Cronache da Ficogramo #3

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Ci addentrammo tra le stradine di Ficogramo sotto una pioggerellina battente ma non troppo fastidiosa. Le strade deserte sembravano rispecchiare l’umore piuttosto cupo e scontroso del cielo grigio sopra. Rigoberta, dopo quelli che sembravano ben quindici secondi di silenzio, si voltò verso di me con un sorriso luminoso e gli occhi brillanti di entusiasmo, quasi inquietanti. «Maestro, dove siamo diretti oggi?» chiese con un vocino squillante pieno di vivacità. Effettivamente non avevo un programma ben chiaro in testa; Ficogramo, il vecchio paesino colmo di quesiti, storia e segreti, offriva sempre molte opportunità agli avventori in cerca di una giornata differente. C’erano, per esempio, le vecchie rovine della fortezza da perusare, quella che un tempo si ergeva come baluardo contro i nemici della città, beh, più che della città dei cittadini. Ora la fortezza è ridotta a un cumulo amorfo di pietre ricoperte di muschio e nebbia, che quasi sembra che qualcuno vi torni ogni giorno a spargervi ciuffi di nuvole basse apposta per farla sembrare ancora più paurosa. Oppure potevamo dirigerci verso il vecchio quartiere dei mercanti, ancora attivo – o, perlomeno, ancora fitto di bancarelle, mercanzie d’ogni genere e personaggi stravaganti. Anche in questo caso, v’era sempre un alone di brivido nel percorrere i vicoletti stretti e tortuosi della via del mercato. «Mercanti?» proposi sicuro di me, scacciando via dai pensieri l’immagine delle rovine della fortezza. Rigoberta annuì vigorosamente. Il quartiere dei mercanti si distingueva dal resto della città per i suoi edifici dai colori sgargianti che sembravano quasi toccarsi l’un l’altro, creando l’impressione di un labirinto caotico e vivace. Ma sempre inquietante. Soprattutto in un giorno di pioggerellina grigia come questo. Il frastuono delle voci rauche cominciò a riempire i nostri pensieri mano a mano che ci inoltrammo per le prime straduzze. Rigoberta perlustrava ogni dettaglio che le si palesava davanti, interessata persino alla forma delle mattonelle che calpestava. «Che luogo meraviglioso!» sussurrò facendosi sentire. La fissai alquanto perplesso. Vero che l’intreccio di stradine e colori che stonava con il grigiume del paese circostante era una scarica di adrenalina ma di fatto non avrei mai descritto come “meravigliose” le bancarelle malandate, le facce consumate dei mercanti e le casupole storte che pendevano verso l’interno del quartiere. Apprezzai comunque l’entusiasmo della mia allieva. «Dobbiamo cercare qualcosa, qui?» Scossi la testa negativamente e le chiesi se preferiva dirigersi verso il mercato centrale, dove le bancarelle erano così tante e fitte che pareva essere un singolo lungo bancone, oppure se volesse fermarsi da uno di questi mercanti “periferici” per fare un po’ di conversazione. Rigoberta ci pensò su, grattandosi il mento con un dito.



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