Alienazioni – “Nomenclature Disordinabili” #9

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Fulgenzio Macchiabelli:

Figlio d’arte e nipote di suo nonno, rinomato anonimo.

Il nonno, infatti, non ebbe mai un nome – o nessuno lo seppe mai – c’è molto dibattito ancora tra gli accademici.

Esperto, a lungo andare, nel processo di anonimazione, fu facilitato nell’infanzia dai suoi genitori, affetti da amnesia cronica e compulsiva, causata dalle loro gare di starnuti ad occhi aperti.

Questo fatto non poté non creare qualche problema nei primi anni, dato che i genitori non sapevano mai cosa gridare quando il bambino provava ad attraversare le strisce pedonali senza guardare ai lati.

Provarono a utilizzare altri nomi ma lui non si girava.

Purtroppo nemmeno lui riusciva a ricordare il suo vero nome, probabilmente a causa di tutte le macchine che gli finivano addosso.

Decise, infine, di non averne alcuno.

A scuola non figurava nell’elenco: era l’unico inserito solo con il cognome che, però, non piaceva alle maestre.

Fu allora che capì di poter essere tante persone e nessuna.

Fu Fulvio, fu Nambolo, il nano sulla corda, e fu anche un criminale; riuscì, infatti, a rubare tutti i soprabicchieri del mondo e far fallire tutte le fabbriche che li producevano.

Per i non esperti del settore, i soprabicchieri venivano posti sopra il bicchiere in modo che nessun germe potesse entrarvi o che il compagno di tavolo non vi potesse versare dentro qualcosa di divertente, disgustoso o nocivo.

Lui li rubò tutti.

All’inizio i gestori dei bar provarono a utilizzare i sottobicchieri anche sopra ma la gente se ne accorgeva e scappava schifata minacciando denunce.

Questi atti criminali gli avrebbero procurato conseguenze dannose se solo qualcuno avesse saputo il suo nome.

Inoltre, cambiò aspetto varie volte, per il timore che qualche telecamera lo riconoscesse – beh, non la telecamera; il tizio che avrebbe guardato le telecamere – cioè, non proprio guardato le telecamere; la cassetta, il nastro che avrebbe messo nel lettore… oh, dai, ci siamo capiti!

Si rifece il naso e lo chiese con una narice sola, in centro, grossa, vista la sua passione per le “pulizie di primavera”, mai soddisfacenti a causa delle sue dita tozze.

Si volle rifare le dita, anche, chiedendole sottili.

A metà operazione, però, si ricordò di aver allargato il naso apposta e annullò il procedimento; purtroppo, ormai mignolo e anulare erano fatti.

Rimase preoccupato per qualche giorno, pensando che non avrebbe mai trovato una fede giusta per l’anulare.

Ma si sbagliava, diventò induista.

Scappò in Mongolia a insegnare termodinamica (Lui, non il dito), ossia l’arte di scuotere  il termometro per farlo azzerare.

Decise di rifarsi anche i capelli: tornò in Italia ed entrò nella prima bottega da parrucchiere.

tratto da “Gli Alieni non Credono a Noi” edizione imbruttita – Lupiscattoli, Delrio, (2023)



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