31/07/1923 – ore 06:18 – #32
Quant’è per vero esile il confino fra ‘l sentimento franco e la lussuria istintiva e quant’altalenante d’uno l’altro par ch’il senno sia longo ‘l corso d’un dì soltanto. Mane che debutta colla nostalgia impregnata nella viscosità de’ movimenti che prontamente soffoco sotto un tappeto musicale del grammofono ormai gracchiante, puntellata d’un deseo carnale ch’attribuisco talvolta, s’ì memoro de l’accaduto nel sonno, alle conseguenze ovvie delle stimolazioni incontrollabili della sfera onirica. E poi sfuma di poco a poco con ogni sorso di caffé, sancendo un preambolo di gran lunga più produttivo e razionale, volgendomi a prender i panni de lo ch’in fondo amo essere e penso d’essere, di fondo per certo talvolta, colla consapevolezza di tale, abile nel tener al morso la puledra sbizzarrita della natura umana in sé. O, perlomeno, è lo che m’aggrada pensare. A ver lo ch’in vero finisco per mostrarmi, in ‘sì tanti frangenti del diario, quando le brame di nulla eleganti finiscono per mesclarsi colle liriche presuntuose ch’ambiscono a esser poesia ma son per vero la maschera egoistica d’un possessivo e sbavante mastino incatenato troppo distante dalla carcassa fresca d’un tordo succulento. Biasimo, quissà, lo che sto apponendo in questi paragrafi riflessivi. Eppure vo’ spesso percependolo come riconoscimento di cui ser orgoglioso, ch’in fine la presa di coscienza de’ limiti appostimi dinnanzi dal mio ser semplicemente bestiola – concetto col qual bello costantemente – mi rende ‘n grado di dar volto al nemico, comprenderlo fin dentro i fugigli più celati e discorrere e tenzonar con esso fin esserne fratello. Ah, s’il percorso fosse ‘sì facile come la mente lo pitta dì per dì, ne’ momenti di chiarezza pristina che spesso ne vengon proprio dell’accettazione lussuriosa della mia fisicità. Eppure cosa c’è di dissimile ‘n tal circostanza è lo che mi scote da qualch’anno a questa parte, la brevità della limpidezza razionale succitata che si stringe di torno alla brama, or irrazionale e tenera, di voler condividere perfino ‘l silenzio e l’assenza di moto colla cagione di tutti questi sconfinamenti, di tutte queste tacchette incise controvoglia al principio d’ogni entrata ‘n questa agendicola. Qualché sia ‘l motivo di tanta incoerenza, e per quanto di fatto possa contraddire la prossima frase con innumerevoli esempi, m’astengo dall’etichettarla amore. Quissà pe’l mio tanto romantico quanto ingenuo concetto ormai idealizzato di lo che dovrìa ser l’amore nella sua completezza, quissà per non dovermi ammettere a denti serrati che sovente e malgrado l’amore è tale sebbene non corrisposto, sprecato, nonostante sfugga alle norme consuete d’ordine e coerenza a me ‘sì care, ‘sì viscoso e ribelle ogniqualvolta m’attento di staccionarlo e conversarvi col senno ch’in vece riesco a donare a tutte l’altre sensazioni umane. V’è ‘sì tanto di diseguale in esso rispetto al mio proprio carattere che creo di finir per detestarlo e duellare colle stesse contraddizioni ch’in fine sciorino in versi cotidianamente, e quanto mi vedo dannarne l’essenza e l’implicazioni cada volta ch’attua perfino come musa, perenne, impareggiabile e assoluta. Scisso dal lussureggiante serpeggiar d’istinti, lucidato delle scorie restìe dei passati traumi o epifanie, ecco, resta lo ch’in fine paio sentire tutt’oggi, coll’odio che più riesco ad addire a ciò che mi contraddice, m’affronta e vince ogni maledetta volta.

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