31/01/1924 – Ore 17:48 – #216
Mi par d’aver vissuto tutto ‘l gennaio ‘n un sol dì. La frenesia frettolosa, ‘l zompettar delle temperature della regione d’una parte all’altra, l’interminabile lista d’attività diverse da terminare più celermente possibile e la levata starnazzante d’ulteriori urgenze, intoppi fianco le risoluzioni d’altri. Non divino quanto poco possa reggermi ‘l corpo dopo il pasto serale. Quissà è pur per cagion mia se tali giornate si rendon necessarie. Nonostante tutto, neppur codesto naufragar pe’ obbligazioni for d’ogni previsione m’ha maciullato l’umore. Egregio segno, se m’è concesso! La mane ha, d’ogni modo, iniziato in la lentezza doverosa pe’ le poche ore di sonno profondo ch’ho dovuto accettare per via dell’incontro d’ier sera coll’associazione letteraria. Poscia aver collezionato da un mattiniero Paul Watson le missive speditemi, mi son lassato trascinare verso la fabbrica più lontana ch’avrei dovuto visitare oggi, a Leadline Rail, un borgo ch’ancora non conosco a sufficienza per descriverlo come vorrei ma che poggia su ‘n paio di laghi che dalle oblature delle carrozze che lo costeggiano paiono fiabeschi e degni d’un approfondito riguardo che, ad ora, posporrò fin il cielo sa quando. Fortuna volle che l’obbligazioni cotidiane non fossero particolarmente esose in quanto a tempo e fatiche in loco e poscia qualche decina di minuti, di fatto, ero già a Blackhand Burg, ove non mettevo suola fin dal dì con Claudette e ‘l signor Tinsteel se non vado errato – mi par di ricordar d’averne scritto qualche rigo riguardo ma non rassegnerò lo scritto, mai lo faccio. D’una carrozza all’altra, il programma m’ha spinto fino a Greenrice, nella terza contea della giornata, ov’alla Crosspath Factory del posto ho concluso ‘l tutto ‘n pochi stornelli che m’andavo canticchiando sin mover labbra. Saltato ‘l desinare per la fretta e i bocconi ch’ho profittato nelle varie locande sul tragitto, son giunto a Saeventh per poi zompare sul primo convoglio diretto a Nutterpyne. Lì, sarebbe stata la mia ultima attività poiché varie d’esse ch’aveo programmato l’ho posposte a domenica, non per ozio o comodità ma poiché l’avrei raggiunte a ore tarde arrischiando ‘l cancello serrato al mio arrivo. Le missive del giorno s’han mostrato poco più d’un venticello di ciancere ‘n cui Lara m’ha esposto, ‘n una, le sue disponibilità pe’ i giorni a venire dimandando s’avrei potuto trovare ‘l tempo per cincischiar qualche ora con ella; ‘n un’altra, Stewart mi dimandava alcuni indirizzi d’utilità pe’ qualche sua quistione privata e, nel solito aggiornamento delle peripezie di Juliet, v’ho trovato un ermetismo che fatico a non considerare degno di cruccio, conoscendone la scrittrice fin troppo bene. Mi riservo, tuttavia, dal rispondere di modo inquisitorio poiché ella vanta una tendenza ad appallotolarsi a modo di pangolino che ‘n si riesce più a cavarle esplicazioni nemmeno con l’inganno. Non la biasimo, per grazia, creo d’aver mostrato tali caratteristiche altalenanti tra ‘l gaio e ‘l mutismo corazzato ‘sì tante volte addietro ch’ancor mi stupisce destarmi dì per dì colle giare traboccanti d’ottimismo cheto e immovibile. Quissà dovrìa smarrirmi qualchedì a venire pur sull’affari dell’essere e del pensare, sebbene sian ben lontani e di contro allo scopo di queste paginette ove solo ‘l fare poggia intoccabile sul lauro. Si vedrà. Or mi tocca adempiere ad alcune ulteriori obbligazioni, coll’occhi di piombo e la fame d’una serpe.
Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”

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