Il Diario delle Vanvere Terapeutiche #22 – #23

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n.d.r.: il giorno 23 è “forse” la prima volta che Arthur scrive su quello che diventerà il suo effettivo diario. Da questi primi spunti si evince uno scopo coerente con quello che diventeranno man mano i temi dei mesi a venire ma il contenuto di queste prime carte è ancora molto offuscato.

22/07/1923 – ore 07:09 – #23

Sto raccogliendo le pile di fogli sparsi pe’ l’intere librerie ove solevo stipare le mie divagazioni sin meta o logica collo scopo d’apporre in fine tutto per iscritto in un solo spazio ad esse dedicato, scevro della preoccupazione di tornarvici per una rilettura, per le correzioni casi certamente dovute e per le riconsiderazioni ch’infine parranno a lor volta pleonastiche. Questo impavido quaderno rilegato ad opera d’arte vorrìa ser meramente un altro cassetto ‘n qual gettar il cotidiano tangibile, la nenia d’un viver che mai par alto e ‘l rispettivo tumulto che di dentro scellera e che ‘sì pochi per vero lassan strabordare. M’accingo a copiar, in questa prima parte frammentata, questo insolito avventurarmi ove quissà mai finii, nanche pe’ sbaglio, sin contar appena liriche e brevi novelle scadenti ch’iscrissi sparse. Esso non resta, però, scopo di queste carte, ove vorrò attenermi solo a cronache del fare e non di vago o pensiero. Ma ‘n sarò ‘sì fedele. Non per ora. Non per molto. Non sovente. Non è fine mio maginar lettori che scialacquan l’ore su questi trialoghi interiori né meno emmeno rivangar tra le stesse pagine per coerenza, senno e costanza, poichè non è tale il percorso ch’intendo incipire e ‘l qual quissà già ho fatto [illeggibile] ma divago.

23/07/1923 – ore 05:45 – #24

Quissà disinibito dall’eccessi etilici e dalla bisogna d’offrir svago, nel momento di fatto dell’intrattenimento veo che si stacca la coscienza, o lo che solgo chiamare, ed essa naviga ‘sì sola ‘n lo ch’essa stessa crede l’approccio corretto per l’azioni fini alle persone e null’altro. V’è altruismo nel gigantir l’ego lo che serve per coccolarsi nella realizzazione d’una fama che pur minuta s’offre e appare come protagonista del flebile mondarello corniciato dalle circostanze? E tal è palestra o perpetuo moto sin meta, l’anelar qualcosa di più delizioso per l’ego stesso? Con buone probabilità, è imperativo per tal lato del mio inconscio esigere un morso della torta prima che debba sopportar le scene dell’altri che ve n’affondano ‘l viso didentro. Ma ciò è bene quando tal morso è di mano e satolla le necessità quantunque innecessarie. Eppur m’appare antitetico e velato, il cagionare la spontaneità che si tramuta ‘n scuse d’ormai [illeggibile]. Frontare questa dicotomia paradossale è dunque l’essenza de lo che marchian come amore della canoscenza sull’almanacchi di niente e tutto dall’altri me che ‘n si contentano del morso ma ne suggon ogni briciola finoltre lo stomaco. Tutto solo ché sia vantaggio al morso d’addopo. Ma è egoismo, allora, o gola, o draconica cupidigia? Quissà tutte, ché per quanto asceta e retto, son ì come loro, d’ogni sensazione ‘n ogni momento, mutabile per definizione e dominato delle succitate. Scopo diventa indi ‘l ser burattinaio d’esse e l’amicarsi ogni io che ne consegue da tali e ‘n ogni momento microbico a seguitare, sceglier l’io d’ospitar più di buon grado.

Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”

Periferia di Therys, Contea di Bolinthos, 1924


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