Le nuove elezioni per il sindaco chiamarono alle urne solo i morti per tabagismo.
Lunghe Fila di scarpe fuori dai seggiolini elettorali, nei pressi dell’asilo.
Le persone che entravano per votare ricevevano in dotazione una matita esplosiva con la mina e un foglio banco – un pezzo di carta che stava in piedi da solo.
Sul foglio banco erano incisi in inchiostro simpatico i nomi dei candidattici, ossia i professori che correvano per la carica.
In quel piccolo comune, infatti, tutti i candidati/candidattici erano rinchiusi nella palestra della scuola a correre in cerchio nel campo quadrato suonando un triangolo.
Formalmente, un caos. Alcuni pensavano di essere fortunati di non essere stati al pentagono. Pitagora si rivoltò nella tomba perché l’ipotenusa gli spingeva sull’ultima vertebra.
I candidattici venivano informati in tempo reale da un bambino che a malapena sapeva leggere l’italiano, figuriamoci il cirillico che aveva davanti, nei documenti che gli consegnavano.
Nessuno aveva ancora fatto previsioni ma quel giorno c’era il sole e a loro andava bene così.
Quando tutti ebbero finito di votare, il paese si radunò in piazza per ascoltare il verdetto finale del vicesindaco numero quattro che dopo aver srotolato la pergamenta – il foglio aromatizzato per romanzieri con l’alitosi – cominciò ad annunciare il vincitore.
La tensione era palpabile: chi si toccava prendeva la scossa.
«Proprio come la settimana scossa!» dissero quelli con la memoria più lunga.
«Dove siamo?» dissero quelli con la memoria più corta.
Una lunga rullata di canguri accompagnava il brusio della folla.
«E il vincitore è…»
tratto da “Gli Alieni non Credono a Noi” edizione imbruttita – Lupiscattoli, Delrio, (2023)



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