18/01/1924 – Ore 11:58- #203
Quest’apparente_imperitura dispersione d’attitudine positiva e consueta intraprendenza mi sta costringendo a un’inettitudine da me detestata già varie volte addietro. Par sempre lo stesso identico pantano cui galosce s’appiccican sin timore e torno quali si snodan viticci d’ozio e grigiume ch’ancora vo’ tentando di comprender appieno. Quissà sia ‘l tremolar incospicuo delle conseguenze che tal mio stare ha d’effetti su mie’ dì, ma lo spettro dell’inutilità che m’attanaglia ne’ brevi momenti di lucidità corrente mi scote. Tuttavia, non abbastanza, per lo che pare, se veo come ‘l mio animo reagisce a tutto questo appena citato. Non dispero, si badi, ché già vi furon pletore d’altre stagioni simili, qua più brevi, là più intense. Quissà sia parte del processo evolutivo necessario o qualsivoglia rincorsa fin altra porta verso affari più compiacenti. Quissà sia l’ennesima necessaria dimostrazione da dare me de lo che porrìa ser capace ne’ momenti che ‘l pozzo in cui caddi par più profondo de lo che parrìa di fori. Essia, allora, ché d’ogni modo crucciarsene non renderà sicuramente le mie mani più abili a uscirne. Ignavo e lo che basta imperturbabile, tento d’attenzionar a lo meno quel ch’importante resta per vero dei dì ch’ho dinnanzi. E oi, dinnanzi, ho davvero faccende importanti, visto l’appuntamento lavorativo da sbrigare in Saint Maurice, quissà colla partecipazione del signor Tinsteel, e l’incontro con Juliet ove ‘n entrambi debbo posar con sicurezza e demostrar maestria nell’arti comunicative come non ho fatto nell’ultimi giorni. Inoltre, tal palude di pensiero, d’azione e d’animo, dovrà necessariamente scemare per l’incontri che finora ho sbrogliato scansandoli dall’agenda e che stan cumulandosi nell’ultimi giorni della settimana. V’è parte del cor mio ch’anela a rimaner chino ‘sì su questo favellar d’intenzioni e poco altro, casi accaldato dal maginar lo che sarà sin dover di fatto fare; tale aspetto mi compagna da molti anni e fu sempre un bisticcio trovar que’ giusto compromesso per iniziare e lassarmi ‘sì trascinar dall’inerzia del dolce impiegarsi. Perché in fine e in vero m’aggrada molto il complementar lo mio discorrer d’intenzioni col fare, oppur non sarei qui, a permettere ad alcuni meriggi di sfumare ‘n poco e nulla. Ma mi dico e ne so che non è sufficiente. E diavoli ho sperperato l’ultimi minuti sull’intangibile, cosa che m’ero promesso d’evitare ‘n questi fogli. Mi si perdoni, l’oi m’ha ancor donato poco e ‘l tumulto ch’echeggia dentro ha superbamente forzato la mia mano.
Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”

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