16/10/1923 – Ore 04:35 – #109
Ah, il sedici ottobre. Quante pagine, quante vite, quanto ancora v’è da dirvi riguardo. Quant’ancor brucia l’inchiostro che me lo ricorda. Anch’ora. Quattordici anni dopo. Ma sto sparlando.
È lunedì. L’ora è buia, l’occhio è pesante e la bocca è secca, il guanciale mi sfiora ‘ncora da lontano e, forse, non l’ho ancora davvero rassettato in testa al letto. Oggi avremo due interventi analoghi a quelli di ieri ma si svolgeranno a Wedgeville e a Overknow, e ‘l cor appena sbuffa all’idea. Ieri s’è dipinta una domenica frenetica ed estenuante ma alquanto soddisfacente. La carrozza m’ha scaricato all’ingresso della fabbrica di Neckwood ma i cancelli erano ancora sbarrati e, ad esser sincero, non avevo considerato quanto celere sarebbe stato arrivare in zona. Nessun mercante, nessuna folla frettolosa e nessuna carrozza zoppicante per la strada in tal grigia domenica. V’era ‘ncor una patina dormentata di torno e ho profittato della mezz’ora d’attesa per riordinare qualche idea, svociar due righe sul taccuino e disperder la poca voglia di faticare ‘n qualche capitolo della mia attuale lettura. Stewart e Claudette son spesso in anticipo e poscia ‘ver scandagliato i dintorni colla coda dell’occhi per qualch’istante, fui lieto di scorgerli, ch’in fondo, la socialità sarebbe stata due volte più efficace di tutta la caffeina appena digerita. Mi son appuntato di convocare anche Ada, nel pomeriggio, dato che l’impegni e le faccende, di recente, stan sbocciando esponenzialmente e perlomeno ‘l nido merita la simmetria e ‘l rigore che non ottengo nelle mie obbligazioni diarie. Tuttavia, non sono stato in grado di rintracciarla, e non la biasimo per aver optato per la latitanza almeno un dì a settimana. La mattina in fabbrica s’è smossa dall’attriti iniziali in breve tempo, nel mio compiacermi silente del saper ancora gestire i subordinati, per quanto molto del merito sia dovuto alla lor diligenza e fame di fatica. Poco dopo l’ora di pranzo abbiamo terminato le operazioni in loco e, dopo essermi congedato con la signora Reen, superlativamente disponibile e cordiale verso la nostra presenza straniera, ci siamo smarriti tra noi colleghi in brevissime divagazioni insignificanti prima di tornar ognuno verso le proprie mura. Il resto dell’ore d’ieri l’ho lasciato scivolar nella rispolveratura del mio ludòfono, qualche sbirciata alle pagine d’un pamphlet dimenticabile e in alcuni calici di Berbèris di troppo. Oggi, ‘nvece sarà ‘ncor più necessaria la mia ormai famigerata ostinazione alla perfezione e, se l’ultimi echi di appagamento non son fumo nell’occhi, allor anch’oggi confido d’abbracciar la sera, tra molte ore, colla consapevolezza d’aver aggiunto un granello al deserto ‘n cui vorrei perdermi.
Frammenti vacui e volgari come questi mi spingon a dimandarmi l’utilità, il senso e la direzione delle memorie che trascrivo su queste cartacce, chiedendomi se forse non sarebbe razionale limitar le mie mire letterarie alle novelle, alla saggistica e al filosofeggiare contradditorio dell’altri mie’ quaderni. Eppure, quissà, è nel nulla e nella cronaca insipida che dissotterro scopi ed epifanie. Vi saranno molt’occasioni per narrare de’ l’anni trascorsi e delle vicende che mi trascinarono da Newbrick a Lylcoin ma non qui, non così, non adesso. La noia, la ciclicità e ‘l dondolar tra ‘l non vivere e ‘l non morire son lo che ‘sti taccuini chiedono, come pure Camille autorevolmente mi consigliò, centodieci giorni addietro.
👆 Sto sperimentando con varie modalità di presentazione del diario di Arthur Parker. Son ben accetti commenti ed impressioni a riguardo!

Da “Il Diario delle Vanvere Terapeutiche di Arthur Parker”
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