Alienazioni – “Prefazione in Contumacia” #6

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Le loro strade si divisero senza preavviso e il comune lavorò all’installazione di un semaforo: novantaseimila operai sottopagati e sopravvalutati vennero ingaggiati dai funzionari comunali.

Qualcuno li considerò troppi.

Qualcuno invece li considerò esageratamente troppi.

Era un piccolo comune d’oltralpe e d’altronde, in cui la giunta comunale faceva comunella e i parrocchetti non erano altro che piccoli preti.

I lavori iniziarono sotto il sole cocente, a luglio; per essere precisi, a qualche migliaio di chilometri sotto il sole. Per essere ancora più precisi, sulla Terra.

Nessuno degli operai avrebbe mai pensato che l’installazione di un semaforo avrebbe richiesto così tanta fatica.

Lo avevano già fatto; o perlomeno era quello che credevano.

Cominciarono a scavare.

Poi il sindaco fermò gli scavi e li riportò sul luogo del cantiere: avevano iniziato a scavare tutti e novantaseimila in posti differenti.

Meno male che nessuno in quella cittadina si lamentava delle buche, tra giocatori di biliardo, golfisti e adolescenti single.

Il cantiere venne reso operativo due mesi dopo: gli operai furono costretti a stare in pausa i primi due mesi in modo da non dover usufruire di pause e ferie per il restante tempo successivo.

Non molto utile visto che dopo le prime sessanta ore senza interruzioni e senza dormire, i primi ventitré operai si accasciarono al suolo chiedendo se fosse rimasta qualche buca libera in cui essere seppelliti.

Sì.

tratto da “Gli Alieni non Credono a Noi” edizione imbruttita – Lupiscattoli, Delrio, (2023)



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