09/02/1924 – Ore 05:47 – #225
Come mio solito, mi desto ben prima dell’alba, nonostante abbia tardato e mi sia lassato ir alle ciarle e a qualche chiara d’eccesso ier sera coll’altri mie’ compagni di viaggio. Di quest’istante mi trovo nella penombra della sala di ricezione dell’albergo, a belligerare colla spossatezza che ‘n ha scemato di molto durante l’ore di sonno. Attenderò seduto ‘n questo posto la sveglia dell’altri avventori di modo da condividere con essi ‘l primo pasto della giornata, sebbene già trangugerei piatti interi. Ho pensato di sortire per un caffè alla locanda di fondo la mulattiera che svalla appena verso la riva del lago ma una delle fantesche s’è propiziata per evitarmi il passeggio visto ch’al momento piove sin dar cenno d’aver intenzione di smettere. La bianca tazza in porcellana offertami s’è stiepidita ‘n fretta tra le mie palme e m’ho dovuto contentare di una brodaglia amarognola che poco aveva di caffè se non il colore. Colle dita ho scorso ‘l programma d’oggi che prevede un’intervento inventariale ne’ dintorni di Omeen e, s’i telegrammi del signor Tinsteel non s’avventeranno sul nostro fato, le nostre obbligazioni termineranno con esso. Vi spero molto poiché Lily dovrebbe giunger col convoglio diretto di Gersburg e gradirei accoglierla alla stazione di Lylcoin come di consueto.
Ore 21:56
Camille m’ha sempre consigliato di tentare a pormi ne’ panni d’altri, sopra di tutto quando si tratta per chiaro di genti che di fondo non malignano pe’ gioia di farlo ma poiché palesi strascichi de’ lor percorsi e passati. Quissà avrei potuto gestire l’odierno tumulto in ‘sì tante maniere diverse ma di tanto sarebbe stato meno sincero in tal caso il mio aprir la diga. Mi son visto compromettere tre relazioni che a ser sincero quissà non eran tali già di principio e tutto ciò deriva del mio deseo di sane mire d’accettar le mie azioni e reazione come nulla di cui dovermi scusare, finché non immorali ed etiche. Milliaia d’opuscoli e seminari assimilati pe’ imboccare il modo giusto d’operar coll’altri, pe’ minimizzare le possibilità di conflitti, incomprensioni e disagi ed ì, fra tutti, l’unico ch’in fine si prodiga a farlo, accetta, subisce e comprende. Poiché per vero ch’ì vo’ mettendomi ne’ panni d’altri e tollero, tollero e tollero fino a che, per grazia non si palesa l’inutile inerzia d’una stasi e i mie’ di panni restan intonsi seppur porti dinnanzi. M’è venuto a capitare ‘sì tante volte ch’ormai lassar per perse le persone non ha la grevità ch’esse vedono ‘n tal fatto, cecate dalla superficialità delle consuetudini, delle parentele, del percorso fatto insieme. Ma nel mio voglio ser dittatoriale, egoisticamente premuroso per salvaguardar nelli modi anche di più estremi pe’ non scorrer nemmeno un sol giorno di pene. Sicché mi conforto nell’aver di fatto esternato il core di lo che mi premea di dentro fin da piccino, l’esilio affettivo, la disparità preferenziale, l’incomprensione, l’invisibilità di fronte miei scalini, e sia chiaro, nulla mi importa, se vi penso, d’una coronetta d’alloro poich’esse van passendo e seccando di modo uguale che le facciate di situazione e cortesia. Lo che non va passendo son li mattoni sghimbesci posti di malo modo pe’ tirar su ritto un edifizio. Anni che tappullo lor mattoni, sì che da ‘st’anno va convenirmi demolir il tutto e ripartir delle macerie.

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