Il Diario delle Contraddizioni Epifaniche #4

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Paradossale, ormai, la tendenza al posporre quando se, oggettivamente, vi rifletto, di queste valanghe propositive diarie, il tirar le somme sull’imbrunire è pessimista e macabro per ozio e non sindromi da fogli bianchi. Additar sprecato un lasso di veglia più per solitanza ormai ché sprecato non può essere se ha moto preciso seppur lento. Ma chi può affermare se non lo svolgersi del tempo stesso se tale mira e percorso sian fallaci o se tali son di riflesso macchiati della stessa inerte procrastinazione o qual cecità a’ grappoli epifanici che permeano le piccole cose. Sorge dal mucchio di fango spalato adesso, ‘l fiore cui miro? Chi può azzardarsi ad affermare che o se questa singolarità processuale per iscritto sia soluzione o solo altra vetrofania colorata, cornicetta barocca dello specchietto per allodole ‘n cui borbotto radendomi? V’è suvvero constatabile consapevolezza della necessaria torturie diaria ‘n cui mi scaravento o sol scacciare noiose incongruenze coll’esperibile, il tangibile e il terreno? Quanto e come possa il modo di cagionare debba sgretolarsi e ricostituirsi, se limitato dal suo stesso essere, per accettare sproloquiate motivazioni ataviche e, per fiducia epistemologica, sensate? Si dondola, ovvero, tra la sicurezza dell’essere chi siamo e ‘l cotanto che basta per esser chi vorremmo, sfamando un ego inscindibile dall’istinto. Ciascuno de’ pensier conseguenti deve per giunta esser conseguente e non ritrattazione ma ciò s’apprende solo apprendendo.



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