06/01/1924 – Ore 18:17 – #191
‘Sì tanto finisco per rimuginare su quanto di fatto vorrei continuare a registrare tali cotidiane faccende su questi fogli già stropicciati. Mi perdo, di tanto ‘n tanto, nel costringermi a dimenticare di prender qualche minuto al dì che va svanendo e aggiornare ulteriormente lo che faccio, lo che occorre, lo che accadrà nel giorno alle porte. Quissà un poco per pigrizia, mi dico, perlomeno fisica, or ch’all’incedere spietato dell’età fornisco dazi sempre più cari a ogni maggese. Oppur ignorare tali recondite giustificazioni e macchinazioni d’una testa che fin troppe volte finisce per errare solitaria e indipendente lungo il ripido e puntuto precipizio della commiserazione. ‘Sì che ‘n andrò a narrar l’ultime settimane che mancan a questo diario poiché se d’importante ‘n effetti qualcosa vi fu, sicuramente rimostrerà il suo aspetto ne’ mesi o quissà anni a venire. E l’ignorare, come sempre fui ripetendo, allevia, alleggerisce e schiarisce, nel momento ‘n cui s’ignora lo che, per quanto si faccia, non andrà mai a cambiare. Da qui partii stamane, dall’aurora rosata e gelida destatomi quasi sin voglia, quasi per pena. E fu una mane atipica, ‘n cui l’obbligazioni non m’han fatto lasciar le mura d’April Street. Claudette mi ha raggiunto durante i rintocchi della nona ora per discuter alcune questioni impellenti sull’inventari assortimentali d’una fabbrica qui vicino, a Knighthill per quanto posso ricordar al momento. Ada, di contrario, è giunta ai primi passi di Claudette giù per le scale e ha riempito di rumori domestici le stanze fino all’ora di pranzo quando ho posato le scartoffie per qualche ora per lasciar ch’anche il corpo usufruisse di questo dì di comodo indaffararsi. Misero ma soddisfacente il pasto che ha preceduto i pochi minuti di sogni che mi son concesso poco dopo, prima di tornar sull’archivi, sull’agende, sulli programmi ormai affamati di completamento. E ancora qui, su d’essi colla fronte e l’orecchie ovattate sono, a dar tempo e luoghi all’appuntamenti ch’avrò da solver queste prime settimane dell’anno. E v’è ottimismo, non posso negarlo, caro diario. V’è ottimismo come forse mai prima, ché ne’ piccoli passi, ne’ brevi scatti, ne’ frustranti scivolate, m’accorgo che mi son abituato alle salite ch’ormai salite più non paiono ma lunghi viali sconnessi, con travi a mezz’aria da saltare e l’eco lontano del vento che annuncia la valle e la sua inseparabile discesa, ov’ora come allora mi spingo.
Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”

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