04/07/1923 – ore 06:05 – #5
Non è per nulla facile ricalibrare il mio intero essere poscia le tempeste epifaniche che m’hanno investito e quissà l’ho patito particolarmente in quest’ultimi dì ove mi son visto persino procrastinare lo che qualche giorno addietro m’ero promesso con tutto me stesso di eseguire – ossia, la stesura di queste paginette introspettive. Non so quanti fili logici coerenti si porran trovare ‘n esse ne’ mesi a venire e per vero quanto poco m’importa. Di fatto, la compilazione di tali discorsi non è fatta per nulla se non per dar un registro linguistico alle cascate di cogito che didentro paiono ‘n voler più stare. Sto cominciando a comprendere una pletora di argomenti avendo_adesso l’opportunità d’osservarli d’una prospettiva a me completamente nova e direi che l’ultimo ventennio sin sapermi barcamenare egregiamente sia sufficiente per esigere uno stravolgimento positivo ed esponenziale. S’ha di che mantenerle quelle promesse che vo’ continuando facendomi ogniddì e v’è di che sorridere, di fondo, a lo che mi si para innanzi, al tepore confortevole delle solitanze e delle consuetudini, alla solitudine implicita ch’il percorso ch’ho eletto mi consegnerà sin tentennamenti; col senno di poi, mi par d’essermi dressato e aver operato come scudiero e stalliere pe’ ‘sì tant’anni che le mie brame d’esser imperatore si son sopite fin troppo. Poi, per carità del cielo, quissà non son in grado d’essere capo di stato nemmeno del mio mondo interiore, per ora, per il momento attuale. Ma per vero, concedendomi una ripetizione, poco m’importa ancora. Lo che mi rendo conto d’aver inoltre consumato e terminato son le scuse: ch’il mio istinto di sopravvivenza, conservazione e difesa, casi da minuto roditore, m’abbia remato avversamente, oramai, è palese, colle elusioni ed evasioni tan spontanee quanto prevedibile è stata la stasi ‘n quel piccicoso reticolo di normalizzazioni e banalità, di pigrizia e sciocchezza infantile, di lussuria e debolezza di spirito. Benché sia tardi per salvare la maggior parte de’ rapporti umani ch’il mio esser vuoto e inutile han lassato marcire nell’indifferenza, non è affato tardi per costruir edifici ancor più stabili. Di modo mi vedo ringraziare perennemente lo ch’ha capitato finora, sebbene possa non parere tale datesi le mie divagazioni antipatiche. V’è solo un errore che probabilmente m’intestardirò nel continuare a commettere: abbandonarmi al deseo d’avvinghiarmi a lo che musa era e musa dovrebbe stare. Mi si conceda un neo.

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