Il Diario delle Vanvere Terapeutiche #166

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12/12/1923 – Ore 07:49  – #166

Vi son, poi, que’ mani ‘n cui, meco esce dal tepor del letto la maceria ‘ncor fumante d’un capogiro onirico, frapposto tra l’effimero contentarsi del veder e percepir la mia amata alla straziante consapevolezza dell’effettiva intangibilità del deseo, ‘sì che meschiato al primo sorso di caffé e alle prime righe delle mie letture prima dell’alba v’è anche ‘l sapor agrodolce d’un futuro scritto ma non percorribile, visto ma inesperibile, voluto ma inconquistabile. E si contenta il cor, mano a mano che l’organi van destandosi, quissà ché non par esservi alternativa. Quante volte, di fatti, si po’ sperare di ricomporre un anfora dai suoi cocci ch’ad ogni colpo, nubi e briciole si spargon e disperdono? E ‘n questi dilungamenti, nell’accenni enigmatici d’una lirica, nelle consuetudini piccicate ai dì conservo sol’un mucchietto di cocci ormai, cheto dentr’a una scatola di “se”. Tuttavia, mi dico sia benefattore tale incedere superbo e apparentemente ignavo, ov’ogni obbligazione è paraocchi e ogni fiotto di sangue e lacrime è solo un’altra ardua lezione sul dover essere. Sul come essere. E ora mi scosta da questo rimuginamento il tocco della campana che filtra traverso i vetri e appena mi danno pe’ una divagazione che poco possiede a che fare colle mie attuali programmazioni. ‘Sì ‘l guardo cade sui registri ai lati del mio scrittoio, scomposti dall’usura e l’attesa della compilazione e, ignorando l’echi d’un’altra emicrania, mi getto s’un lavoro ch’ormai m’offre stimoli flebili e comuni, contrastanti e sommessi.

Ore 09:35

Per quanto meno esigente dal punto di vista fisico, la compilazione dei registri, la stesura dei telegrammi e il monitoraggio dell’attività svolte – oltre la rigorosa pianificazione di prossimo futuro – hanno un impatto sulle mie resistenze di concentrazione che tendo spesso a sottovalutare. L’assenza di stimoli fisici viene appagata a malapena dalla sicurezza delle mura di casa e mi costringe a considerare qualche fuga improvvisa, perlomeno per recuperare qualche alimento agli empori dei dintorni per ricaricar sia la sete di necessità ch’il bisogno di movimento. Probabilmente terminerò i compiti assegnatimi nel giro di qualche ora prima di battere qualche stradina di Lylcoin e cacciare aleatorie conversazioni coll’avventori de’ mie botteghe preferite. Tuttavia, debbo tuffarmi anche sulla revisione dell’investimenti personali dell’ultimi mesi e giostrar tra li svariati conti fattomi notar errati. Non dispero, però, anzi, v’è un latente senso di diletto maniacale nella riordinazione dei mie’ registri contabili, quasi panacea pe’ alcune traviate psicologiche. Ne so ‘ncor poco riguardo pe’ parlarne. Ho ancora una lettera di Elizah da leggere prima di gettarmi a novo sull’obbligazioni compilabili del signor Tinsteel.

Ore 17:17

Sfugge silente anche ‘l sole ormai, presagio del giorno più corto dell’anno, sebbene mai mi son parse ‘sì lunghe ed utili l’ore di veglia; oi mi son concesso un pasto rapido e poco salutare, ahimè, più per fretta e ingordigia che pe’ qual’altra cagion sensata e giustificabile. Finito per uscire di casa qualc’ora dopo il medio giorno, ho vagabondato a passo svelto tra qualche emporio della zona per rifornir appena la dispensa e respirar un po’ di gelo tagliente, fatto ch’apprezzo sempre un poco più della volta prima. Ho corredato alcuni_istanti tediosi con la lettura di un ennesimo libro, questa volta di Storia, cosa che non facevo da molto – errando, si veda, dati i lunghi brividi d’eccitazione che m’han pervaso pe’ i primi capitoli. Quanto possan l’informazioni contenute in tali tomi fornirsi com’arma o scudo non so, eppure, nell’ingranaggi dell’evoluzione del pensiero, umano e mio, s’avventano epifaniche le mani d’un orologiaio che l’olia e affila; ed i’ nel mio appetito di sensi e storie, di morali e rette vie, riescio financo far lo stesso sul mio pormi. Forse nulla, oggi, d’astrusamente indelebile e_imperituro, forse grigiume sfumato, orbene, forse ‘nvece proprio tali tenaci meriggi scrostando l’apatia saran lo che ringrazierò nell’apoteosi future. E qui sosto e m’arresto, per or almeno, ché poco di banale v’è nel filosofeggiare così incautamente, obiettivo contrario a queste inserzioni. Ada sarà qui a momenti ed i’ tornerò tra libri e quaderni, quissà, dando altri sensi a un altro dì ch’ha poco da dire ma che ‘n riuscirei a smetter di contare.

Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”



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