Il Diario delle Vanvere Terapeutiche #28

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27/07/1923 – ore 05:31 – #28

L’ennesimo foglietto ch’afferro per esternare lo che di dentro par roder sin pietà, cada dì un brandello ch’appeso rimane per sol il cielo sa che volontà sua. I dì al lavoro scorron grigi dell’insensato e trafitti del deseo del cronacar solo d’essi e null’altro. ‘Sì farò che ‘l diario in fogli sparsi, un dì che viene, sia. Ora in vece che ciondolo mio malgrado tra uno sproloquio vomitato sulla dottoressa Nauer e un litigio con tutti gli Arthur che vedo traversar dinnanzi li specchi di casa, non veo ‘l senso e non ho vocaboli per listare lo che faccio ‘n giro. Ma più che d’altro, poiché ‘n giro non sto vivendo ma limito a lassarmi esistere, cullato e spinto dall’inerzia dell’obbligazioni della Kryomont, dal bussar delle parcelle dovute e d’ogni affare che viene a chieder dazio solo perché appaio in questo mondo. Che fare, oi? Sfaccendar per Nutterpyne e li borghetti ‘ntorno a spulciar i depositi polverosi di qualche fabbrica vanagloriosa e superba, ove par ch’il giorno della ribalta sia prossimo, se non oggi addirittura. Quant’ho da scavar in questa pila di sterchi per ritrovar l’erbetta verdognola e ottimista che da ‘sì tanto non sente il mio piè nudo?

Ore 10:35

Mi trovo a Pyneborn di quest’istante, avvinghiato a uno sgabello eremita di fondo al bancone d’una bisbigliante locanda del luogo. Ho scarabocchiato sovr’alcuni dell’impegni ch’avrei dovuto ottemperare nel meriggio poiché ‘l vociar tra le recchie s’è fatto più arcigno e pungente. Sarebbe per vero ‘sì facile mollar il foglietto ora dinnanzi a me e sortir di qui, di me, errare ‘n cerca d’altri errori. È ‘sì facile sbagliare. Tiro giù una chiara sin sapore, anche s’è presto davvero.

Ore 18:01

Vi son ostacoli che posso tentar d’oltrare sin riuscirlo mai. Giungerà quel dì, poscia un lungo allenamento ove pur stremato tutto sarà più facile. Oppure mai? Col poco di tempo che sento di voler dedicare a quest’impiastricciar d’inchiostro un altra paginetta mi tocca di quasi imperativo consigliarmi il qualché che ronza meco tra un cigliar e l’altro. S’ha da eligere ostacoli più ostili, più alti, più vicini, più orrifici. Poiché lune dopo lune a tentar di varcar questi, cotanta impervia difficoltà, rendon tutt’il resto una pietruzza, tutti l’altri che fin oi parean lisce pareti d’austero granito saran mere pietrine da scalciar diritto ‘na pozza. Mira lo ch’altri non guardan nemmeno.

Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”

Pyneborn, Contea di Bolinthos, 1923


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