto rotando il capo d’in pe’ la stanza, casi a trovare un qualché di cui narrare. E v’è poco e tutto, se tale fosse possibile. Il mio quarto d’April Street, ove mi trasferii nell’ormai apparente lontano 1921, è un modesto nido di tre quarti e una toeletta. D’un lato s’affaccia di sbieco su April Street, una delle calli più trafficate di Lylcoin, mentre dall’altra posso godere d’un panorama appena poco più cheto su Bleedbig Street. Il complesso residenziale si fonde coll’altri edifici di torno, l’opposto di lo che faccio ì coll’altri inquilini del mio edificio. A memoria, rammento solo un nome tra le venti famiglie ch’abitano sopra e sotto ‘l mio fugiglio. Codesto tendo a mantenerlo ‘l più essenziale possibile, nonostante l’accumulo di cartacce, tabulati e libroni che cerco di confinare al mio scrittoio. Il minimalismo dell’arredamento riesce a dissipare ogni possibile distrazione dal mio cotidiano e a fornirmi quel tepore tranquillizzante che solo la geometricità, la simmetria e l’assenza di caciara riescono a instillarmi, sopra di tutto nelle giornate ov’il mio vagar pe’ contee riesce a stremare il mio filosofeggiare sommesso e sussurrato. La dottoressa Nauer considera il mio appartamento come un’estensione della mia psiche – e credo tale questione valga un po’ per chiunque – ove la continua ricerca d’un ordine ottimizzato, d’una geometria sotto ‘l mio completo controllo e un minimalismo funzionale sono lo ch’in parte anelo e in parte sono. Non la contraddico mai a riguardo poiché cada volta ch’ella s’inoltra in quesiti sull’argomento e ne discorre con esempi, ebbene, non posseggo mai confutazioni. D’ogni modo, non credo di volerne avere, d’argomenti contrari. Ch’il mio dressare sobrio e l’abitare nell’essenzialismo elegante e calcolato siano più pregi che difetti direi che sia oramai palese. Non disprezzo ‘l disordine, sia chiaro, finché codesto non s’insinui nel mio cotidiano sin la possibilità ch’ì possa mettervi mano. La mia tolleranza riguardo c’è. Poca, per chiaro, ma c’è. Allo scrittoio, ora, sto squadrando i pochi oggetti che ‘n son carte d’impiego o di nulla: v’è un cero rinchiuso ‘n una struttura di legno chiaro, un portapenne ‘n legno scuro, due boccette da apotecario ch’al momento lasso vuote, una clessidra di sabbia scura e due consumate pipe che uso troppo spesso. Chi sa, inoltre, quante tra queste cartacce son altri giorni ch’ho pittato una sera tra tante e lassato a scordare sotto tabelle e liste. V’è della poesia ‘n tale immagine ma mannaggia s’ì riesco a darle ‘l giusto piedistallo orora. Debbo riposare.


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